Al capezzale dell’Iraq. Ieri Robert Gates, oggi la cosiddetta Isg. Diagnosi infausta.
Prognosi complessa. Gli Stati Uniti «non stanno vincendo la guerra» in Mesopotamia, sostiene il successore di Donald Rumsfeld al Pentagono, rispondendo alle domande dei senatori che dovranno confermare la sua nomina a ministro della difesa. «Quello che stiamo facendo non è soddisfacente», ragiona l’ex direttore della Cia. E sul tavolo dove, per dirla con Gates «sono tutte le opzioni», da quest’oggi alle undici (alle 17 in italia) sarà disponibile anche il documento dell’Iraqi Study Group (Isg), il gruppo bipartisan guidato dall’ex segretario di stato James Baker e dall’ex parlamentare democratico Lee Hamilton.
S t r a n o destino, quello dell’Iraqi Study Group.
Lanciato il 15 marzo scorso da Frank Wolf, deputato repubblicano della Virginia, in seguito all’escalation di violenza di ottobre, all’allungarsi della lista delle perdite, alla recente sconfitta dei repubblicani nelle elezioni, il lavoro dei dieci saggi (cinque democratici e cinque repubblicani) è stato sempre più investito «di una autorità quasi mistica – come scrive il columnist del Financial Times, Philip Stephens – nonostante lo stesso Baker abbia detto che non ci sono pallottole d’argento, elisir di lunga vita o arnesi del genere per riscattare dalla sconfitta la vittoria».
Ed è proprio con tale «autorità quasi mistica» che l’amministrazione Bush dovrà fare i conti, più che con i contenuti già ampliamente dibattuti nei giorni scorsi, quando il New York Times anticipava le linee principali del documento: ritiro dall’Iraq di 15 brigate (tra i 45 mila e i 75 mila uomini su un totale di 140 mila soldati), ma nessuna data precisa del ritiro stesso, e il “consiglio” di avviare colloqui con Iran e Siria. Nel frattempo al presidente Bush è bastata una parola – “unrealistic” – pronunciata nel corso della conferenza stampa di Amman col premier iracheno Nouri al Maliki, per liquidare preventivamente il lavoro di Baker e i suoi.
Ma al di là dei dettagli e delle polemiche politiche rimane il mistero. «Perché questa ossessione con il gruppo di Baker?», si chiede l’ultimo Economist.
Virtualmente superato da altri studi, che Pentagono e Casa Bianca si sono commissionati per conto loro, e tacciato di scarsa autorevolezza in materia: i dieci membri, tutti provenienti dall’establishment di Washington, hanno trascorso solo pochi giorni in Iraq (e come fa notare il settimanale britannico solo uno di loro, Charles Robb, s’è spinto oltre la Green Zone di Bagdad).
Una delle ragioni di tante aspettative, si risponde l’Economist, non può che risiedere nella statura dei suoi membri. E in effetti la squadra è composta da personaggi con un passato rilevante.
A partire naturalmente da James A. Baker III, texano di Houston, 76 anni, capo dello staff della prima amministrazione Reagan e al tesoro nel secondo mandato, infine segretario di stato di Bush sr, suo grande amico e vicino di casa. Di colui che chiama “el jefe” (il capo), ricambiato affettuosamente col diminuitivo “Bakes”. Originariamente un Democrat, Baker cambia compagine all’inizio dei ’70 ed entra nello staff del presidente Gerald Ford. Dopo un tentativo fallito a governatore del Texas e la parentesi reaganiana, lo ritroviamo architetto dell’alleanza di 34 nazioni impegnate con gli Usa nella Guerra del Golfo. Infine capo dei legali che supporteranno Bush jr nel riconteggio dei voti in Florida.
Ed è d’alto profilo anche il cochair del gruppo sull’Iraq. Il democratico Lee Herbert Hamilton, 75 anni, vice presidente della commissione sull’11 settembre, attualmente all’Homeland Security Advisory Council, dopo ben 34 anni di onorato servizio nella House of Representatives.
Tra i nomi in quota ai repubblicani, molto critico con il timing dell’intervento in Iraq, fu a suo tempo Lawrence Sidney Eagleburger, 76 anni, ex segretario di stato di Bush sr, una carriera spesa a servizio della presidenza (Richard Nixon, Jimmy Carter, Ronald Reagan).
Altro nome repubblicano di peso, Edwin “Ed” Meese III, 75 anni, californiano di Oakland, laurea in legge a Berkeley. Come capo dello staff del governatore Reagan divenne celebre per aver stroncato con troppo vigore le proteste studentesche al People’s Park di Berkeley il 15 maggio del 1969, culminate nell’uccisione di uno studente e nel ferimento di centinaia di altri.
Ebbe modo di entrare nella “Troika” presidenziale di Reagan insieme allo stesso Baker e al vicecapo dello staff Michael Deaver.
Poi dopo esser stato coinvolto nello scandalo Iran-Contra, come 75esimo procuratore generale degli stati Uniti (1985- 1988) divenne fustigatore dei costumi americani: la Meese Commission investigò sulla pornografia negli Stati Uniti e portò alla rimozione di riviste come Playboy e Penthouse dagli scaffali delle catene commerciali.
Chiude la compagine repubblicana Alan Kooi Simpson, 75 anni, di Denver (Colorado), senatore del Wyoming dal 1979 al 1997. Figlio di Milward L. Simpson, senatore ultraconservatore che fu tra i sei membri repubblicani che votarono contro il Civil Rights Act del 1964; Alan non seguì le orme del padre e difese diritti delle minoranze o accesso all’aborto.
E a proposito di diritti civili, tra i saggi in quota democratica, spicca Vernon Eulion Jordan Jr, 71 anni, famoso attivista afroamericano nella National Urban League, prima di iniziare una seconda vita nei corridoi del potere di Washington che lo condusse nei novanta a diventare amico e consigliere di Bill Clinton. Una grande carriera per uno che ad Atlanta, quaranta anni prima, aveva lavorato come autista del sindaco Robert Maddox per pagarsi il college. Dal 2000 Vernon è Senior Managing Director della banca d’investimenti Lazard Freres & Co. LLC.
Altro democratico è Leon Edward Panetta, 68 anni, ex capo dello staff della Casa Bianca sempre ai tempi di Clinton e grande stratega economico. Figlio di immigrati italiani proprietari di un ristorante a Monterey, in California, per la cui carica di governatore era stato chiesto di correre nelle elezioni di recall del 2003 (rifiutò adducendo di avere troppo poco tempo per il fundraising).
Clintoniano (fu suo ministro della difesa), anche William James Perry, 79 anni, uomo d’affari e ingegnere.
Per lui – che viaggiò all’estero nei suoi tre anni più di ogni altro precedente Secretary of Defense – nell’aprile del 1994 l’Economist coniò il neologismo “Perrypatetic”.
Ultimo in quota Dem, Charles Spittal “Chuck” Robb, 67 anni, governatore della Virginia dal 1982 al 1986, senatore dal 1989 al 2001. Nel 2004 diresse l’Iraq Intelligence Commission.
Politicamente, quello che si dice un “conservative Democrat”.
Poi c’è Sandra Day O’Connor, formalmente “in quota” ai repubblicani; ma l’ex giudice della Corte Suprema, pur essendo stata nominata da Ronald Reagan, nei suoi 24 anni di servizio ha dato non pochi dispiaceri alle amministrazioni repubblicane. Anche stavolta potrebbe esserle toccato il compito di mediare tra le fazioni.
Impegnate in quello che molti osservatori hanno definito il primo passo di una nuova era di “policy-making”, molto più realista, e il più possibile lontana dalla visione Bush- Cheney. Che poi, del gruppo Baker e della sua «autorità quasi mistica», il presidente Bush decida di mettere in atto i consigli, è tutt’altro che scontato.
Europa Quotidiano di oggi 6 dicembre 2006