Wednesday, December 13, 2006

«Errore definirla dittatura, i giovani cambieranno l’Iran»

INTERVISTA  PER WILLIAM BEEMAN, DECISIVO SARÀ IL VOTO DELLE GENERAZIONI CHE NON HANNO CONOSCIUTO KHOMEINI

di STEFANO BALDOLINI

Tende a minimizzare, William O.
Beeman
, professore di antropologia alla Brown University ed esperto di cose iraniane (è autore di The “Great Satan” vs the “Mad Mullahs”: How the United States and Iran Demonize Each Other). Le proteste degli studenti d’ingegneria non sono un fatto storico e allo stesso tempo Mahmoud Ahmedinejad non può essere considerato un dittatore. In un certo senso entrambe le parti sono espressione del passato: la vera rivoluzione partirà tra qualche anno quando voterà la generazione che non ha conosciuto Khomeini.
Partirei dalla contestazione degli studenti. Per alcuni un evento storico, la prima contro Ahmedinejad, per altri non una novità in senso assoluto.
Sono d’accordo con questi ultimi.
Già nei mesi scorsi ci sono state sporadiche proteste degli studenti. E quest’ultima non era neanche così partecipata, i reporter parlano di non più di sessanta studenti. Inoltre va detto che sono trent’anni che gli studenti protestano, lo hanno fatto anche contro il riformista Mohammad Khatami, e sui temi più disparati.
Insomma, le proteste studentesche in Iran sono una lunga tradizione contro le istituzioni. Il punto è capire chi c’è dietro, di volta in volta. Quanto siano spontanee. Dal mio punto di vista posso dire che quando trattano di temi di politica estera in genere sono manovrate da gruppi esterni al paese.
Il passaggio chiave è capire chi fornisce le notizie alla stampa. Uno di questi gruppi è la Mujahedin-e Khalq Organization (Mko), sostenuta clandestinamente da elementi del governo degli Stati Uniti, con la missione di far cadere la repubblica islamica di Teheran. Si tratta di un gruppo molto sospetto e controverso.
Il presidente Ahmedinejad ha comunque reagito con serenità. Ha usato la protesta per dimostrare al mondo che non è un dittatore. Insomma quanti tiranni potrebbero permettersi dei contestatori...
Effettivamente, guardando alla costituzione iraniana, Ahmedinejad non può essere un dittatore. Non ha il controllo delle forze militari. Non ha il controllo della politica estera che invece è in mano ai religiosi. E se c’è un controllo della società iraniana non può essere ad opera di Ahmedinejad.
Le voglio raccontare un anedotto. Quando l’ex presidente Khatami il mese scorso è venuto negli Stati Uniti sono stato a cena con lui. Ahmedinejad aveva appena lanciato la richiesta per la rimozione di un professore dell’università di Teheran che non era molto gradito ai religiosi.
Dopo cena sono tornato sul punto e Khatami mi ha risposto seccamente: «Non può farlo». Ho insistito: «Come non può farlo? È il presidente!», e lui: «Lo so, sono stato presidente anch’io! So cosa può fare o no. E non può farlo!». Insomma, Ahmedinejad ha il diritto di parlare in pubblico di qualsiasi cosa, ma l’idea che lui stesso sia un dittatore o il capo di una dittatura non è “strutturalmente” possibile nel governo dell’Iran. Quello che potrebbe accadere, però, è che nell’Assemblea degli esperti vengano eletti rappresentanti religiosi addirittura più conservatori dello stesso Al Khameini.
Ma è comunque paradossale che durante un discorso contestuale ad elezioni, degli studenti parlino di dittatura.
Lei è antropologo e ha scritto molto sul linguaggio persiano e iraniano.
Ecco, che lingua parla Ahmedinejad? È un prodotto della cultura iraniana o di un mondo globale?
Oh, è un prodotto decisamente molto iraniano. È un populista. E la sua retorica è estremamente interessante.
Ha un dottorato in ingegneria civile, può essere considerato quasi un professore. È dunque un uomo molto intelligente.
E quando parla usa un vocabolario da persona molto ben educata, ma allo stesso tempo uno stile estremamente comune e popolare. La cosa interessante è che anche il presidente Bush usa lo stesso stile nei suoi discorsi pubblici. Non parla alle elites, ma sempre alla sua base, al suo elettorato.
A proposito di Bush, nel 2003, in un articolo molto divertente citava il suo barbiere di San José, Phil, come espressione della pancia del paese. Phil era stato prima un fan accanito, poi dopo la guerra in Iraq, spietato critico dell’amministrazione Usa. Oggi che dice Phil? E i barbieri dei suoi amici iraniani?
Phil non è rimasto molto contento della notorietà (ride, nda). E il popolo iraniano, va ricordato, non è molto contento del governo in genere, qualsiasi esso sia. Quello su cui gli iraniani sembrano concordare è lo sviluppo del programma di energia nucleare.
Vorrei far notare che, come in passato, anche l’altro giorno gli studenti non hanno protestato contro il nucleare. Al nucleare è legata la speranza di modernizzazione del paese.
Quindi, paradosso per paradosso, chi in occidente critica il programma nucleare iraniano finisce per indebolire gli oppositori al governo attuale.
Che non è riuscito a imporre un’agenda sui temi domestici, ma neanche a scalfire l’esito degli anni di riforme, gli aspetti più liberali della società iraniana, i comportamenti pubblici.
Inoltre la cosa più importante è che nei prossimi cinque anni la maggioranza dei votanti sarà costituita dalle generazioni che non hanno conosciuto la rivoluzione di Khomeini.
Questo sarà il vero cambiamento.

Europa quotidiano, mercoledì 13 dicembre 2006

qui il pdf dalla rassegna stampa della Camera

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