Tre giganti ossessionati dalla pensione
AUTOMOBILE I CAPI DI GM, FORD E CHRYSLER IERI ALLA CASA BIANCA
Tre giganti ossessionati dalla pensione
di stefano baldolini
EUROPAQUOTIDIANO, mercoledì 15 novembre 2006
Nessun sostegno del governo, così come avvenne nel 1979 quando il Congresso salvò la Chrysler dalla bancarotta, ma risolvere il nodo degli oneri sanitari e dei costi di produzione decisamente più cari dei concorrenti stranieri, giapponesi in testa, che sfruttano anche la debolezza dello yen. Poi c’è la questione dei carburanti ecologici alternativi.
Con queste priorità, dopo sei mesi di tira e molla, i capi delle Big Three, General Motors, Ford e Chrysler, hanno ieri incontrato George W. Bush alla Casa Bianca. Facendolo all’indomani delle Mid Term, così come richiesto dallo stesso Bush la scorsa estate all’ennesimo rinvio, entrambe le parti arrivano allo storico vertice – l’ultimo del genere fu nell’era Clinton, nel maggio del ’93 – decisamente indebolite.
Da lame duck, anatra zoppa, il presidente, e prostrate dalla crisi del settore, le tre case di produzione di auto. Così se da un lato suonano ormai datate le key-issues del secondo mandato – energia e welfare – le priorità sollevate nell’ultimo discorso sullo stato dell’Unione lo scorso 31 gennaio, dall’altro prosegue senza sosta l’offensiva asiatica. Una su tutte, quella della Toyota.
Il gruppo giapponese, infatti, intende portare al 15 per cento la sua quota globale di mercato entro il 2010. Lo rivela il Wall Street Journal sulla base di un piano riservato aziendale di cui sarebbe entrato in possesso. Attualmente il gruppo automobilistico, che punta a scalzare nei prossimi anni General Motors dalla leadership dei produttori auto mondiali, detiene l’11 per cento della quota di mercato globale e per crescere sta puntando a una aggressiva politica di espansione sui mercati emergenti, Brasile, Russia, India e Cina, le cosiddette Bric economies, in testa. Secondo il Wsj, si stima inoltre che la vendita globale di auto salirà nel 2010 a 73 milioni di veicoli contro i 65 milioni del 2005.
La posta in gioco è molto di più della salute delle grandi del settore. Per dirla con Debbie Stabenow, senatrice democratica del Michigan, lo stato con capitale Detroit dove hanno sede le Big Three, l’industria automobilistica «ha costruito la middle-class di questo paese», e adottare delle politiche che abbiano efficacia nell’economia globale vuol dire salvaguardare la stessa «middle-class way of life», lo stile di vita inventato ed esportato dagli Stati Uniti negli anni del boom economico. In questo senso quello in Vietnam sabato prossimo tra il premier giapponese Shinzo Abe e Bush, dovrebbe essere decisivo per capire se Tokyo ha intenzione di lavorare per l’equilibrio delle valute e dei conseguenti costi di produzione.
Gonfiati, sostengono le Big Three, anche dalla spesa per pensioni e sanità che comporta costi superiori a quello dell’acciaio e pari a mille dollari per ogni vettura prodotta a Detroit.
Quella del welfare è una questione che si trascina da anni. Big Three e United Auto Workers, il sindacato dei lavoratori del settore automobilistico, stanno negoziando duramente per rivedere il sistema di prestazioni. Schiacciata da questioni valutarie e welfare, invece sembra restare sullo sfondo la vicenda dello sviluppo di carburanti ecologici. Quello che è certo è che, indebolito dal risultato elettorale, Bush difficilmente userà i toni del recente passato quando invitava le grandi case americane a produrre «auto competitive».
Molto più probabile che ci si approssimerà al pensiero di Sander Levin, rappresentante democratico del Michigan alla Camera: «Le Big Three stanno producendo buone vetture. Noi non abbiamo prodotto buone politiche».
Tre giganti ossessionati dalla pensione
di stefano baldolini
EUROPAQUOTIDIANO, mercoledì 15 novembre 2006
Nessun sostegno del governo, così come avvenne nel 1979 quando il Congresso salvò la Chrysler dalla bancarotta, ma risolvere il nodo degli oneri sanitari e dei costi di produzione decisamente più cari dei concorrenti stranieri, giapponesi in testa, che sfruttano anche la debolezza dello yen. Poi c’è la questione dei carburanti ecologici alternativi.
Con queste priorità, dopo sei mesi di tira e molla, i capi delle Big Three, General Motors, Ford e Chrysler, hanno ieri incontrato George W. Bush alla Casa Bianca. Facendolo all’indomani delle Mid Term, così come richiesto dallo stesso Bush la scorsa estate all’ennesimo rinvio, entrambe le parti arrivano allo storico vertice – l’ultimo del genere fu nell’era Clinton, nel maggio del ’93 – decisamente indebolite.
Da lame duck, anatra zoppa, il presidente, e prostrate dalla crisi del settore, le tre case di produzione di auto. Così se da un lato suonano ormai datate le key-issues del secondo mandato – energia e welfare – le priorità sollevate nell’ultimo discorso sullo stato dell’Unione lo scorso 31 gennaio, dall’altro prosegue senza sosta l’offensiva asiatica. Una su tutte, quella della Toyota.
Il gruppo giapponese, infatti, intende portare al 15 per cento la sua quota globale di mercato entro il 2010. Lo rivela il Wall Street Journal sulla base di un piano riservato aziendale di cui sarebbe entrato in possesso. Attualmente il gruppo automobilistico, che punta a scalzare nei prossimi anni General Motors dalla leadership dei produttori auto mondiali, detiene l’11 per cento della quota di mercato globale e per crescere sta puntando a una aggressiva politica di espansione sui mercati emergenti, Brasile, Russia, India e Cina, le cosiddette Bric economies, in testa. Secondo il Wsj, si stima inoltre che la vendita globale di auto salirà nel 2010 a 73 milioni di veicoli contro i 65 milioni del 2005.
La posta in gioco è molto di più della salute delle grandi del settore. Per dirla con Debbie Stabenow, senatrice democratica del Michigan, lo stato con capitale Detroit dove hanno sede le Big Three, l’industria automobilistica «ha costruito la middle-class di questo paese», e adottare delle politiche che abbiano efficacia nell’economia globale vuol dire salvaguardare la stessa «middle-class way of life», lo stile di vita inventato ed esportato dagli Stati Uniti negli anni del boom economico. In questo senso quello in Vietnam sabato prossimo tra il premier giapponese Shinzo Abe e Bush, dovrebbe essere decisivo per capire se Tokyo ha intenzione di lavorare per l’equilibrio delle valute e dei conseguenti costi di produzione.
Gonfiati, sostengono le Big Three, anche dalla spesa per pensioni e sanità che comporta costi superiori a quello dell’acciaio e pari a mille dollari per ogni vettura prodotta a Detroit.
Quella del welfare è una questione che si trascina da anni. Big Three e United Auto Workers, il sindacato dei lavoratori del settore automobilistico, stanno negoziando duramente per rivedere il sistema di prestazioni. Schiacciata da questioni valutarie e welfare, invece sembra restare sullo sfondo la vicenda dello sviluppo di carburanti ecologici. Quello che è certo è che, indebolito dal risultato elettorale, Bush difficilmente userà i toni del recente passato quando invitava le grandi case americane a produrre «auto competitive».
Molto più probabile che ci si approssimerà al pensiero di Sander Levin, rappresentante democratico del Michigan alla Camera: «Le Big Three stanno producendo buone vetture. Noi non abbiamo prodotto buone politiche».