Monday, November 13, 2006

Occidente, grande consumatore d’oppio. Cioè, principale finanziatore dei talebani

Occidente, grande consumatore d’oppio. Cioè, principale finanziatore dei talebani
di STEFANO BALDOLINI
EUROPA QUOTIDIANO, sabato 11 novembre 2006

Spray chimici dal cielo contro le coltivazioni d’oppio. È l’ultima risorsa della jihad, la guerra santa, lanciata dal presidente Hamid Karzai contro «il grande nemico» che «sta distruggendo l’Afghanistan e le sue prospettive future». Nel giro di vite annunciato alla Bbc nei giorni scorsi – ma criticato da parte delle stessa compagine governativa – ci sarebbe anche la possibilità di licenziare i governatori inefficaci. Tra cui i capi della polizia della provincia nord orientale del Badakhshan, «cacciati per inettitudine», come ha dichiarato all’agenzia cinese Xinhua il portavoce del ministero antinarcotici afghano, Mohammad Azam.
Questo mentre la produzione di oppio in Afghanistan è tornata fuori controllo. Dopo un 2005 positivo, è infatti aumentata del 59 per cento nel 2006 fino a un record di 165mila ettari contro 104mila. Oggi, secondo i dati dell’ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc), rappresenta il 92 per cento dell’oppio mondiale. «L’Afghanistan sta in pratica fornendo l’oppio mondiale », ha osservato il portavoce Unodc, «ci sono inoltre prove che il paese è sempre più schiavo del suo oppio». L’agenzia ha indicato che quasi tre milioni di persone sono coinvolte in questa attività, ossia il 12,6 per cento della popolazione afghana, e che i ricavi generati dai raccolti dovrebbero superare i tre miliardi di dollari Usa (circa 2,4 miliardi di euro). È un grosso balzo all’indietro rispetto all’anno scorso, quando, sempre secondo l’Onu, si era registrato un calo del 21 per cento, passando da 131.000 a 104.000 ettari di coltivazioni d’oppio. Erano «le migliori notizie sul fronte droga dalla caduta dei talebani», avevano commentato i responsabili del Survey 2005. Altri tempi.
Il problema è che alla produzione di oppio è strettamente legata la recrudescenza della guerriglia talebana.
«Grandi trafficanti, signori della guerra e insorti – si legge nella prefazione all’Afghanistan Opium Survey 2006 – stanno raccogliendo i profitti di questo raccolto eccezionale per diffondere instabilità, infiltrare le istituzioni pubbliche, arricchirsi». Il rischio è enorme.
«L’Afghanistan sta mutando da narco-economia a narco- stato». I proventi sono utilizzati per finanziare la guerriglia.
Gli agricoltori locali vendono i loro raccolti ai talebani, che li rivendono e si finanziano grazie alle entrate.
Così non è un caso se nella provincia meridionale di Helmand, una delle più colpita dalle violenze, la coltivazione è cresciuta del 162 per cento toccando quasi 70mila ettari.
Preso atto della situazione, l’Unodc ha esortato le truppe Nato e afghane ad attaccare i laboratori di eroina, i bazar dell’oppio e i convogli che trasportano le sostanze stupefacenti.
Anche l’amministrazione Bush ammette il legame tra “resistenza” dei talebani e traffico di droga. «Quest’anno – ha dichiarato nei giorni scorsi Richard Boucher, assistente del segretario di stato Usa per gli affari dell’Asia centrale e meridionale – tutti noi siamo rimasti sorpresi dall’intensità della violenza ». Violenza che «dipende da numerosi fattori». Tra cui, oltre alla capacità di attraversare la frontiera e riparare in Pakistan, «i proventi della droga».
Di qui le difficoltà che governo afghano e forze occidentali hanno trovato nel tentativo di estendere l’amministrazione Karzai anche nelle province del sud. Solo ieri, in una lettera al Consiglio di sicurezza, Human Rights Watch ha lanciato un appello affinché il Palazzo di Vetro provi a indirizzare la crisi nel paese: più di tremila morti nell’ultimo anno, mille vittime civili nel sud, 80mila profughi nella regione a causa del conflitto e della siccità.
Dalla stessa Nato intanto sono partite le richieste all’Unione europea di mettere in moto un secondo binario di intervento, focalizzato sulla ricostruzione civile. L’alleanza – che ha preso da ottobre la responsabilità della sicurezza in tutto l’Afghanistan con circa 30mila soldati – ha ammesso di avere sottostimato la portata della violenza che fronteggia in Afghanistan e ammesso che il conflitto non può essere risolto soltanto con mezzi militari.

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