Nel 2050 non basteranno due pianeti
Nel 2050 non basteranno due pianeti per i nostri consumi, denuncia il Wwf
Gli esperti che hanno redatto il “Living Planet Report 2006” denunciano un degrado degli ecosistemi naturali «senza precedenti nella storia della specie umana», un processo che diventerà irreversibile «se non si imboccherà la strada della sostenibilità dello sviluppo, integrando politiche economiche e ambientali».
di STEFANO BALDOLINI
EUROPA QUOTIDIANO, mercoledì 25 ottobre 2006
Un pianeta non basta, e nel 2050 ce ne vorranno almeno due, se continua l’attuale ritmo di consumo di risorse naturali: acqua, suolo fertile, risorse forestali, specie animali. Gli ecosistemi naturali infatti si stanno degradando ad un ritmo «senza precedenti nella storia della specie umana». È quanto si legge nel “Living Planet Report 2006”, il rapporto del Wwf giunto alla sua sesta edizione.
Dopo due anni di studi gli esperti, che hanno analizzato lo stato naturale del pianeta ed il ritmo attuale di consumo delle risorse, indicano «che la popolazione umana entro il 2050 raggiungerà un ritmo di consumo pari a due volte la capacità della Terra». Fatto tanto più grave perché irreversibile, considerato che il nostro pianeta è un sistema biologico “chiuso”, ossia che non può interagire con l’ambiente esterno scambiando materia.
Il “Living Planet Report” «conferma anche una continua perdita di biodiversità, così come analizzato nelle precedenti edizioni ». In questo senso i grafici degli andamenti delle popolazioni delle specie viventi dimostrano «globalmente una pericolosa discesa ». Il rapporto dimostra che in 33 anni (dal 1970 al 2003) le popolazioni di vertebrati hanno subito un tracollo di almeno un terzo.
Questo mentre nello stesso tempo l’Impronta Ecologica dell’uomo – ovvero, “quanto pesa” la domanda di risorse naturali da parte delle attività umane – «è aumentata ad un punto tale che la Terra non è più capace di rigenerare ciò che viene consumato».
L’Impronta Ecologica dell’uomo (Ecological Footprint) è uno dei due indicatori compilati dai ricercatori per raffigurare lo “stato di salute” del pianeta.
L’altro, l’Indice del pianeta vivente (Living Planet Index) si basa sui trend di oltre 3600 distinte popolazioni di circa 1300 specie di vertebrati in tutto il mondo: 695 specie terrestri, 344 di acqua dolce e 274 specie marine. E negli oltre trent’anni presi in considerazione le specie terrestri si sono ridotte del 31%, quelle di acqua dolce del 28% e quelle marine del 27%.
«Il rapporto tra i due indici» mostra «che la “nostra impronta” ha già superato nel 2003 del 25% la capacità bioproduttiva dei sistemi naturali da noi utilizzati per il nostro sostentamento». Nel report precedente (pubblicato nel 2004 e basato su dati del 2001) era del 21%. In particolare, «l’Impronta relativa alla CO2, derivante dall’uso di combustibili fossili, è stata quella con il maggiore ritmo di crescita dell’intera Impronta globale: il nostro ‘contributo’ di CO2 in atmosfera è cresciuto di nove volte dal 1961 al 2003».
Come da tradizione, lo studio del Wwf stila una classifica tra i paesi. L’Italia «ha un’impronta ecologica (sui dati 2003) di 4,2 ettari globali pro capite con una biocapacità di un ettaro globale pro capite, dimostrando quindi un deficit ecologico di 3.1 ettaro globale pro capite». Nella classifica mondiale è al 29mo posto, non male in assoluto, ma in coda rispetto al resto dei paesi europei.
«È evidente», secondo il Wwf, «che anche l’Italia deve cambiare rotta al più presto e imboccare la strada della sostenibilità del proprio sviluppo, integrando le politiche economiche con quelle ambientali.
» «Siamo in un debito ecologico estremamente preoccupante, considerato che i calcoli dell’Impronta ecologica sono per difetto », ha spiegato Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia, «è tempo di assumere scelte radicali per quanto riguarda il mutamento dei nostri modelli di produzione e consumo. Il nostro futuro dipenderà da come impostiamo oggi la costruzione delle città, da come affrontiamo la pianificazione energetica, da come costruiamo le nostre abitazioni e da come tuteliamo e ripristiniamo la biodiversità».
Dal punto di vista globale, i paesi «con oltre un milione di abitanti con l’Impronta ecologica più vasta calcolata su un ettaro globale a persona, sono gli Emirati Arabi, gli Stati Uniti, la Finlandia, il Canada, il Kuwait, l’Australia, l’Estonia, la Svezia, la nuova Zelanda e la Norvegia». La Cina si pone a metà nella classifica mondiale, al 69mo posto, ma la sua crescita economica (che nel 2005 è stato del 10,2%) ed il rapido sviluppo economico che la caratterizza, insieme a India e gli altri giganti emergenti, «giocheranno un ruolo chiave nell’uso sostenibile delle risorse del pianeta nel futuro». Di qui la scelta di diffondere il “Living Planet Report” da Pechino.
Gli esperti che hanno redatto il “Living Planet Report 2006” denunciano un degrado degli ecosistemi naturali «senza precedenti nella storia della specie umana», un processo che diventerà irreversibile «se non si imboccherà la strada della sostenibilità dello sviluppo, integrando politiche economiche e ambientali».
di STEFANO BALDOLINI
EUROPA QUOTIDIANO, mercoledì 25 ottobre 2006
Un pianeta non basta, e nel 2050 ce ne vorranno almeno due, se continua l’attuale ritmo di consumo di risorse naturali: acqua, suolo fertile, risorse forestali, specie animali. Gli ecosistemi naturali infatti si stanno degradando ad un ritmo «senza precedenti nella storia della specie umana». È quanto si legge nel “Living Planet Report 2006”, il rapporto del Wwf giunto alla sua sesta edizione.
Dopo due anni di studi gli esperti, che hanno analizzato lo stato naturale del pianeta ed il ritmo attuale di consumo delle risorse, indicano «che la popolazione umana entro il 2050 raggiungerà un ritmo di consumo pari a due volte la capacità della Terra». Fatto tanto più grave perché irreversibile, considerato che il nostro pianeta è un sistema biologico “chiuso”, ossia che non può interagire con l’ambiente esterno scambiando materia.
Il “Living Planet Report” «conferma anche una continua perdita di biodiversità, così come analizzato nelle precedenti edizioni ». In questo senso i grafici degli andamenti delle popolazioni delle specie viventi dimostrano «globalmente una pericolosa discesa ». Il rapporto dimostra che in 33 anni (dal 1970 al 2003) le popolazioni di vertebrati hanno subito un tracollo di almeno un terzo.
Questo mentre nello stesso tempo l’Impronta Ecologica dell’uomo – ovvero, “quanto pesa” la domanda di risorse naturali da parte delle attività umane – «è aumentata ad un punto tale che la Terra non è più capace di rigenerare ciò che viene consumato».
L’Impronta Ecologica dell’uomo (Ecological Footprint) è uno dei due indicatori compilati dai ricercatori per raffigurare lo “stato di salute” del pianeta.
L’altro, l’Indice del pianeta vivente (Living Planet Index) si basa sui trend di oltre 3600 distinte popolazioni di circa 1300 specie di vertebrati in tutto il mondo: 695 specie terrestri, 344 di acqua dolce e 274 specie marine. E negli oltre trent’anni presi in considerazione le specie terrestri si sono ridotte del 31%, quelle di acqua dolce del 28% e quelle marine del 27%.
«Il rapporto tra i due indici» mostra «che la “nostra impronta” ha già superato nel 2003 del 25% la capacità bioproduttiva dei sistemi naturali da noi utilizzati per il nostro sostentamento». Nel report precedente (pubblicato nel 2004 e basato su dati del 2001) era del 21%. In particolare, «l’Impronta relativa alla CO2, derivante dall’uso di combustibili fossili, è stata quella con il maggiore ritmo di crescita dell’intera Impronta globale: il nostro ‘contributo’ di CO2 in atmosfera è cresciuto di nove volte dal 1961 al 2003».
Come da tradizione, lo studio del Wwf stila una classifica tra i paesi. L’Italia «ha un’impronta ecologica (sui dati 2003) di 4,2 ettari globali pro capite con una biocapacità di un ettaro globale pro capite, dimostrando quindi un deficit ecologico di 3.1 ettaro globale pro capite». Nella classifica mondiale è al 29mo posto, non male in assoluto, ma in coda rispetto al resto dei paesi europei.
«È evidente», secondo il Wwf, «che anche l’Italia deve cambiare rotta al più presto e imboccare la strada della sostenibilità del proprio sviluppo, integrando le politiche economiche con quelle ambientali.
» «Siamo in un debito ecologico estremamente preoccupante, considerato che i calcoli dell’Impronta ecologica sono per difetto », ha spiegato Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia, «è tempo di assumere scelte radicali per quanto riguarda il mutamento dei nostri modelli di produzione e consumo. Il nostro futuro dipenderà da come impostiamo oggi la costruzione delle città, da come affrontiamo la pianificazione energetica, da come costruiamo le nostre abitazioni e da come tuteliamo e ripristiniamo la biodiversità».
Dal punto di vista globale, i paesi «con oltre un milione di abitanti con l’Impronta ecologica più vasta calcolata su un ettaro globale a persona, sono gli Emirati Arabi, gli Stati Uniti, la Finlandia, il Canada, il Kuwait, l’Australia, l’Estonia, la Svezia, la nuova Zelanda e la Norvegia». La Cina si pone a metà nella classifica mondiale, al 69mo posto, ma la sua crescita economica (che nel 2005 è stato del 10,2%) ed il rapido sviluppo economico che la caratterizza, insieme a India e gli altri giganti emergenti, «giocheranno un ruolo chiave nell’uso sostenibile delle risorse del pianeta nel futuro». Di qui la scelta di diffondere il “Living Planet Report” da Pechino.
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