Ma la morte arriva prima della sentenza
PROCESSI DI OGGI
Ma la morte arriva prima della sentenza
di Stefano Baldolini
EUROPA QUOTIDIANO venerdì 20 ottobre 2006
Più che la giustizia è la morte il triste filo conduttore dei grandi processi ai protagonisti della storia recente.
Aspettando la cattura del generale Ratko Mladic e Radovan Karadzic, sono tutti morti i protagonisti del con- flitto nell’ex Jugoslavia, Slobodan Milosevic, Franjo Tudjman e Alija Izetbegovic.
I giudici del Tribunale dell’Aja hanno potuto processare solo il primo dei tre che il 21 novembre 1995, in una base aerea dell’Ohio, firmavano soddisfatti i celebri accordi di Dayton ponendo fine a oltre tre anni di “macelleria” nel cuore dell’Europa.
Ed è la pena di morte ad essere evocata, peraltro senza troppi giri di parole, nell’altro grande processo in corso, quello a Saddam Hussein. Così, «A dio piacendo», ha detto solo qualche giorno fa il premier iracheno Nouri al Maliki, «il procedimento non durerà a lungo». Che poi i processi a carico dell’ex rais di Bagdad sono due. Il primo, per la strage nel villaggio sciita di Dujail, sta per arrivare a conclusione: il verdetto è atteso per il 5 novembre. Quello per la “campagna Anfal” contro i curdi, è invece appena iniziato ed è segnato dal boicottaggio dei legali di Saddam, che da oltre un mese hanno deciso di saltare le udienze per protesta contro ingerenze del governo nel dibattimento.
Nel processo che vede Saddam e il cugino Alì Hassal al Majid (“Alì il chimico”) incriminati per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, coerentemente con il carattere mediatico che lo caratterizza, non sono mancati i colpi di scena. Come quando, dopo esser stato espulso dall’aula per aver tentato di leggere un versetto del Corano, è stato lo stesso Saddam a chiedere giustizia.
«Quando l’accusa parla, il mondo ascolta; quando l’imputato parla, gli spegnete il microfono: è giusto?».
Ma la morte arriva prima della sentenza
di Stefano Baldolini
EUROPA QUOTIDIANO venerdì 20 ottobre 2006
Più che la giustizia è la morte il triste filo conduttore dei grandi processi ai protagonisti della storia recente.
Aspettando la cattura del generale Ratko Mladic e Radovan Karadzic, sono tutti morti i protagonisti del con- flitto nell’ex Jugoslavia, Slobodan Milosevic, Franjo Tudjman e Alija Izetbegovic.
I giudici del Tribunale dell’Aja hanno potuto processare solo il primo dei tre che il 21 novembre 1995, in una base aerea dell’Ohio, firmavano soddisfatti i celebri accordi di Dayton ponendo fine a oltre tre anni di “macelleria” nel cuore dell’Europa.
Ed è la pena di morte ad essere evocata, peraltro senza troppi giri di parole, nell’altro grande processo in corso, quello a Saddam Hussein. Così, «A dio piacendo», ha detto solo qualche giorno fa il premier iracheno Nouri al Maliki, «il procedimento non durerà a lungo». Che poi i processi a carico dell’ex rais di Bagdad sono due. Il primo, per la strage nel villaggio sciita di Dujail, sta per arrivare a conclusione: il verdetto è atteso per il 5 novembre. Quello per la “campagna Anfal” contro i curdi, è invece appena iniziato ed è segnato dal boicottaggio dei legali di Saddam, che da oltre un mese hanno deciso di saltare le udienze per protesta contro ingerenze del governo nel dibattimento.
Nel processo che vede Saddam e il cugino Alì Hassal al Majid (“Alì il chimico”) incriminati per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, coerentemente con il carattere mediatico che lo caratterizza, non sono mancati i colpi di scena. Come quando, dopo esser stato espulso dall’aula per aver tentato di leggere un versetto del Corano, è stato lo stesso Saddam a chiedere giustizia.
«Quando l’accusa parla, il mondo ascolta; quando l’imputato parla, gli spegnete il microfono: è giusto?».
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