Annan e «Oil for food», ora scelte severe
L’ONU MACCHIATA DAGLI SCANDALI
di GIANNI RIOTTA
Supponiamo che il presidente di una multinazionale sia indagato per appalti privilegiati concessi al proprio figliolo, mentre il consiglio d'amministrazione sparge mazzette a un sanguinario dittatore e i dirigenti finiscono, uno dopo l'altro, dimissionari per corruzione. E supponiamo che impiegati dell’azienda vengano accusati di avere violentato bambine affamate in Africa, in cambio di un biscotto. E che, infine, due commissari dell’inchiesta sullo scandalo denuncino l’insabbiamento delle loro rivelazioni. Come reagirebbe l'opinione pubblica? Con sdegno certo, picchetti di ragazzi appassionati fuori dagli uffici della multinazionale, sussiegosi editoriali sui giornali, richieste di condanne, pronte e definitive. Questo triste scenario di fantasia è in corso, tragicamente reale, alle Nazioni Unite, la più importante e prestigiosa organizzazione multilaterale del pianeta. Il segretario generale Kofi Annan resta impegolato nello scandalo Oil for food (i fondi neri pagati ai gerarchi di Saddam Hussein, una palude di 50 miliardi di euro), con il figlio Kojo a nascondere le imbarazzanti parcelle Cotecna, una delle aziende coinvolte. Dopo le accuse di condotta illecita al sottosegretario Onu, Sevan, è ora il canadese Strong, inviato dell’Onu in Corea, a doversi «autosospendere» perché troppo amico di un lobbista che smistava mazzette irachene. E due membri della commissione d’inchiesta, Robert Parton e Miranda Duncan, si sono dimessi, in segno di protesta contro le pressioni indebite, tese ad ammorbidire il rapporto finale a favore di Kofi e Kojo Annan. Degli abusi sessuali dei Caschi Blu in Africa, purtroppo tutti sappiamo, grazie alle confessioni delle bimbe stuprate che mai avremmo voluto ascoltare. È possibile, in questo clima, che le Nazioni Unite svolgano il ruolo indispensabile di mediazione degli affari internazionali sognato dai padri fondatori? Può un segretario affannato a difendersi da addebiti ogni giorno più umilianti, con lo staff che si squaglia e la commissione d’inchiesta lacerata dalle polemiche, condurre con serenità la delicata riforma del Consiglio di Sicurezza? No. E basta una sassata degli studenti cinesi, coccolati dalla polizia di Pechino, contro l’ambasciata giapponese, in odio al seggio di Tokio in Consiglio, a mandare all’aria la speranza di un’Onu trasformata in assemblea del mondo globale. Al Palazzo di Vetro nessuno ha più l’autorità morale per comporre i dissidi. Le Nazioni Unite devono ritrovare l’armonia, l’etica e l’indipendenza necessarie nel turbolento pianeta del 2005: sono falsi amici della bandiera blu coloro che, con ipocrisia, ne celano gli strappi. I veri amici chiedono, senza malizia, una riforma razionale che rammendi l’ordito logorato. Negli ultimi anni l’Onu è stata proposta, da improvvisati tribuni, come coscienza morale capace di opporsi alle guerre, agli imperialismi, all’inquinamento perfino, in nome della pace e dell’armonia. Ammesso che sia questo il suo ruolo, e non piuttosto la pragmatica e robusta mediazione degli interessi diffusi in nome dei diritti umani e dello sviluppo, è evidente che le Nazioni Unite stanno perdendo carisma, incapaci di intimidire prepotenti e grassatori. Proprio mentre il Senato Usa rilutta opportunamente, incerto se confermare il collerico conservatore Bolton come ambasciatore di Washington all’Onu, gli uomini di Kofi Annan si incaponiscono in un’erratica condotta che conferma i peggiori pregiudizi unilaterali dei neoconservatori. Per chiunque ami davvero l’Onu, e voglia servirla con passione, il momento delle scelte severe e disinteressate è giunto. Entro settembre, quando si discuterà di riforme, il Palazzo di Vetro deve ripulirsi dalle chiazze di petrolio e tornare cristallino.