Monday, September 11, 2006

«Discontinuità con Brown? Neppure nella politica estera»

INTERVISTA PER IL POLITOLOGO COLIN HAY, L’AVVENTURA IRACHENA RISCHIA DI OSCURARE I SUCCESSI DOMESTICI
«Discontinuità con Brown? Neppure nella politica estera»
di STEFANO BALDOLINI
Europa Quotidiano venerdi 8 settembre 20006

Colin Hay, politologo e docente all’università di Birmingham, nutre pochi dubbi. Tony Blair sarà ricordato più per la guerra in Iraq che per la sua politica di liberalizzazioni, o per il rinnovamento del Labour. E quello del premier è un tentativo di allungare i tempi della transizione.
Ieri l’ennesimo capitolo della cosiddetta exit strategy di Tony Blair. Come giudica questa fase?
È evidente che stiamo assistendo al superamento di Tony Blair. E il suo è senza dubbio il tentativo di rimandare il più possibile il passaggio di consegne. Questo per due motivi, per consentire un’eredità politica, e per poter lasciare un ricordo positivo nella storia.
Ma tra scandali, guerra in Iraq, atteggiamento troppo defilato in Libano, il suo governo non se la sta passando troppo bene. Così non gli rimane che durare il più possibile, e in questo senso fare tutto quello che è nelle sue possibilità per restare al potere aspettando un momento più favorevole per lasciare. È triste doverlo ammettere. Ma la mia opinione è che Blair sarà ricordato nei libri di storia soprattutto negativamente a causa degli errori compiuti in politica estera. E a questo punto non gli rimane che fronteggiare la leadership montante nel partito che mira alla sua successione o annunciare le sue dimissioni.
Che era quello che sembrava volesse fare.
Come gestirà la transizione?
Penso che abbia già perso la capacità di gestire il processo. L’unica cosa che può ancora fare è controllare gli effetti che tale transizione provocherà, minimizzare i danni. È per questo che non ha fornito la data delle dimissioni.
Dichiarare una scadenza significherebbe perdere la capacità di fare politica e lasciare che il suo governo diventi una “lame duck”, un’“anatra zoppa” capace solo di trascinarsi fino alla fi- ne del suo mandato. Il problema però è un altro. Che sia se si dimette tra dodici mesi, sia se lo fa prima, il suo governo è già un’”anatra zoppa”.
Qual è l’eredità del blairismo?
È una buona domanda. Per molti aspetti, diversamente da altri governi, Blair ha costruito la sua fortuna su un lascito politico. Ciònonostante sarà probabilmente ricordato per come ha provato a spiegare l’uso di determinati strumenti nella lotta al terrorismo, piuttosto che per come ha gestito – e bene – le risorse a disposizione.
Questa probabilmente non era l’intenzione reale di Blair, ma è il modo in cui le cose si sono sviluppate.
Non sono sicuro che questo governo e il blairismo in generale saranno ricordati per ciò che hanno fatto nella politica interna. O meglio sarà probabilmente ricordato un primo periodo di relativo sostegno della crescita economica, una fase senza particolari problemi, ma non molto più fortunata di altre.
Ma se il blairismo, oltre che politica interna, è stato anche politica estera, e soprattutto un allineamento con la politica degli Stati Uniti, allora stiamo parlando di un’eredità che ha isolato il paese dal resto della comunità internazionale.
A proposito, con il passaggio di consegne, cambieranno le relazioni con gli Stati Uniti?
Questo è un punto interessante. La maggior parte dell’opinione pubblica pensa che Gordon Brown sarà il nuovo leader del Partito laburista e che le cose cambieranno. Ma dobbiamo ricordare però che nel 1997 era Brown – piuttosto che Blair – ad essere percepito c o m e l’ « a m i c o americano ». Che la linea economica seguita da Brown è sempre stata molto vicina a quella di Washington e che Brown stessi ha passato molto tempo negli Stati Uniti.
Insomma l’idea che l’avvento di Gordon Brown coinciderà con un cambio significativo nella politica estera di Londra rispetto a Washington è poco realistica.
Penso anche che la linea Blair possa cambiare, ma che in quel caso – considerato lo spostamento di Bush su posizionipiù internazionaliste, meno unilaterale – debba fare di più, smarcarsi in maniera più evidente. La prossimità con Bush ha portato la politica estera di Blair in un’area decisamente troppo poco popolare.
Comunque in assoluto, dal futuro, mi aspetto maggiore continuità piuttosto che una rottura nella politica estera.
Gli intellettuali palestinesi hanno dichiarato Blair «persona non grata». Non vogliono che si rechi nei Territori occupati. Contestano il suo attendismo nella guerra tra Gerusalemme e Hezbollah e il suo “appiattimento” su Israele.
Penso che sia un’applicazione di quanto affermato prima, nel caso specifico del Medio Oriente. Io credo che Blair abbia atteso a prendere posizione sul cessate il fuoco in Libano nella speranza che ci potesse essere un’evolversi della situazione positiva in ogni caso, un ritiro degli israeliani.
Ma poi è stato preso in contropiede dalla piega che ha preso la situazione, dall’entrata in campo della diplomazia e dalla posizione di Parigi in dialettica con Washington, e di riflesso con Londra.

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