Monday, September 11, 2006

«Aspettando la fase due, Al Qaeda fa sapere che è ancora viva»

TERRORISMO  L’ANALISI DI SAJJAN GOHEL, ESPERTO DI SICUREZZA INTERNAZIONALE DELLA ASIA-PACIFIC FOUNDATION DI LONDRA
«Aspettando la fase due, Al Qaeda fa sapere che è ancora viva»
di STEFANO BALDOLINI
Europa di sabato 9 settembre 2001

«L’ultimo video di Al Qaeda diffuso da Al Jazeera mette in luce una dimensione interessante. Per la prima volta sono mostrati membri chiave dell’organizzazione nell’atto di pianificare l’attentato alle Twins Towers ». Parola di Sajjan Gohel, direttore della sicurezza internazionale per la Asia-Pacific Foundation, con sede a Londra. «Quello che Al Qaeda ha fatto è portare i suoi membri indietro nel tempo, e vicino ai suoi uomini chiave », dice l’esperto di terrorismo. Con un solo obiettivo. «Ricordare al mondo che è ancora viva, tuttora attiva. Che i suoi key-leaders non sono stati catturati.
Che ha la capacità di controllare l’agenda». E a dimostrare quanto ritenga importante la propaganda, il fatto che «solo quest’anno ci siano stati ben 17 messaggi di al Qaeda».
Solo qualche giorno prima George W. Bush aveva ammesso l’esistenza delle carceri segrete Cia per i terroristi.
Una manna per i dietrologhi.
«Certamente – sostiene Gohel – è da sottolineare che il presidente Bush ha parlato esplicitamente di membri di Al Qaeda trasferiti a Guantanamo Bay con voli militari segreti». E che uno di questi è lo stesso Ramzi Bin Al Shibh comparso nel video. Il fatto che questi siano stati arrestati senza dubbio è un punto a favore dell’amministrazione.
Interessante però «che Al Qaeda abbia deciso di mostrarli in un video di propaganda».
Ai molti che si domandano perché nessuno dei leader – né Osama, né Al Zawahiri – abbia fatto dichiarazioni, Gohel risponde che fa parte del gioco.
Che è «parte della strategia mediatica adottata, dosare le apparizioni per catturare il massimo dell’attenzione mondiale ». D’altronde non è un caso se quest’anno i cinque messaggi di Osama bin Laden siano stati tutti audio.
«L’ultima volta che abbiamo visto Osama è stato nell’ottobre del 2004, a ridosso delle presidenziali americane.
Non sarei sorpreso se lo stesso Osama bin Laden decidesse di apparire in video nell’anniversario dell’11 settembre ».
Già l’11 settembre, lunedì fanno cinque anni, naturale chiedersi come stia andando la “War on Terror”. «Il problema – fa Gohel – è che non si combatte su un campo di battaglia convenzionale. La stessa Al Qaeda è un gruppo composito. E nonostante i leader arrestati o spariti, il terrorismo è proliferato, diversi gruppi in giro per il mondo continuano ad autofinanziarsi, ad auto-organizzarsi, a nutrirsi dell’ideologia qaedista. Così non si tratta di attaccare un gruppo ma diverse centinaia che hanno avuto “luce verde” di operare indipendentemente ». E il problema più grande è che non riusciamo a contrastare la fase del reclutamento, i cosiddetti breeding ground, i famigerati “campi di coltura”. E, «per ogni terrorista catturato, ce ne sono almeno cinque pronti ad entrare nell’organizzazione».
Poi c’è l’incubo della «stage two», la fase due. Ossia il «processo che Osama ha individuato per il futuro» del terrorismo internazionale. «Quella che il leader oggi vuole, – fa Gohel, senza nascondere la preoccupazione – è gente pronta ad usare il banner di Al Qaeda indipendentemente».
Nella stage two non servirà più andare nei campi d’addestramento in Afghanistan o in Pakistan. L’obiettivo è «reclutare i membri nella società europea, come è accaduto in Gran Bretagna, come potrebbe accadere in Italia ». Una new generation di terroristi «nati ed educati in Europa, con tutti gli skillsoccidentali, passaporto dell’Ue, possibilità di viaggiare. Questo è il tipo di persona che oggi Al Qaeda vuole reclutare. Molto pericoloso, perché come abbiamo visto in parte a Madrid o a Londra, si tratta di un nemico invisibile ».
Aspettando la “fase due”, rimane il problema di alcuni paesi, come il Pakistan, dove i terroristi continuano a proliferare.
«Il Pakistan è il “campo di coltura” del terrorismo, ma anche la fi- nishing school, l’ultimo stadio del processo, la tappa finale nella rotta del terrorismo internazionale. Dove gli aspiranti terroristi vengono reclutati, ma anche dove arrivano per perfezionarsi, imparare a usare l’esplosivo, giusti ficare con l’ideologia le loro intenzioni di colpire Usa ed Europa. Purtroppo il regime militare di Musharraf non è stato in grado di fronteggiare tale situazione così come l’Occidente si attendeva».
Gli ultimi attentati in India – solo ieri contro una moschea, lo scorso luglio in apertura del G8 di Mosca treni fatti saltare a Mumbai – fanno pensare ad un movimento del terrorismo verso Oriente. Ma Gohel sembra escludere che si tratti di un nuovo fronte. «L’Asia – Pakistan o Indonesia su tutti – sono da tempo al centro di attacchi terroristici. Gruppi locali sono per tradizione molto attivi, ma l’opinione pubblica occidentale non ha mai prestato molta attenzione a ciò che accadeva dall’altra parte del mondo».
Torniamo dunque alle responsabilità della comunità internazionale.
Qui Gohel non concede molti alibi.
«Dall’11 settembre si sta lavorando meglio in termini di condivisione di intelligence, di informazioni. Ma occorre che i governi mettano da parte la burocrazia e diventino più efficaci.
I paesi Ue per primi dovrebbero sviluppare politiche coordinate tra tutti e 25 i membri. E ovviamente è importante che vengano risolte le vicende in Iraq e Afghanistan». Insomma, non c’è dubbio, da quel maledetto martedì di sole newyorchese, «si stia cooperando di più», ma «non è ancora abbastanza».

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