Roma chiama Teheran. C’è una logica?
PARLA BIJAN ZARMANDILI
Roma chiama Teheran. C’è una logica?
di STEFANO BALDOLINI
Europa di 1 settembre 2006
Per Bijan Zarmandili, iraniano a Roma dal 1960, analista di Limes e autore di “La grande casa di Monirrieh” (Feltrinelli, 2004), la scelta della Farnesina di imbarcarsi nell’avventura iraniana è coerente con la politica estera sin qui seguita dal governo Prodi.
Teheran è un «passaggio chiave del nuovo Medio Oriente, più della stessa questione palestinese». Dunque è logico entrare nella partita del nucleare iraniano, tanto più che Teheran stesso vedrebbe di buon occhio un nostro impegno. Il punto è capire le reali motivazioni di tale, eventuale, bendisposizione.
Il governo italiano sembra intenzionato a dire la sua nella vicenda iraniana. Massimo D’Alema ha parlato di «energia atomica legittima se destinata a scopi paci- fici» e di un’«offerta negoziale vera» da sottoporre a Teheran.
Massimo D’Alema e Romano Prodi si sono resi conto che la chiave di qualsiasi politica che possa avere un lungo respiro è l’Iran. Può suonare paradossale, ma il problema iraniano ha più consistenza nella sostanza della crisi israelo–palestinese.
Perché l’Italia vuole entrare nel gruppo di contatto, nel cosiddetto 5+1?
Bisogna partire da un dato di fatto, durante il governo Berlusconi si è fatta una politica sbagliata, l’Italia ha perso tempo. È vero invece che con Lamberto Dini alla Farnesina era stato avviato un “dialogo critico” con l’Iran.
Che erano stati individuati molti interlocutori potenziali, nonché avviati importanti scambi commerciali. Ma sarebbe riduttivo leggere la vicenda in un una chiave puramente economica. Il punto è strategico. Si è raggiunta la consapevolezza che nessuna politica di un paese europeo verso il Medio Oriente ha un respiro sufficientemente ampio se non tiene conto dell’Iran. Basta guardare al recente conflitto libanese. Per la prima volta la guerra tra Gerusalemme e Hezbollah non è solo una guerra tra arabi e israeliani, ma un vero e proprio conflitto per l’egemonia regionale.
Perché l’Italia dovrebbe avere successo dove gli altri hanno fallito?
L’Italia non si pone il problema se avrà successo o meno. La questione è se essere dentro o no. Dunque il prossimo sforzo dovrebbe essere quello di far rientrare l’Italia nella dialettica in atto. Poi va considerato che con l’avvento di Condoleezza Rice si è aperto uno scenario multilaterale che favorisce iniziative inedite fino a poco tempo fa. In soldoni potrebbe accadere la stessa cosa che è accaduta nella vicenda libanese tra Italia e Francia. Se alla luce di una risoluzione, di fronte ad un eventuale veto, una eventuale proposta italiana viene comunque accettata, allora è chiaro che si sarà trattato di un successo diplomatico. Ma per ora si tratta di entrare nella partita.
E l’Iran perchè dovrebbe essere favorevole ad un ingresso dell’Italia? Non sarà che Teheran è interessata perché considera Roma un interlocutore più malleabile?
Gli iraniani pensano che una partecipazione italiana possa rafforzare la possibilità di un distacco dall’America.
Non suona esattamente come un requisito positivo...
Ma non bisogna fraintendere. Il fatto è che per comprendere la posizione iraniana bisogna ricostruire le diverse fasi della recente politica estera di Teheran. Con Mahmoud Ahmadinejad che chiude all’Europa dopo gli anni di dialogo del riformista Mohammad Khatami perchè nel momento decisivo l’Europa non lascia gli Stati Uniti. Quindi Ahmadinejad si affida a Russia e Cina, che però si rivelano poco affidabili... E ora a Teheran interessa che una parte dell’Europa prema sugli Stati Uniti perché non ci sia un attacco militare, perché ci sia un prolungamento del processo diplomatico. Di questo bisogna tenere conto.
Roma chiama Teheran. C’è una logica?
di STEFANO BALDOLINI
Europa di 1 settembre 2006
Per Bijan Zarmandili, iraniano a Roma dal 1960, analista di Limes e autore di “La grande casa di Monirrieh” (Feltrinelli, 2004), la scelta della Farnesina di imbarcarsi nell’avventura iraniana è coerente con la politica estera sin qui seguita dal governo Prodi.
Teheran è un «passaggio chiave del nuovo Medio Oriente, più della stessa questione palestinese». Dunque è logico entrare nella partita del nucleare iraniano, tanto più che Teheran stesso vedrebbe di buon occhio un nostro impegno. Il punto è capire le reali motivazioni di tale, eventuale, bendisposizione.
Il governo italiano sembra intenzionato a dire la sua nella vicenda iraniana. Massimo D’Alema ha parlato di «energia atomica legittima se destinata a scopi paci- fici» e di un’«offerta negoziale vera» da sottoporre a Teheran.
Massimo D’Alema e Romano Prodi si sono resi conto che la chiave di qualsiasi politica che possa avere un lungo respiro è l’Iran. Può suonare paradossale, ma il problema iraniano ha più consistenza nella sostanza della crisi israelo–palestinese.
Perché l’Italia vuole entrare nel gruppo di contatto, nel cosiddetto 5+1?
Bisogna partire da un dato di fatto, durante il governo Berlusconi si è fatta una politica sbagliata, l’Italia ha perso tempo. È vero invece che con Lamberto Dini alla Farnesina era stato avviato un “dialogo critico” con l’Iran.
Che erano stati individuati molti interlocutori potenziali, nonché avviati importanti scambi commerciali. Ma sarebbe riduttivo leggere la vicenda in un una chiave puramente economica. Il punto è strategico. Si è raggiunta la consapevolezza che nessuna politica di un paese europeo verso il Medio Oriente ha un respiro sufficientemente ampio se non tiene conto dell’Iran. Basta guardare al recente conflitto libanese. Per la prima volta la guerra tra Gerusalemme e Hezbollah non è solo una guerra tra arabi e israeliani, ma un vero e proprio conflitto per l’egemonia regionale.
Perché l’Italia dovrebbe avere successo dove gli altri hanno fallito?
L’Italia non si pone il problema se avrà successo o meno. La questione è se essere dentro o no. Dunque il prossimo sforzo dovrebbe essere quello di far rientrare l’Italia nella dialettica in atto. Poi va considerato che con l’avvento di Condoleezza Rice si è aperto uno scenario multilaterale che favorisce iniziative inedite fino a poco tempo fa. In soldoni potrebbe accadere la stessa cosa che è accaduta nella vicenda libanese tra Italia e Francia. Se alla luce di una risoluzione, di fronte ad un eventuale veto, una eventuale proposta italiana viene comunque accettata, allora è chiaro che si sarà trattato di un successo diplomatico. Ma per ora si tratta di entrare nella partita.
E l’Iran perchè dovrebbe essere favorevole ad un ingresso dell’Italia? Non sarà che Teheran è interessata perché considera Roma un interlocutore più malleabile?
Gli iraniani pensano che una partecipazione italiana possa rafforzare la possibilità di un distacco dall’America.
Non suona esattamente come un requisito positivo...
Ma non bisogna fraintendere. Il fatto è che per comprendere la posizione iraniana bisogna ricostruire le diverse fasi della recente politica estera di Teheran. Con Mahmoud Ahmadinejad che chiude all’Europa dopo gli anni di dialogo del riformista Mohammad Khatami perchè nel momento decisivo l’Europa non lascia gli Stati Uniti. Quindi Ahmadinejad si affida a Russia e Cina, che però si rivelano poco affidabili... E ora a Teheran interessa che una parte dell’Europa prema sugli Stati Uniti perché non ci sia un attacco militare, perché ci sia un prolungamento del processo diplomatico. Di questo bisogna tenere conto.
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