Saturday, August 19, 2006

Quarantanove pronti a partire. In teoria

GLI ALTRI  INCERTEZZA IN MOLTI PAESI. ZAPATERO: «UNA MISSIONE COMPLICATA»
Quarantanove pronti a partire. In teoria

di STEFANO BALDOLINI
EUROPA QUOTIDIANO SABATO 19 AGOSTO 2006

Corre forte la politica italiana, ma è ancora da definire la composizione finale della forza internazionale destinata a sorvegliare la fragile tregua tra Israele ed Hezbollah. Forza che dovrà essere «robusta, ben armata» ma «non offensiva», per dirla con il vice segretario generale delle Nazioni Unite, Mark Malloch Brown. Sono quarantanove i paesi che si sono detti «teoricamente pronti» a fornire uomini all’Unifil, a supporto dei 15mila militari libanesi che si stanno dispiegando nel sud del paese, dove per la prossima settimana è prevista una visita di Kofi Annan.
Intanto, in attesa della diffusione delle ormai celebri regole d’ingaggio inviate ieri alle cancellerie, mentre si aspettano le prossime mosse della Francia, Israele prova a mettere il veto alla presenza di peacekeepers appartenenti a paesi che non ne riconoscono il diritto all’esistenza. Il riferimento è all’Indonesia, alla Malaysia e al Brunei, paesi musulmani che non hanno rapporti diplomatici con Gerusalemme. Naturalmente dell’ipotesi gli interessati non vogliono sentire parlare. «Andremo in territorio libanese, non in territorio israeliano», ha commentato il ministro degli esteri malese Syed Hamid Albar. Tanto più che Indonesia e Malaysia, che presiede l’Organizzazione della conferenza islamica, dovrebbero inviare contingenti tutt’altro che trascurabili, ma pari a circa 1000 soldati a testa.
In generale il contingente più numeroso dovrebbe essere quello della Turchia, forte di una posizione logistica decisiva.
Si parla di ben 5000 uomini, ma Ankara prende tempo e chiede maggiore chiarezza. Non sono poche le gatte da pelare per il governo Erdogan, sulle prime addirittura in ballottaggio con Parigi per la guida della missione (almeno secondo gli auspici del dipartimento di stato americano riportati dal Washington Post). Per molti turchi infatti la presenza in una forza di pace finirebbe per avvallare di fatto le politiche israeliane.
Inoltre la crisi libanese non può non intrecciarsi con la questione curda, che, tra scontri con i militanti del Pkk e voci di possibili operazioni militari turche nell’Iraq del nord, dalla primavera scorsa è tornata rovente. A complicare la situazione, peraltro già abbastanza confusa, c’è la comunità armena libanese che in queste ore si dice allarmata da un eventuale invio di truppe di Ankara.
A fronte di una Turchia decisamente coinvolta, nessun soldato tedesco invece sarà impiegato nella missione. Dopo il no del cancelliere Angela Merkel, in attesa del pronunciamento del parlamento, è il ministro degli esteri Frank Walter Steimeier a ribadirlo. Così la Germania invierà in Libano solo «una robusta forza navale, per controllare la fornitura di armi al Libano via mare». Nel paese il dibattito s’è incentrato sulla opportunità o meno di inviare soldati che si sarebbero potuti trovare ad aprire il fuoco contro militari israeliani, risvegliando i fantasmi della seconda guerra mondiale.
Restando in Europa – che dovrebbe vedere almeno dodici paesi disponibili a contribuire al contingente militare – il primo ministro spagnolo José Luis Zapatero sta cercando di ottenere il più ampio sostegno delle forze politiche per quella che il suo ministro della difesa ha definito «una delle missioni più complicate in una delle zone più complicate del pianeta». Stretto tra il Partito Popolare e Izquierda Unida, sarà lo stesso Zapatero a dover riferire in parlamento entro il 25 luglio prossimo. Secondo fonti governative il contingente sarà di circa 700 soldati. Mentre la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, già ampliamente esposti in Afghanistan e Iraq, dovrebbero limitarsi a operazioni di supporto.
Intanto solo ieri lo stesso Malloch Brown ha rivolto un appello urgente ai paesi europei affinché forniscano in tempi brevi le truppe necessarie.

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