Wednesday, September 06, 2006

«Avanti Italia, ma con giudizio»

LA MISSIONE IN LIBANO Il professor John Harper commenta gli elogi del “New York Times” al nostro paese
«Avanti Italia, ma con giudizio»
Per il docente del Johns Hopkins Center, il nuovo corso della Farnesina non allontanerà Roma da Washington. Tutt’altro. E il “multilateralismo effettivo” di Prodi e D’Alema ha riportato l’Europa al centro del palcoscenico.
di STEFANO BALDOLINI
Europa 31 agosto 2006

È un vero e proprio endorsement quello del New York Times, che ieri ha rotto ogni indugio e auspicato un «ripensamento » del ruolo di secondo piano che era stato riservato finora all’Italia sulla scena internazionale. Anzi, visti i risultati della diplomazia nella vicenda libanese, il quotidiano liberal ha auspicato che l’Italia partecipi anche ai negoziati con l’Iran sul nucleare. Emblematico il titolo dell’editoriale di Roger Cohen, «L’Italia moderna segna un punto per entrare nella top league». A completare il quadro decisamente positivo, un lungo servizio, a partire dalla prima pagina, che evoca un nuovo corso per il nostro paese.
John Harper, docente di “American Foreign Policy and Europan Studies” al Johns Hopkins Center di Bologna, interpellato da Europa, tende a frenare l’entusiasmo.
«Nel governo di centro sinistra del premier Romano Prodi non c’è niente che sia di seconda classe », sostiene Cohen sul New York Times. Insomma, l’Italia è in serie A?
Forse è un po’ prematuro questo giudizio.
Sembra che Roger Cohen sia stato “folgorato” (ride, ndr). Certo questo articolo è sicuramente un segnale interessante, ma ad oggi non mi sembra di aver letto sulla stampa estera altri commenti simili. D’altronde la missione è appena cominciata, sarebbe sbagliato parlare ora di successo.
L’editorialista riconosce in particolare l’abilità italiana nell’«avvicinare ancora di più gli interessi americani ed europei», di fare da ponte meglio che Blair.
Questo è vero. Quando il New York Times mi ha chiesto se questo nuovo corso della politica italiana poteva causare dei problemi nelle relazioni tra Usa e Italia, io ho risposto di no. Mi sembra anzi che possa essere benvenuto dal dipartimento di stato e dall’opinione pubblica americana.
Diplomatici americani avrebbero parlato di “multilateralismo effettivo” che l’Italia sta portando avanti...
L’epoca in cui gli Usa agiscono unilateralmente o insieme con un gruppo di partner che seguono ciecamente, cioè Blair, Berlusconi, Aznar, etc...
è un’epoca finita. Già da parecchio tempo gli Stati Uniti, con la Condoleezza Rice, hanno provato a cambiare rotta, a coinvolgere anche altri paesi. Anche perché la rotta seguita prima non stava esattamente funzionando.
Mi sembra che l’Italia mettendosi in testa a questo processo stia facendo un favore a Washington. Assumendosi questa responsabilità, sia politico-diplomatica che tecnico–militarein un momento in cui nè gli Stati Uniti nè la Francia erano capaci di svolgere questo ruolo. Per una serie di circostanze l’Italia se non un attore idealeè un attore idoneoin un momento di grande necessità. Nessuno aspettava questa occasione, è capitata e l’Italia si è messa davanti, secondo me facendo benissimo.
Questo naturalmente non vuol dire che tutto andrà bene, ma che ci sono dei grossi rischi.
A proposito di rischi, secondo lei come potrebbe reagire l’opinione pubblica italiana alle prime difficoltà, in caso di vittime per esempio?
A me sembra che se paragonata a quella irachena, questa missione goda di un appoggio più solido, più ampio, riconosciuto.
Naturalmente il caso dell’Iraq era più controverso, ma di fronte alle perdite avute a Nassiriya per esempio, l’opinione pubblica italiana ha dato prova di aver nervi solidi. Non è stata presa dal panico. Penso che in questo senso il paese sia molto maturato. Ecco, forse quello che non le viene riconosciuto in questo momento è che da un punto di vista tecnico–militare ha una grande esperienza, che ha professionisti in grado di gestire scenari come il sud del Libano.
Esattamente il contrario di quello che ha sostenuto la New Republic che ha scagliato un durissimo attacco sostenendo l’inadeguatezza degli italiani, la loro incapacità ad organizzare alcunchè.
L’Italia ha gestito benissimo l’operazione Alba insieme con la Francia in Albania, nel ’95, e credo che anche in Kosovo non abbia fatto una brutta figura, anzi.
Poi è stata presente in Bosnia. Qui si fa un salto di qualità, ovviamente, la missione è più delicata, ma i militari sono preparati.
Sempre secondo il New york Times, l’Italia ha «coinvolto direttamente e in prima linea l’Europa nella ricerca della pace e della sicurezza in Medio Oriente».
Questa guerra inaspettata è un’occasione per l’Europa da cogliere per far ripartire una qualche forma di politica estera comune. Forse la mia è una visione troppo ottimistica, però qualcosa di positivo può venir fuori anche da questa situazione.
Per esempio se il modello funziona, se questa forza aiuta davvero a stabilizzare il Libano del Sud, e Israele prende fiducia nell’Europa, chissà che lo stesso modello non possa essere applicato nella striscia di Gaza.
A questo punto, Roma può avere un ruolo nei negoziati sul nucleare iraniano?
Io non so come l’Italia potrebbe contribuire su questo punto, nè se sarebbe una cosa conveniente per il governo Prodi.
Fosse per me, concentrerei le energie in Libano.
Dopo molto tempo truppe americane ed europee sono ad appena centinaia di km nel Medio Oriente, il Times scrive che tale circostanza «può aiutare le due sponde dell’Atlantico a guardarsi negli occhi».
Non è che mi convinca molto quest’immagine.
Il fatto è che le truppe americane stanno cercando disperatamente una strategia per uscire dall’Iraq, mentre gli europei stanno arrivando. Ma in circostanze completamente diverse.

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