Saturday, April 15, 2006

Womenomics, il futuro dell'economia è donna

SCENARI
Sorpresa, il motore della “global economy” è donna
di STEFANO BALDOLINI
Europa di oggi, sabato 15 aprile 2006
Dimenticate i giganti asiatici: la Cina con il suo tasso record di crescita del Pil, o l’“India Everywhere” sbarcata in massa all’ultimo forum di Davos. Mettete da parte Internet, l’eterna chimera dello sviluppo. Il futuro dell’economia mondiale è nelle mani delle donne, di una risorsa antica quanto il mondo.«Oggi, il motore più potente della crescita globale », scrive l’Economist, che non esita a coniare l’ennesimo neologismo: Womenomics. In uno storico ribaltamento di prospettiva, «le future generazioni arriveranno a chiedersi perché un uomo non può essere come una donna». E questo accadrà perché ormai le ragazze vanno meglio dei loro coetanei a scuola, si laureano di più, e trovano più lavoro.Se negli anni ‘50 solo un terzo delle donne americane aveva un lavoro pagato, oggi la proporzione si è ribaltata. A fronte di un calo del dodici per cento del tasso d’occupazione maschile.Il passaggio dalla produzione pesante al terziario è stato decisivo in gran parte delle economie sviluppate.Dove naturalmente ci sono delle eccezioni, come l’Italia, la Germania o il Giappone, lontane dagli standard dei paesi nordici europei. Ma «se la partecipazione al lavoro delle donne di questi paesi raggiungerà i livelli degli Stati Uniti, si potrà vedere una spinta di grande aiuto alla crescita», predice l’Economist.Poi ci sono le solite contraddizioni dei paesi in via di sviluppo. Il record del sud-est asiatico, con 83 donne su cento uomini occupati, la media più alta dei paesi Ocse. Le donne in prima fila nel boom dell’export in campi come il tessile. Ed è impossibile non ricordare che del miliardo e mezzo di persone che nel mondo vivono con meno di un dollaro al giorno, la maggioranza è ancora composta da donne: la cosiddetta feminization of poverty.Ma a dispetto delle macroscopiche differenze, è proprio il potenziale inespresso a foraggiare l’ottimismo nella Womenomics. «A dispetto dei risultati, le donne rimangono forse la risorsa maggiormente sotto-utilizzata del mondo».D’altra parte il legame tra pari opportunità e competitività era già emerso nel “Gender Gap Index”, la classifica stilata dal Forum economico mondiale nel maggio dello scorso anno: i paesi più competitivi tendono ad avere il minore gender gap e viceversa. Ora è il momento di capitalizzare la conoscenza di tale dato. Partendo dal presupposto che investire nelle donne non può che produrre sviluppo.Come dichiarava l’Unicef alla presentazione del “Progress for Children 2005”: «L’istruzione è qualcosa di più del semplice apprendimento. In molti paesi essa è una via di salvezza, specialmente quando si tratta delle bambine. Una bambina esclusa dalla scuola è una più facile preda dell’Aids e ha meno possibilità di creare una famiglia sana».Altre ricerche dimostrerebbero come le donne ormai si fanno apprezzare anche quando diventano soggetti attivi. Uno studio della Merrill Lynch (aprile 2005) dimostrava che fanno meno errori degli uomini nella valutazione degli investimenti e soprattutto tendono a non ripeterli. Il tutto sarebbe legato a una differente percezione del denaro, che gli scienziati del comportamento confermano legata al genere.Certo, la strada verso la Womenomics sembra ancora lunga. La differenza nei compensi e nelle responsabilità, lo starebbe a dimostrare. Lo stesso Economist scriveva nel luglio 2005 che nei paesi ricchi le donne sono quasi la metà della forza lavoro, ma occupano meno di un decimo dei ruoli direttivi nelle grandi imprese. Causa della discriminazione, soprattutto le assenze per maternità: quando tornano al lavoro le donne sono meno considerate perché «la disponibilità di tempo è fondamentale per gli avanzamenti di carriera». Di qui la necessità di strumenti flessibili e innovativi. E forse anche di un mutamento nel linguaggio.In questo senso le parole dell’economia non aiutano, e lo stile del settimanale britannico evoca passati quantomeno da esorcizzare – come le politiche delle nascite adottate da Pechino – quando invita i genitori nei paesi ricchi ad abbandonare ogni preferenza per i figli maschi e con lucido pragmatismo scrive: «le bambine ora sono l’investimento migliore». Ma siamo sicuri che è puro gusto british per il paradosso.

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