Thursday, April 13, 2006

ARRIVANO I GRUPS

DA STAR TREK AI PARCHI DI NEW YORK.
ARRIVANO I GRUPS, ADULTI MA BAMBINI

STEFANO BALDOLINI
Su Europa, di domenica 9 aprile 2006, edizione straordinaria

Se di martedì pomeriggio, in pieno orario d’ufficio, vi trovate in un parco di New York e incontrate un uomo (o una donna) di quarant’anni, che gesticola come un ventenne, parla come un ventenne, si veste come un ventenne, non ci sono dubbi. Quello (o quella) che avete di fronte è una delle ultime versioni dell’essere umano metropolitano e postindustriale: un rappresentante dei Grups.
Crasi di “grown-ups” – letteralmente adulti – il termine, con una certa coerenza, prende origine da un episodio della saga tv di Star Trek nella quale la mitica navicella del capitano Kirk atterra in un pianeta dove i ragazzini dominano incontrastati. Laddove non c’è traccia degli adulti, un diabolico virus ha rallentato drammaticamente il processo di crescita, e ucciso chi è diventato grande.
Un episodio che, per ingenuità e semplicità di scrittura, probabilmente farebbe intenerire Steven Johnson, l’autore cult di “Everything Bad is Good for You”, che proprio a partire dall’evoluzione dei telefilm ha provato a smantellare lo stereotipo della cultura di massa intesa come un’irrimediabile caduta verso il basso, un imbarbarimento senza fine.
Ma il giornalista e blogger (“obviously”) probabilmente non avrebbe il tempo di analizzarne la struttura narrativa. Dovrebbe rendere conto dei Grups. Pare infatti che questi abbondino a Slope Park, il bel quartiere dove vive, e dove vivono Paul Aster o John Turturro.
Ma non bisogna pensare che la loro, sia l’ennesima moda buona per gli artisti e i soliti radical. Concentrati a fare jogging, con il loro Ipod ultima generazione, i Franz Ferdinand a tutto volume, e le nuove sneakers ai piedi (le scarpette da ginnastica leggere come una piuma), i Grups non sono una delle tante tendenze, piuttosto un fenomeno che pare destinato a durare.
«Il necrologio del gap generazionale», scrive il Adam Sternbergh sul New York, il settimanale “antenna” della città. Esagerando, ma con stile: «Un terremoto nelle relazioni intergenerazionali», senza «alcun precedente nella storia umana».
Si pensi alla musica, fino a poco tempo fa, il vero e proprio spartiacque. Con i padri a realizzare che il loro tempo era scaduto, quando non capivano più la “robaccia” che ascoltavano i loro figli. Ma oggi, si chiede con efficacia Sternbergh, «perché i grandi dovrebbero odiare gruppi come Interpol se il loro sound è identico a quello dei loro amati Joy Division?» E d’altra parte, «perché dovrebbero provare disgusto per i Bloc Party», quando magari dopo averli “scaricati” da Internet, «li trovano nettamente migliori» dei gruppi della loro generazione?
Certo, tutto questo crea qualche problema. «La cosa imbarazzante per me – dice un quarantaduenne produttore tv – è vedere l’effettiva cultura della mia giovinezza riciclata in un ironico kitsch.» Vista dall’altra parte, l’inedita armonia tra le generazioni potrebbe portare a conseguenze diaboliche.
Il punto è: la società può permettersi tutta questa giovinezza? Che prezzo pagherà? Produrrà – per restare in tema sitcom – tanti piccoli Alex P. Keaton, il giovane adulto più conservatore dei genitori interpretato negli ’80 da Michael J. Fox? «I nostri figli sono destinati a diventare repubblicani», predice una madre Grup trentenne.
«L’ultima volta che dai teenagers non ci si aspettava una ribellione - nota con amarezza il New York – era perché gli stessi erano costretti nelle miniere all’età di tredici anni.»
Già, il lavoro. Ebbene, è proprio il loro rapporto con la responsabilità, a differenziare questi Peter Pan in versione cool da altri celebri gruppi, come i bobo, o gli yuppie.
Considerati degli slackers, i fannulloni venticinquenni degli anni ’90, quelli che in piena new economy inventavano savescreen per simulare sofisticati fogli di calcolo da attivare premendo un tasto all’apparire dei capi (vedere per credere siti tipo Ishouldbeworking.com), per i Grups «il successo non è quanti dipendenti hai, ma quanto libertà di farsi una passeggiata».
Probabilmente non hanno bisogno del life coach. Dell’allenatore dell’anima, che aiuta a raggiungere l’armonia del corpo e della mente, a individuare gli obiettivi e scoprire come raggiungerli.
L’ultima tendenza (questa sì) dell’industria dello spettacolo americano, visto che la International Coach Federation ha raddoppiato i suoi membri dal 2001… Un lavoro di successo per chi aspira al successo. Da non confondere con altre figure professionali. «La differenza con la psicoterapia – spiega al quotidiano un life coach e terapista (nel suo portafoglio clienti anche la band rock Metallica) – è che la prima aiuta la gente a curare una ferita, la seconda a far raggiungere il più alto livello di soddisfazione, felicità o successo.»
A caro prezzo. Per farsi aiutare da un “allenatore dell’anima “ esistono pacchetti da tre a sei mesi, Un’ora e mezza di sessione individuale costa in media duecento dollari. Il prezzo di un paio di jeans assolutamente cool.
Buono per i teenager, ma anche per i Grups.

0 Comments:

Post a Comment

<< Home