Se è “luna di miele”, come non si vedeva dagli anni ’50, per dirla con il Financial Times, la passione ritrovata tra Pechino e Mosca attende numerose conferme. Al di là dei pur rilevanti risultati ottenuti nel settore dell’energia – la realizzazione dei due gasdotti che entro il 2011 forniranno alla Cina fino a 80 milioni di metri cubi di gas l’anno – e degli impegni reciproci a consolidare l’asse tra i due paesi.
Così ieri Vladimir Putin non ha mancato di rassicurare il presidente Hu Jintao e gli ottocento tra industriali e imprenditori convenuti al forum del business di Pechino.
L’oleodotto che dalla Siberia dovrebbe raggiungere le coste cinesi del Pacifico si farà «senza alcun dubbio», ha dichiarato il presidente russo.
E il suo ministro dell’energia, Viktor Kristenko, ha fissato il 2008 come data per il completamento del progetto, frutto di una joint venture fra la China National Petroleum Corporation (Cnpc) e la Transneft russa.
Ma la determinazione del Cremlino ad entrare tra i principali fornitori di energia del “gigante affamato”, e preoccupato dalla dipendenza da un’area troppo sensibile come quella mediorientale, non ha soddisfatto le aspettative cinesi sul fronte del petrolio, che ha registrato un incremento del quindici per cento dei consumi solo nel 2004 (poco meno di quanto ne consuma l’Italia in un anno).
In questo quadro vanno lette le raccomandazioni di Hu Jintao che ha chiesto «di estendere la cooperazione dal commercio alla produzione e al trattamento» dell’energia. E le precisazioni di Putin: nel 2005 la Russia ha esportato in Cina «più di otto milioni di petrolio ed è diventata il quinto fornitore di fonti energetiche.» D’altro canto, le richieste russe di diversificare gli interscambi tra i due paesi sono andate sostanzialmente disattese. In un’intervista rilasciata prima di partire per Pechino all’agenzia cinese Xinhua, Vladimir Putin ha criticato l’attuale struttura dell’import cinese dalla Russia, troppo sbilanciato nel settore energia e materie prime (oltre l’80%), notoriamente poco affidabili sui mercati internazionali. Inoltre Mosca si lamenta che le sue esportazioni verso la Cina di macchinari e attrezzature si sono dimezzate rispetto al 2004, mentre quelle di Pechino verso la Russia sono aumentate.
«Ci sono passi in avanti dei nostri rapporti commerciali – ha detto Putin nella conferenza stampa a Pechino congiunta con Hu Jintao - ma dobbiamo riconoscere di avere ancora molti problemi».
Naturalmente non mancano le note positive.
Nel 2005, il volume degli scambi commerciali fra i due paesi, basati soprattutto sulla vendita di armi, ha raggiunto i 29,1 miliardi di dollari, segnando il 37,1 per cento in più rispetto all’anno precedente. E la Cina ha annunciato che potrebbe investire sino a dodici miliardi di dollari in Russia entro il 2020, di cui due miliardi in oleodotti e gasdotti.
Inoltre i rapporti politici tra i due vicini sembrano ottimi. Dopo quasi trecento anni di reciproche diffidenze, i due paesi convergono in diverse linee strategiche. Come il nucleare iraniano o la questione nord coreana. Anche se paradossalmente nelle parole dei media cinesi, le relazioni sono «calde ai vertici, ma fredde alla base ». Insomma alla cordialità tra i leader potrebbe non seguire un altrettanto entusiasmo tra i popoli.
Intanto in Europa aumentano le perplessità di fronte alle grandi manovre del Cremlino. La visita monstre in Cina – una delegazione di novantasei funzionari governativi e un migliaio di imprenditori – è stata preceduta, una decina di giorni fa, da un accordo con il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika per avviare una cooperazione nel gas tra i due giganti Gazprom e Sonatrach.
Il tutto avrebbe prefigurato un’”Opec del gas” e un’ipotesi di monopolio a spese del vecchio continente, sempre più spaventato da eventuali riduzioni alle forniture.
Così Putin ha provato a fugare i dubbi, «Mosca è determinata a diversificare le sue capacità nell’export e a trovare nuovi mercati», ma «senza dubbio adempierà agli obblighi assunti secondo tutti gli accordi con tutti i partner, in Asia e in Europa.» Perché come ha ricordato in questi giorni il Vedomosti, il quotidiano economico di riferimento della stampa russa, (è pubblicato in collaborazione con ilFinancial Timese il Wall Street Journal), «non è ancora chiaro dove Gazprom troverà gli 80 miliardi di metri cubi di gas all’anno promessi, e chi pagherà i dieci miliardi di dollari per i due gasdotti dalla Siberia a Shanghai», ma il punto è che «nel 2011, non solo l’Europa ma anche l’Asia sarà dipendente dal gas russo.».
2 Comments:
intanto l'europa oggi ha deciso di aumentare le tariffe doganali per le importazioni di scarpe da cina e vietnam.
quando si dice la differenza tra strategie economiche e battaglie di retroguardia.
sarà contento della valle
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