Thursday, March 16, 2006

Contro ogni “delirio semantico”, la nuova Argentina non vuole più piangere

Stefano Baldolini
Europa quotidiano di oggi, giovedì 16 marzo 2006
«Il generale Videla mi ha fatto un’ottima impressione. E’ un uomo colto, modesto e intelligente». E’ il 16 maggio del 1976 e il romanziere Ernesto Sabato è intervistato all’uscita dalla Casa Rosada. Non sono passati due mesi dal golpe.
Sette anni dopo, nel rapporto della commissione Sabato sui desaparecidos, si legge: «La lotta contro i sovversivi si trasformò in una repressione generalizzata e demenziale. Nel delirio semantico, le accezioni che il termine assumeva erano molte». Veniva colpito tanto chi incitava alla rivoluzione sociale, quanto i giovani o i sacerdoti che frequentavano le villas miserias per dare aiuto ai loro abitanti. I dirigenti sindacali o i giornalisti non asserviti.
Se c’è un continente in cui ogni commento è superfluo e basta mettere in fila i fatti per far emergere l’assurdo, questo è il Sudamerica. Se c’è un paese del Sudamerica in cui l’assurdo s’è fatto «delirio semantico», questo è l’Argentina.
La cui vicenda – dagli anni ’30 del secolo scorso ad oggi - è raccontata, ma sarebbe meglio dire decostruita e rimontata con il consueto stile asciutto, da Italo Moretti nel suo L’Argentina non vuole più piangere, (Sperling & Kupfer Editori 2006).
A quattro anni da I figli di Plaza de Mayo, l’esperto di America latina riparte proprio dal golpe del 24 marzo 1976. Un evento da molti considerato «inevitabile». Così oggi non possono non sconcertare le reazioni a caldo del Clarín, «le forze armate hanno deciso di intraprendere un cammino certamente duro ma ineludibile», o del Washington Post, per cui «meritano rispetto il patriottismo dei generali e il loro tentativo di salvare una barca che stava affondando». E sorprende la capacità di dissimulazione del regime. Nelle parole dello storico Halperín Donghi, «Quando la gente si accorse però di essersi sbagliata, vigeva già il terrore. Si aspettava un chirurgo ed era arrivato un gruppo di macellai». Macellai sofisticati, almeno dal punto di vista linguistico.
Ecco dunque il Proceso de reorganicación nacional, «eufemismo usato per anni onde evitare termini ritenuti troppo crudi, come quello di regime militare», scrive Moretti. O il traslado, il trasferimento nelle carceri segrete, che diviene «sinonimo di morte». O la stagione della plata dulce, dei frutti (per pochi) della speculazione prodotti dalla deregulation economica.
Passati in rassegna il mea culpa dei vescovi, le responsabilità esterne (in primis gli Stati uniti di Kissinger che invita il regime a sbrigarsi con le esecuzioni, prima dell’avvento del democratico Carter), esauriti gli angoli oscuri (la vicenda Gelli), le parole tornano ad avere un senso quando la revolución productiva di Carlos Saúl Menem si traduce nella Gran Estafa, la Grande Truffa.
Quella della parità fissa tra peso e dollaro, che porta in dieci anni al raddoppio della disoccupazione e all’incremento record del debito, salito da 60 a 144 miliardi di dollari. Anche in questo caso sorprende la cecità della comunità internazionale. «Il caso Argentina diventa un modello esemplare che all’estero desta stupore e ammirazione e riscuote l’applauso del Fmi», scrive Moretti.
Intanto il “recupero semantico” trascende nell’estallido social, nell’esplosione sociale della notte del 19 dicembre 2001, quando la popolazione esasperata dalle politiche di Domingo Cavallo, prende d’assalto edifici pubblici e supermercati.
Il resto è storia recente, è «l’Argentina del cambiamento» che riscopre i diritti umani, che si getta alle spalle il default finanziario e salda il debito con il Fmi. Il paese di Néstor Kirchner, che nasce nel 2003 da un’elezione «indicativa del cataclisma politico e istituzionale». In cui i tre candidati principali «esprimono le trentennali divisioni del peronismo senza Péron».
Perché per capire il paese, e fors’anche l’evoluzione del continente, sempre da lì bisogna partire, dal «giorno più importante della nostra storia contemporanea», come sostiene lo storico Felix Luna. Dal 17 ottobre 1945, quando migliaia di descamisados liberano Péron dando vita alla «manifestazione più riuscita e longeva del populismo latinoamericano».

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