Thursday, February 23, 2006

Una bufala la cattura di Mladic, sintomo dei travagli nell'ex-Jugoslavia che bussa alla Ue

«Montatura mediatica» - come sostiene Carla del Ponte - o meno, non c’è dubbio che la vicenda Mladic si inserisca come un grimaldello nel destino dei futuri Balcani.
D’altro canto quello del Tribunale penale internazionale dell’Aja sui crimini di guerra nell’ex Jugoslavia, è un osservatorio privilegiato, configurandosi allo stesso tempo come motore e stadio terminale dell’intero processo di normalizzazione della regione. Di quello che nelle parole del ministro degli esteri austriaco, presidente di turno Ue, è «il progetto europeo di pace della mia generazione».
E’ dall’Aja che è giunto il perentorio invito alla cattura da parte di Belgrado del presunto boia di Srebenica, pena il congelamento delle trattative con la Serbia-Montenegro per l’associazione (l’Asa) con l’Unione. Richiesta ribadita nei giorni scorsi dal commissario per l’allargamento, il finlandese Olli Rehn, e dal presidente della Commissione Barroso, che ha definito la cooperazione col tribunale penale «un test chiave» per il paese.
Che appare in balia di un duro scontro politico interno. Da un lato il premier europeista Kostunica (impegnato oggi a tranquillizzare Bruxelles), dall’altro chi soffia sul fuoco cercando di destare fantasmi recenti. E’ in questo quadro che sembra collocarsi la saga di Mladic, che fonti serbe danno impegnato a negoziare la resa sui monti al confine con la Bosnia.
Naturalmente a complicare le cose c’è la questione del Kosovo. Sempre martedì scorso a Vienna s’è concluso il primo round (dalla fine della guerra, sette anni fa) dei colloqui tra serbi e kosovari. Con Belgrado disponibile a concedere al massimo un’autonomia e la maggioranza albanese (il 90% della popolazione) a chiedere l’indipendenza della provincia amministrata dalle Nazioni unite.
Quasi certa, secondo numerosi osservatori – solo ieri un diplomatico americano presso l’Onu la pronosticava entro l’anno - ma necessariamente legata alla tutela della minoranze serba. In centomila su due milioni di abitanti, distribuiti sul territorio in modo tale da non poter essere facilmente delimitato. Così l’auspicio del cosiddetto Gruppo di contatto di pervenire entro l'anno ad uno “status finale” della regione, dovrà fare i conti con Belgrado, che vede nell’indipendenza un fattore di destabilizzazione.
Punto di vista parziale, certo, ma ipotesi da non sottovalutare. Il successo kosovaro potrebbe rinvigorire le mire indipendentiste delle minoranze albanesi (e musulmane) presenti in Macedonia, sud della Serbia e del Montenegro con, sullo sfondo, il progetto della “grande Albania” a caratterizzare i Balcani meridionali.
Ben più avanti della Serbia nel cammino di integrazione europea, è la Croazia che ha già firmato l'accordo di stabilizzazione e avviato l’adesione. «Traguardo che va preceduto e accompagnato da iniziative di integrazione regionale», ha ricordato Barroso rilanciando implicitamente il progetto di Bruxelles di un mercato comune con Albania, Macedonia, Serbia-Montenegro e Bosnia. «Nulla a che vedere con il passato», s’affrettava a precisare lo stesso Barroso. Invitando Zagabria a superare le perplessità e «ad essere motore trainante dell'intera regione» in virtù della propria forza economica: il Pil pro capite dei croati ammonta a oltre 6.200 euro annui, contro i 2.320 dei serbo montenegrini, i 2.300 degli albanesi, i 2.080 dei macedoni e gli appena 1.730 dei cittadini della Bosnia.
«La Croazia - ha avvertito da Zagabria il premier Ivo Sanader - non permetterà mai la creazione d’una nuova Jugoslavia». Ben altra la reazione della Serbia, che con i suoi 10 milioni di abitanti sui 24 milioni complessivi della zona coinvolta sarebbe il partner più grande. «Unire i soggetti economici della regione può essere solo d’aiuto», ha detto il ministro dell’economia, Pedrag Bubalo. La parola finale verrà data dall’Unione europea durante l’incontro dedicato ai Balcani occidentali, che si terrà a Salisburgo il 10 e 11 marzo.
E sempre entro marzo, negli obiettivi di Strasburgo, dovrebbero concludersi i negoziati per la riforma della costituzione della Bosnia garantendo la creazione di istituzioni efficienti che «superino le divisioni etniche». Il paese, nato con gli accordi di Dayton del 1995, è tuttora diviso in due entità statali e non ha ancora risolto i contrasti tra le tre comunità predominanti: bosniaci, serbi e croati.
Come detto, il processo d’integrazione europea, la questione del Kosovo, lo spazio d’integrazione commerciale, hanno come terminale simbolico, ma non solo, la consegna dei criminali di guerra.
In questo senso l’elenco dei latitanti è ancora lungo. Sfuggono da quasi undici anni alla giustizia Radovan Karadzic, l’ex capo politico dei serbi di Bosnia, e Goran Hadzic, l’ex presidente della repubblica serba autoproclamatasi di Krajina. Importanti generali si sarebbero rifugiati in Russia, per tradizione vicina a Belgrado, che comunque ieri ha annunciato di non voler osteggiare l’indipendenza del Kosovo
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STEFANO BALDOLINI su Europa di giovedì 23 febbraio 2006

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