Il summit di New York, l’ultima situazione “favorevole” per la riforma dell’Onu?
Stefano Baldolini
da Europa di sabato 10 settembre 2005
Nel 1955, ad appena dieci anni dalla Conferenza di San Francisco che l’aveva adottata, ci si trovò a decidere se convocare o meno una conferenza di riforma della Carta delle nazioni unite. Paradossalmente, si trattava già di un’ultima possibilità. L’articolo 109 prevedeva infatti che la proposta di revisione fosse esaminata all’Assemblea generale al più tardi nella sua decima sessione annuale. E se la necessità di rivedere la Carta era emersa con forza tra i delegati che avevano ritenuto San Francisco solo «il primo passo verso la creazione del nuovo sistema multilaterale e che si sarebbe proceduto a una revisione della Carta di lì a pochi anni» (Le Nazioni unite. Sviluppo e riforma del sistema di sicurezza collettiva. Andrea de Guttry. Fabrizio Pagani. Il Mulino 2005), la stessa era però avvertita in maniera differente da paese a paese. Così quelli contrari al diritto di veto provarono più volte a ricorrere all’articolo 109, ma i cinque membri permanenti opposero resistenza. Fino alla decima decisiva sessione allorquando fu trovata una formula di compromesso, che pur riconoscendo la necessità di una riforma, ne rinviava i tempi al momento in cui la situazione sarebbe stata «favorevole».
Si perdeva così la prima storica occasione di riforma e da allora solo tre emendamenti (uno relativo alla composizione numerica del Consiglio di sicurezza, e due a quella del Consiglio economico e sociale), sono state le uniche modifiche formali alla Carta sinora adottate.
Oggi, alla vigilia del summit di New York, che dal 14 al 16 settembre vedrà insieme più di 170 capi di stato e di governo («La più grande assemblea dei leader mondiali nella storia», dichiara solenne l’Onu), si tratta di capire se la situazione sia «favorevole» o meno.
E a giudicare dalle premesse, l’aria che tira non è delle migliori. Già a partire dal documento preparatorio al summit, sottoposto ad estenuanti revisioni dai delegati dei governi (solo giovedì scorso Kofi Annan ammoniva che il mancato raggiungimento di un compromesso sul documento preparatorio porterà ad un fallimento del vertice). Difficoltà che la dicono tutta sulle possibilità di riuscita del summit. Sarà sì, come ha dichiarato il sottosegretario Ibrahim Gambari, «una rara occasione per i leader mondiali per parlarsi faccia a faccia», ma il rischio forte è che potrebbe limitarsi a questo e nulla più.
Ma di cosa si parlerà a aNew York? L’agenda è fissata. I punti chiave - sviluppo, sicurezza, diritti umani, e riforma delle stesse nazioni unite - individuati dal rapporto Annan del marzo scorso, In Larger Freedom.
Dunque, trovare nuove modalità per affrontare gli Obiettivi del millennio, «a rischio» secondo l’ultimo rapporto Onu sullo sviluppo umano che registra 460 milioni di poveri in più nel mondo, e rilanciare il progetto di dimezzare la povertà entro il 2015.
Rafforzare la sicurezza collettiva. Dalla proliferazione di armi di distruzione di massa e dal rischio terrorismo (ma l’assemblea, oltre a registrare l’opposizione ai riferimenti sul disarmo nucleare, è divisa anche sulla definizione stessa di terrorismo).
Sostituire l’attuale commissione sui diritti umani con un Consiglio, organo più rappresentativo ed efficace. Risolvere il rompicapo della riforma interna: dal nodo del trasferimento delle responsabilità decisionali (conferire più potere esecutivo al segretario generale, ingrandire gli organismi di controllo..) alla big issue del Consiglio di sicurezza.
Questioni chiave. Ma la riuscita del progetto Annan è fortemente minata dalle vicende degli ultimi tempi. In questo senso, più che la presentazione del corposo rapporto Volcker “Oil for Food”, risulta decisiva la solerzia del neo ambasciatore Onu americano John Bolton, che ha presentato centinaia di emendamenti alla dichiarazione finale del vertice.
Il segretario generale esce infatti praticamente indenne dallo scandalo, decide di non dimettersi, incassa il sostegno di New York Times e Washington Post e paradossalmente l’appoggio della commissione («Servono profonde riforme interne») che lo doveva delegittimare.
Ma a remare contro, come detto, ci pensa l’ambasciatore di Bush. Tra i punti principali del «Bolton pensiero», come ha ironizzato il Washington Post, la ferma opposizione alle misure che possano limitare l’uso della forza americana, e che fissano nuovi obblighi legali ai paesi che intervengono dove vengono commessi genocidi, pulizie etniche e crimini di guerra (la cosiddetta responsabilità di protezione) . «Si delinea - commenta il Post - la sua opposizione alla dottrina dell'intervento umanitario», che dà al Consiglio di sicurezza un ruolo più centrale in merito all’autorizzare dell’opzione militare. «Centralità cui l’amministrazione Bush si oppone con forza».
A fare il gioco di Bolton, c’è poi la sostanziale inerzia di alcuni dei grandi. Qui la parola chiave è consenso, formula di rito che cela i giochi delle diplomazie. Come di quella russa, che pur sostenendo la candidatura tedesca, «appoggerà quelle proposte che avranno il più ampio appoggio di tutti i membri». O quella cinese, che storicamente avversa il seggio di Tokyo, e mira al mantenimento dello status quo. Così quella che sembra spingere di più, è la Francia. Poco prima dell’”incidente vascolare” di inizio settembre, Chirac ha lanciato un appello per approvare entro l’anno una riforma «troppo a lungo rinviata» e la proposta del G4 (Giappone, India, Brasile e Germania), che risponde ai requisiti di «efficienza e rappresentatività dei diversi gruppi regionali e in particolare dell'Africa». Ma al di là degli auspici del capo dell'Eliseo, il piano del G4 è avversato da Usa e Cina (oltre che dagli “Uniting for Consensus” con l’Italia in prima linea) e non ha ottenuto neppure il sostegno compatto dell'Unione africana.
Insomma, ci sono tutte le condizioni perché dalla montagna venga fuori il solito topolino. In una recente intervista alla Bbc, Kofi Annan ha parlato di «opportunità unica». «Se falliamo, non so quando capiterà di nuovo». Già. Quante altre situazioni «favorevoli», nel prossimo futuro?
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