Wednesday, March 08, 2006

Secessione per il petrolio? Per Chávez c’è lo zampino americano

VENEZUELA  LO STATO DI ZULIA, ALLA FRONTIERA CON LA COLOMBIA, È LA REGIONE PIÙ RICCA DI GREGGIO DEL PAESE
Secessione per il petrolio? Per Chávez c’è lo zampino americano
di STEFANO BALDOLINI
«Né comunismo, né fascismo: terzo polo», si legge sul sito di Albero Mansueti, l’ex professore venezuelano, rappresentante legale del “Rumbo propio” (la propria rotta), l’organizzazione che attraverso un referendum per l’autonomia il prossimo 24 ottobre minerebbe «alla sovranità e all’integrità della nazione». Almeno secondo Hugo Chávez, che ha accusato il gruppo di essere la longa manus degli Stati Uniti e di puntare alla secessione dello stato di Zulia, nella zona occidentale del paese.
Connessioni per ora smentite dai magistrati che hanno aperto un’inchiesta.
Ma che si instauri o meno un esecutivo autonomo in nome del «capitalismo liberale», così come proclamato da “Rumbo proprio”, retto dal «presidente» Manuel Rosares, uno dei due governatori all’opposizione (su 24), non è questione da poco. Lo stato di Zulia, alla frontiera con la Colombia, lungo il lago di Maracaibo, infatti è la regione più ricca di petrolio del paese. Per il quinto produttore mondiale, con 3,3 milioni di barili al giorno e 78 anni di estrazione garantita, che fa dell’oro nero l’asse portante della propria politica estera e commerciale, le pretese di autonomia dei giacimenti sono più di un campanello d’allarme.
Gli esperti stimano che il governo Chávez spenda circa cinque miliardi di dollari da profitti del petrolio per infrastrutture nel continente. E il progetto di realizzazione in sette anni del gasdotto gigante, da venti miliardi di dollari, supportato da Brasile e Argentina, che finirebbe per portare energia da Puerto Ordaz, in Venezuela, alla Patagonia. Per Chávez qualcosa che si avvicina al sogno bolivariano, per i suoi detrattori il tentativo di creare una sfera di influenza nell’America latina.
Dimenticando Zulia (il nome viene da una principessa indigena), forse la sintesi migliore tra ideologia e business è giunta nel recente carnevale di Rio, vinto dalla scuola di Vila Isabel, che ha beneficiato di un contributo di 450 mila dollari dalla compagnia petrolifera venezuelana Pdvsa, per raggiungere una «tremenda vittoria dell’integrazione latino americana». Così come dichiarato da Chávez, che non ha mancato di cantare alla radio «Sono pazzo per te, America», il pezzo che ha accompagnato l’incedere della statua di tredici metri di Simon Bolivar per le strade di Rio. E alla performance è seguita la proposta al nuovo governo haitiano di Renè Preval di entrare nella Petrocaribe, l’accordo energetico di tredici paesi creato da Caracas nel 2005 affinché «il popolo di Haiti che soffre di una povertà infinita » possa usufruire di prezzi di favore nell’acquisto del greggio.
Naturalmente poi c’è la realtà. Le accuse interne di populismo, e di «sfi- da alla democrazia» di Condi Rice, a cui sono seguite implicite minacce a bloccare le ingenti forniture. E sempre in chiave anti americana, l’iniziativa di formare un esercito di due milioni di riservisti entro l’estate del 2007, pari a un adulto su cinque, sufficiente a dissuadere qualsiasi paese pensi di invadere il Venezuela. Programma più volte annunciato e partito lo scorso fi- ne settimana, con il primo scaglione, 500 mila civili ad addestrarsi a Macarao, nei sobborghi della capitale. Una riserva doppia rispetto a quella di Washington, un esercito di fedelissimi, utili in caso di rivolta popolare interna, o di conflitto armato. «Potremmo aver bisogno di utilizzare i civili come fanno in Iraq per combattere contro gli Yankee», ha dichiarato il generale Alberto Muller Rojas.
E sempre gli Stati Uniti sarebbero dietro la possibilità di un ammutinamento dell’opposizione: «Il governo di Washington mi vuole delegittimare », ha dichiarato Chávez minacciando una riforma alla Costituzione che potrebbe portare ad una presidenza senza limiti elettorali, se l’opposizione deciderà di non presentare candidati alle presidenziali di fine 2006, così come nelle legislative del dicembre scorso. Minaccia che ha finito comunque per compattare l’opposizione.
Tre pre-candidati della opposizione venezuelana starebbero studiando la possibilità di presentare una candidatura unitaria per evitare di disperdere i voti antichavisti.
In questo senso, interessante la linea adottata dalla chiesa venezuelana, che sembra intenzionata a svolgere un ruolo di mediatore. Rappresentanti dell’opposizione sono stati ricevuti dall’arcivescovo di Caracas, il cardinale Jorge Urosa, che si è augurato che tutti vogliano cercare «una vera pace politica». Si è spinto oltre il presidente della Conferenza episcopale nel paese. «La democrazia venezuelana sta vivendo un momento di particolare rilevanza», ha detto Ubaldo Santana, in assoluto contrasto con il suo predecessore, invitando la società venezuelana ad «assumersi la responsabilità » di partecipare alla vita politica del paese.
Europa quotidiano, oggi mercoledì 8 marzo 2006

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