Thursday, April 13, 2006

Troppi rumori per un grande silenzio

E’ uscito anche in Italia il film-documentario che il regista tedesco Philip Groning ha girato alla Grande-Chartreuse dei certosini di Grenoble, nel più austero e più antico luogo (risale al 1804) di silenzio e di contemplazione d’Europa, soggiornando con i monaci per sei mesi. Il grande silenzio (come recita il titolo del film) è, nella tradizione monastica, quello che scende dalla compieta della sera a mattutino. Ma qui sono quasi tre ore non già di silenzio, e neppure di introduzioni alla spiritualità certosina, ma di captazione dei “rumori del silenzio”: zoccolìi sugli assiti, corde delle campane, qualche raschio di mestolo, di lavori manuali: seghe per la legna, forbici per tagliar mantelle, di rasoi elettrici per la tonsura dei capelli. Poi scrosci di pioggia, qualche voce nella preghiera notturna, qualche frammento di dialogo nell’uscita domenicale. E moltissimi primi piani per preservare volti e sguardi, prima che scompaiano gli ultimi testimoni (19 monasteri, 370 monaci in tutto).

In Germania ha avuto un successo trionfale e i primi giorni italiani sono promettenti. Il regista voleva offrire una meditazione sul tempo e la cercava là dove essi è più raccolto nella sua essenzialità, dove l’”avvenimento” del contingente non esiste perché tutto il quotidiano è regolato e assorbito nel ritmo del sempre. Invece, ciò che accade nel film è il ritorno di continue interruzioni, che non fanno una continuità; di movimenti che non già il silenzio riassorbe ma che senza posa attivano rumori, presi da vicino, con le pinzette dell’entomologo, mai pacificati nella coralità di una distanza da noi, dagli altri, dai gesti stessi.

Il silenzio non è assenza di rumore ma conquista di interna quiete: certo i monaci l’hanno se si sono lasciati filmare da tanta indiscrezione; ma non il regista, ossessionato da un “positivismo” del suono che resta alla superficie dei corpi solidi e mai si lascia attraversare dagli abissi dei silenzi – di angoscia e di pace – delle anime. L’assenza di parola e di canto si vorrebbe “compensata” da una sovrabbondanza di colori di alto manierismo, raramente illumpidi tuttavia da trasparenza di sguardo.

Ne esco avvilito, per l’occasione perduta, dal regista, da noi. E penso – con nostalgia e profonda riconoscenza – ai pochi minuti di silenzio che Robert Bresson (Mouchette, Au hasard Balthazar), e prima Dreyer e Bergman e poi Ermanno Olmi ci hanno offerto. Tante volte, nella vita, abbiamo sognato la Grande-Chartreuse: non meritava di finire così, con quel reboante “die grosse”, grosso, grande, “ispessito silenzio”, ma privo della “profondissima quiete” dell’Infinito; resta il ronzìo delle opere che tutto rende uguale, in fondo, indistinto: chiuso nel profano.

(Carlo Ossola, Troppi rumori per un grande silenzio, Domenica del "Sole 24 ore" 9 aprile 2006)

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