Tuesday, June 06, 2006

Non proprio palmeti in cima alle Alpi. Ma la desertificazione insidia l’Europa

Non proprio palmeti in cima alle Alpi. Ma la desertificazione insidia l’Europa
di STEFANO BALDOLINI
Europa Quotidiano, oggi martedì 6 giugno 2006
Nel bene e nel male, i deserti sono i protagonisti della giornata mondiale dell’ambiente, istituita dall’Onu nel 1972 a Stoccolma e celebrata ieri per la prima volta in Nord Africa, ad Algeri, all’insegna del motto “Don’t desert drylands!”. Il 2006 peraltro è l’“International year of deserts and desertification”. Un invito a riflettere sul surriscaldamento del pianeta che sta provocando la desertificazione delle terre aride, che interessa il 40 per cento delle terre emerse e un terzo della popolazione mondiale. In pericolo sarebbero l’avvenire degli insediamenti umani lungo i confini del Sahara, del Gobi e di altri deserti minori, come quello del Dashti Kbir in Iran o dell’Atacama in Cile. Diminuiscono le piogge e vengono sprecate le risorse d’acqua del sottosuolo, e gli abitanti di Phoenix così come quelli di Riyadh rischiano l’esodo forzato.
Ma non solo loro. La minaccia potrebbe riguardarci da vicino.
Lo scorso luglio, di fronte alla durissima siccità che colpì gran parte dei paesi mediterranei, Newsweek arrivò a parlare di un possibile Sahara europeo.
Secondo il magazine americano, la situazione in Nordafrica è destinata a peggiorare, gli immigrati sono destinati a riversarsi sulle coste europee e addirittura la malaria sbarcherà nel Vecchio continente. Cavalcando l’ipotesi, non priva di fascino, i più fantasiosi non esitarono a parlare di palmeti sull’arco alpino.
Sotto accusa come al solito, il global warminge i cambiamenti climatici. L’ingegner Andrea Di Vecchia, dell’Ibimet, l’Istituto di biometereologia del Cnr di Firenze, ha studiato la fascia che va dalla Francia al Golfo di Guinea. «Si è notato uno spostamento delle stagioni», dichiara ad Europa, «quello che oggi accade in agosto, prima accadeva in settembre. Il Mediterraneo è oggetto di una grande instabilità. Nell’arco dell’anno la quantità di pioggia è più o meno la stessa ma distribuita in modo diverso da prima.
A piogge estreme si contrappongono lunghi periodi di scarse precipitazioni». Secondo Domenico Vento, direttore dell’Ucea, l’Ufficio centrale di ecologia agraria che sta sviluppando il progetto Climagri sui cambiamenti climatici ed agricoltura, «tutto questo porta a uno spostamento delle colture. Certo non si può arrivare a parlare delle palme sulle alpi. C’è una tendenza in atto, ma non così macroscopica».
Tornati alla realtà, restano da capire i legami tra siccità e desertificazione.
E se desertificazione e deserto siano la stessa cosa.
Secondo Antonio Brunetti, del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, per zone come l’Italia, «più che di rischio desertificazione si deve parlare di vulnerabilità», ossia di una predisposizione al degrado del territorio. «Non necessariamente la siccità porta alla desertificazione. La siccità è una condizione climatica temporanea. Diventa condizione per la desertificazione se la siccità diventa più frequente». «Desertificazione non vuol dire che da un momento all’altro vivremo nel deserto», dichiara Michele Bernardi, segretario dell’Interdepartmental working group on climate change della Fao, «il clima è un concetto dinamico. Anche in Africa stiamo assistendo a delle variazioni. Occorre vedere se sono variazioni permanenti o meno. Ma è difficile paragonare la situazione africana alla situazione europea».
Ci torna in aiuto Andrea Di Vecchia: «Il Sahara non si sta allargando e processo di desertificazione non significa deserto.
La desertificazione è un fenomeno che interessa ambiente e uomo. Senza l’uomo non si può parlare di desertificazione.
Si parla di desertificazione in tutti i territori che rischiano di perdere la capacità di sostenere la gente che ci vive. Il problema è che si tratta di un fenomeno malvagio, nel senso che non è un processo lineare. È non visibile fino ad un certo punto, poi improvvisamente arriva il collasso». Molte le cause. «Nel nord del Mediterraneo – continua l’ingegnere dell’Ibimet - la desertificazione si sta sviluppando per cause diverse dall’Africa: radicalizzazione del clima, incendi che generano erosione, cattiva gestione del territorio, svuotamento delle campagne, inondazioni. Il fenomeno parte dall’alto, dalla fascia pedemontana e montana.
L’abbandono delle campagne, il concentrarsi solo sull’industria turistica, lo sviluppo rurale non più legato al mantenimento del territorio ».
Ma se le cose qui da noi dovessero volgere al peggio, potrebbe consolarci il fatto che il deserto non è per forza sinonimo di morte e povertà. «Lontano dall’essere terre aride, i deserti appaiono come dinamici sul piano biologico, economico e culturale», afferma lo stesso Unep, il programma Onu per l’ambiente, nel “Global deserts outlook”.
Visti sotto questa luce, i deserti sono minacciati «come mai prima», mentre potrebbero essere oltre che fragili ecosistemi, un tesoro di risorse per il pianeta per la produzione di energia solare o piante medicinali.
Purtroppo però la temperatura delle regioni desertiche è aumentata tra 0,5 e 2 gradi centigradi tra il 1976 e il 2000, molto più dell’aumento medio di 0,45 gradi registrato sul resto del pianeta. Così i loro paesaggi unici, le loro culture, la loro flora e fauna rischiano di scomparire. La costruzione di strade, l’inquinamento, il turismo, la caccia, le cause principali. Ed è un vero peccato, considerando che secondo gli studiosi Onu, quei territori «trattati opportunamente potrebbero fornire risposte a numerose sfide», come a quella energetica. Il Sahara per esempio potrebbe catturare energia solare sufficiente a rispondere al fabbisogno di elettricità del mondo intero. Raggiunta o meno l’Europa.

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