Saturday, May 13, 2006

IL PRIMO ESPERIMENTO DI “WIRELESS REVOLUTION”, IN FLORIDA, NON DÀ I RISULTATI SPERATI

STATI UNITI  IL PRIMO ESPERIMENTO DI “WIRELESS REVOLUTION”, IN FLORIDA, NON DÀ I RISULTATI SPERATI
Internet gratis e ovunque. Un fiasco, il test nella città ideale

di STEFANO BALDOLINI
su Europa Quotidiano di sabato 14 maggio 2006


A sei anni dalla battaglia per le presidenziali che portarono George W. Bush alla Casa Bianca, dal pasticcio delle “macchinette punzonatrici” del 7 novembre del 2000, la Florida ritorna ad essere crocevia decisivo tra politica e tecnologia. Per gli Stati Uniti, ma non solo.
Stiamo parlando della cosiddetta Wireless Revolution, del sogno di mettere in rete, senza fili e gratuitamente, intere comunità con l’obiettivo di gestire online servizi essenziali come acqua, elettricità, sicurezza… ma anche condividere informazioni, cultura ed esperienze, e creare quelle “ideopolis”, quelle “città delle idee” che in futuro dovrebbero essere il motore dello sviluppo basato sulla conoscenza.
Il cuore di regioni dinamiche (in Europa si pensi a Helsinki, Monaco di Baviera, Cambridge) dotate di reti infrastrutturali inedite.
Ma ogni rivoluzione com’è noto deve fare i conti con la realtà. E la realtà questa volta porta il nome di St.Cloud, 28 mila abitanti, sulla carta la prima città degli Stati Uniti che doveva essere completamente coperta grazie ad una rete Wi-Fi (letteralmente Wireless Fidelity) di 15 miglia di superficie completamente gratuita.
Un modello per le trecento città in prima linea nella sperimentazione.
Tra cui Filadelfia, che lo scorso ottobre annunciava di voler creare il più grande sistema Wi-Fi della nazione, o San Francisco, il cui sindaco è arrivato a dichiarare il wireless diritto fondamentale del cittadino, e che sta pianificando investimenti per 15 milioni di dollari.
Il problema è che, invece, a dispetto degli oltre due milioni di dollari messi in cantiere, le cose a St.Cloud non stanno andando affatto bene. Difficoltà tecniche, cadute di segnale, veri e propri buchi neri nella ricezione, hanno reso offline molti cittadini e gettato non poche ombre sulla realizzabilità dell’intera Wireless Revolution. E il fatto che ad essere in crisi sia un progetto che offre l’accesso libero a internet, non è un particolare irrilevante.
Naturalmente infatti, come in ogni guerra commerciale che si rispetti, ognuno gioca la sua parte. Così giganti come Verizon, EartLink o Google sono in prima fila per accreditarsi come protagonisti. Così l’in- fluente rivista online Slate (di proprietà della Microsoft) cavalca il fallimento di St. Cloud, mentre il sindaco prova a ridimensionare la cosa.
O Glenn Fleishman, autorità indiscussa in materia, dal suo sito (Wi- FiNetworkingNews) pur scoraggiato, invita a continuare e a non sottovalutare i problemi incontrati nella cittadina.
Arrivati a questo punto ci si potrebbe chiedere cosa c’entri tutto questo con George W. Bush e la politica.
Ebbene, il punto è che sulle wireless city il dibattito non è solo hi-tech. Secondo molti osservatori la trasformazione delle città da industriali o postindustriali a vere e proprie “ideopolis”, potrebbe determinare quel mutamento di geografia politica e sociale necessario per dare la spallata più volte annunciata al cosiddetto trentennio repubblicano.
Già nel 2002 John B. Judis and Ruy Teixeira (The emerging Democratic Majority, Simon & Schuster) inserirono la trasformazione in senso terziario e postindustriale dell’economia, e le sue conseguenze geogra fico-urbanistiche e sociali, tra i fenomeni determinanti per arrivare a un nuovo riallineamento in favore dei Democratici. Il caso del Wireless Philadelphia Executive Committe e del progetto Internet equality destinato agli studenti e ai ceti meno abbienti, è emblematico. Il problema è che per arrivare a Filadelfia, dove nel 1787 nacque la costituzione, oggi si deve passare per St. Cloud.

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