Bush incontra le big three
Bush incontra le big three
STEFANO BALDOLINI
Europa quotidiano, sabato 29 aprile 2006
«Lasciate a casa l’auto», così George W. Bush lo scorso settembre, nel post-Katrina, il ciclone che oltre a devastare New Orleans bloccava da giorni la produzione di carburante nelle riserve strategiche di Texas e Luoisiana.
Sarà difficile che il prossimo 18 maggio, la data fissata per il primo incontro congiunto (l’ultimo fu nell’era Clinton nel maggio del ‘93), il presidente arrivi a ripetere alle Big Three - General Motors, Ford e Chrysler - l’appello lanciato ai suoi concittadini.
Ma di certo, quello che si svolgerà a Washington si annuncia come un momento decisivo per tutti i protagonisti. Per i dirigenti delle tre case di produzione di auto alle prese con la crisi che attanaglia il settore. Per il presidente che si troverà in un colpo solo ad affrontare i key-issues del suo secondo mandato: energia e welfare. Le priorità sollevate nel recente discorso sullo stato dell’Unione, lo scorso 31 gennaio.
Dunque tre i temi che saranno in agenda, secondo le indiscrezioni anticipate dal New York Times: la questione dei carburanti ecologici alternativi, gli oneri pensionistici e sanitari a carico delle società, e l’incidenza dei cambi valutari sulle vendite di compagnie concorrenti, come la giapponese Toyota.
Non c’è dubbio che con la benzina ad oltre tre dollari il gallone, e le elezioni di mid term alle porte, la questione abbia trasceso l’economia per diventare politica. Così martedì scorso ecco George W. Bush annunciare alla platea della Renewable Fuels Coalition i quattro punti del suo piano energetico. Aumentare la disponibilità di carburante presente sul mercato; verificare eventuali manipolazioni dei prezzi della benzina; promuovere una maggiore efficienza nel consumo dei carburanti; ed incoraggiare l’utilizzazione di energia alternativa.
In questo senso, la formula magica è “etanolo”. Secondo il presidente, «la via migliore e più rapida» per uscire dalla dipendenza del petrolio. E ad etanolo, saranno prodotti entro il 2008, 500 mila nuovi veicoli della Daimler Chrysler. Ford e General Motors hanno venduto milioni di vetture ibride che impiegano carburante con etanolo all’85 per cento (l’E85).
Ma se sembrano convergere politica e produzione, rimane in piedi il vero ostacolo alla diffusione del biocarburante: l’accessibilità. Sono ancora troppo pochi i distributori nel paese. Meno dell’un per cento delle stazioni di servizio, secondo le stime della National Ethanol Vehicle Coalition, e quasi tutte concentrate nel Midwest, la regione quasi interamente e naturalmente preposta alla produzione di mais, che è la materia prima per la produzione di etanolo.
Come detto, la riconversione della produzione, troppo concentrata su veicoli di grossa cilindrata (i cosiddetti Suv), si salda all’altro grande tema, quello del welfare.
Da anni, Big Three e United Auto Workers, il sindacato dei lavoratori del settore automobilistico, stanno negoziando duramente per rivedere il sistema di prestazioni prima accantonate poi erogate dal datore di lavoro. La spesa per pensioni e sanità comporta costi per centinaia di dollari per ogni vettura prodotta a Detroit, che le compagnie non sono più disposte a sostenere. D’altra parte, si corre il rischio della chiusura di numerosi piani pensionistici con evidenti ripercussioni per i lavoratori.
Quello della riforma della Social Security, introdotta da Roosevelt nel 1935 e che coinvolge 46 milioni di americani, è uno scoglio su cui l’amministrazione Bush s’è infranto già nella primavera del 2005. Ma il problema rimane. Nel 2006 toccheranno i sessant’anni i primi baby boomers, i 78 milioni di americani che furono protagonisti della crescita economica, e che potrebbero contribuire all’esplosione della spesa pensionistica e sanitaria nel 2018.
A tutto questo si somma la concorrenza asiatica, la sempre maggiore competitività delle compagnie favorite da cambi favorevoli, come nel caso dello yen per la Toyota.
General Motors e Ford hanno minacciato tagli per 60 mila posti di lavoro e la chiusura di oltre due dozzine di impianti entro il 2012. Incalzato a proposito di possibili sostegni governativi alle compagnie, così come avvenne nel 1979 quando il Congresso salvò la Chrysler dalla bancarotta, Bush per ora ha respinto ogni ipotesi al riguardo e invitato le grandi case americane a produrre «auto competitive».
STEFANO BALDOLINI
Europa quotidiano, sabato 29 aprile 2006
«Lasciate a casa l’auto», così George W. Bush lo scorso settembre, nel post-Katrina, il ciclone che oltre a devastare New Orleans bloccava da giorni la produzione di carburante nelle riserve strategiche di Texas e Luoisiana.
Sarà difficile che il prossimo 18 maggio, la data fissata per il primo incontro congiunto (l’ultimo fu nell’era Clinton nel maggio del ‘93), il presidente arrivi a ripetere alle Big Three - General Motors, Ford e Chrysler - l’appello lanciato ai suoi concittadini.
Ma di certo, quello che si svolgerà a Washington si annuncia come un momento decisivo per tutti i protagonisti. Per i dirigenti delle tre case di produzione di auto alle prese con la crisi che attanaglia il settore. Per il presidente che si troverà in un colpo solo ad affrontare i key-issues del suo secondo mandato: energia e welfare. Le priorità sollevate nel recente discorso sullo stato dell’Unione, lo scorso 31 gennaio.
Dunque tre i temi che saranno in agenda, secondo le indiscrezioni anticipate dal New York Times: la questione dei carburanti ecologici alternativi, gli oneri pensionistici e sanitari a carico delle società, e l’incidenza dei cambi valutari sulle vendite di compagnie concorrenti, come la giapponese Toyota.
Non c’è dubbio che con la benzina ad oltre tre dollari il gallone, e le elezioni di mid term alle porte, la questione abbia trasceso l’economia per diventare politica. Così martedì scorso ecco George W. Bush annunciare alla platea della Renewable Fuels Coalition i quattro punti del suo piano energetico. Aumentare la disponibilità di carburante presente sul mercato; verificare eventuali manipolazioni dei prezzi della benzina; promuovere una maggiore efficienza nel consumo dei carburanti; ed incoraggiare l’utilizzazione di energia alternativa.
In questo senso, la formula magica è “etanolo”. Secondo il presidente, «la via migliore e più rapida» per uscire dalla dipendenza del petrolio. E ad etanolo, saranno prodotti entro il 2008, 500 mila nuovi veicoli della Daimler Chrysler. Ford e General Motors hanno venduto milioni di vetture ibride che impiegano carburante con etanolo all’85 per cento (l’E85).
Ma se sembrano convergere politica e produzione, rimane in piedi il vero ostacolo alla diffusione del biocarburante: l’accessibilità. Sono ancora troppo pochi i distributori nel paese. Meno dell’un per cento delle stazioni di servizio, secondo le stime della National Ethanol Vehicle Coalition, e quasi tutte concentrate nel Midwest, la regione quasi interamente e naturalmente preposta alla produzione di mais, che è la materia prima per la produzione di etanolo.
Come detto, la riconversione della produzione, troppo concentrata su veicoli di grossa cilindrata (i cosiddetti Suv), si salda all’altro grande tema, quello del welfare.
Da anni, Big Three e United Auto Workers, il sindacato dei lavoratori del settore automobilistico, stanno negoziando duramente per rivedere il sistema di prestazioni prima accantonate poi erogate dal datore di lavoro. La spesa per pensioni e sanità comporta costi per centinaia di dollari per ogni vettura prodotta a Detroit, che le compagnie non sono più disposte a sostenere. D’altra parte, si corre il rischio della chiusura di numerosi piani pensionistici con evidenti ripercussioni per i lavoratori.
Quello della riforma della Social Security, introdotta da Roosevelt nel 1935 e che coinvolge 46 milioni di americani, è uno scoglio su cui l’amministrazione Bush s’è infranto già nella primavera del 2005. Ma il problema rimane. Nel 2006 toccheranno i sessant’anni i primi baby boomers, i 78 milioni di americani che furono protagonisti della crescita economica, e che potrebbero contribuire all’esplosione della spesa pensionistica e sanitaria nel 2018.
A tutto questo si somma la concorrenza asiatica, la sempre maggiore competitività delle compagnie favorite da cambi favorevoli, come nel caso dello yen per la Toyota.
General Motors e Ford hanno minacciato tagli per 60 mila posti di lavoro e la chiusura di oltre due dozzine di impianti entro il 2012. Incalzato a proposito di possibili sostegni governativi alle compagnie, così come avvenne nel 1979 quando il Congresso salvò la Chrysler dalla bancarotta, Bush per ora ha respinto ogni ipotesi al riguardo e invitato le grandi case americane a produrre «auto competitive».
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