Che brutto ambiente, e come è sconveniente dirlo
“AN INCONVENIENT TRUTH” DI AL GORE Arriva il film sul surriscaldamento climatico dell‘ex vicepresidente e candidato democratico nel 2000
Che brutto ambiente, e come è sconveniente dirlo
Il documentario, girato da Davis Guggenheim e presentato al Sundance Film Festival, ha per protagonista proprio Gore che, anche attraverso incursioni nella sua vita privata, descrive la minaccia del riscaldamento globale. Un modo per rientrare in politica dalla porta di servizio?
di STEFANO BALDOLINI
Europa Quotidiano di sabato 22 aprile 2006
Se è una strada per ritentare l’assalto alla Casa Bianca, quella scelta da Al Gore è la più tortuosa. Lo sintetizza bene il “Washington Post:”: «Il noioso Al Gore ha fatto un film. E sul soggetto più noioso di tutti: il Global Warming.» Stiamo parlando di “An Inconvenient Truth”, presentato al recente Sundance Film Festival, quello del cinema indipendente inventato da Robert Redford. Il documentario, girato da Davis Guggenheim, racconta degli sforzi di uno sconfitto Al Gore che va in giro per il paese a ripetere che il tempo è scaduto, il pianeta è in pericolo. La temperatura media sulla Terra continua ad aumentare a ritmi insostenibili. Tutta colpa dell’uso troppo esteso dei combustibili fossili che innesca un aumento nell’atmosfera dell’anidride carbonica e degli altri gas serra.
E in effetti non c’era tema più ostico, issue più inerte, che quello del riscaldamento globale per risvegliare l’immaginario degli americani, stregati dal sortilegio dell’11 settembre e sempre più inclini all’isolazionismo, dopo le fallite campagne in giro per il mondo ad esportare la democrazia. Idee forti, ci vogliono. Si pensi alla strategia di Karl Rove nel 2004, tutta lotta al terrorismo e demonizzazione del “flip flopper” Kohn Kerry. O all’ultima campagna contro l’Iran.
Eppure, se è una seconda vita politica - «The New New Gore», scrive l’“American Prospect” - quella dell’ex vice di Bill Clinton, riparte proprio dal clima. Il candidato sconfitto nel 2000 da George W. Bush, irriso per aver detto «di aver inventato Internet» a Wolf Blitzer della CNN nel marzo del 1999, sta riconquistando i media cavalcando formule mai comprese appieno come Kyoto o Co2. Poi si tratterà di conquistare le platee, a maggio, quando il suo film uscirà e insieme verrà pubblicato il libro.
Per ora, a giudicare dai commentatori, il tentativo sembra essere riuscito. «E’ una campagna che Gore non può perdere», scrive Richard Cohen sul “Washington Post”. Così in “An Inconvenient Truth” si vede Al Gore fare conferenze, ammonire platee, scegliere diapositive, preparare valigie, insomma niente di più eccitante (“amazing”, direbbero gli americani), verrebbe da dire. E c’è chi ci va giù pesante.
Per il sulfureo Doug Powers, commentatore di “The American Spectator”, la cattiva notizia è che Al Gore dice che siamo segnati, la buona è che ce lo dice Al Gore. Oppure «lo stile da climatologo», di Al Gore, sembra quello di uno scienziato per i quali «la precisione delle previsioni cresce quanto la distanza con la scadenza.»
Ma il film al Sundance è piaciuto, e soprattutto è piaciuto Al Gore, che esce con una luce nuova dall’esperienza.
Merito dell’autorevolezza (pur ingessata) che emana. Delle immagini spettacolari, dei ghiacciai che si sciolgono, dei poveri orsi polari che soffrono, ma non solo.
Tutto questo c’era anche due anni fa, nel maggio del 2004, quando un regista con ben altri mezzi e ambizioni come Roland Emmerich (quello di “Independence day”) provò a conquistare le platee raccontando di una nuova era glaciale in “The Day After Tomorrow”.
E l’effetto serra – e gli effetti speciali – esistevano anche ai tempi della proiezione newyorchese organizzata da “MoveOn”, la creatura online cavalcata da Howard Dean, per lanciare il kolossal che avrebbe dovuto aiutare il candidato democratico John Kerry nel novembre successivo. «Bush non ha capito che l’effetto serra è una minaccia equivalente a quella del terrorismo», spiegava Peter Schum, di Move On, alla platea.
Dove oltre a Robert Kennedy, nipote di JFK, sedeva Al Gore stesso. Che, dopo aver visto gli eroi Dennis Quaid e Jake Gyllenhaal salvarsi dall’estinzione, presentò uno slide show che colpì molto.
Il risultato fu che qualche tempo dopo, Lawrence Bender (produttore di Quentin Tarantino) e Jeffrey Skoll (miliardario guru di Ebay), proposero di usare quelle immagini per il film. Qualche problema sorse per via del fatto che erano vecchie immagini del figlio di Al Gore, ma poi tutto si risolse.
E anzi proprio le incursioni nella vita di Gore sembra sia uno dei punti di forza di “An Inconvenient Truth”. L’incidente d’auto che per poco non uccise il figlio, la sua sconfitta in Florida, e la morte di sua sorella per un cancro causato dal fumo, avvalorano le ragioni del suo attivismo ambientale che oggi potrebbe finalmente “arrivare”: il pubblico è pronto a recepire il messaggio.
E se questo accadrà, probabilmente gran merito va a Katrina. A New Orleans sommersa dalle acque, ai ritardi dei soccorsi, ai dispersi, ai senza tetto. L’emergenza, percepita sinora lontana, è arrivata nelle case, né più né meno delle torri fumanti di New York.
Il problema non è secondario. C’è il solito paradosso da risolvere. «Come possiamo spronare i nostri leader ad evitare una catastrofe la cui ricompensa politica sarà appannaggio di qualcun altro, tra decenni, o anche secoli?», si domanda Rob Nixon su “Slate”.
Per farsi aiutare nei suoi sforzi Al Gore ha assunto Roy Neel, da oltre trentanni uomo chiave nella macchina politica dei democratici e alla Casa Bianca con Clinton. Il mese scorso in Tennesse ha escluso ogni volontà di ricandidarsi. Si concentrerà sul global warming e probabilmente terrà una sessione estiva a Nashville per capire come comunicare l’”emergenza planetaria”. In questo senso, nel nuovo Field Notes from a Catastrophe, Elizabeth Kolbert nota come ci siano stati grossi errori. A cominciare dall’aggettivo ”global” per esempio, «fiacco, impopolare, stanco.» Difficilmente in grado di riscaldare i cuori, spingere all’azione.
A comunicare il rischio, Al Gore, ci aveva già provato, e bene, nel 1992 con Earth in the Balance.
Oggi, «sui blog, nelle riviste, tra opinionisti ed esperti, ‘Al Gore 2008’ è al tempo stesso un grido di battaglia e un gioco a quiz», scrive “American Prospect”. L’impressione è quella di «una strana traiettoria: è come vedere uno yes-man aziendale che ritorna un adolescente idealista».
Che, si candidi o meno, ha già come avversario George W. Bush. Il presidente ha sempre considerato un impegno non suo la firma apposta proprio dallo stesso Al Gore a Kyoto, nel dicembre ‘97.
Che brutto ambiente, e come è sconveniente dirlo
Il documentario, girato da Davis Guggenheim e presentato al Sundance Film Festival, ha per protagonista proprio Gore che, anche attraverso incursioni nella sua vita privata, descrive la minaccia del riscaldamento globale. Un modo per rientrare in politica dalla porta di servizio?
di STEFANO BALDOLINI
Europa Quotidiano di sabato 22 aprile 2006
Se è una strada per ritentare l’assalto alla Casa Bianca, quella scelta da Al Gore è la più tortuosa. Lo sintetizza bene il “Washington Post:”: «Il noioso Al Gore ha fatto un film. E sul soggetto più noioso di tutti: il Global Warming.» Stiamo parlando di “An Inconvenient Truth”, presentato al recente Sundance Film Festival, quello del cinema indipendente inventato da Robert Redford. Il documentario, girato da Davis Guggenheim, racconta degli sforzi di uno sconfitto Al Gore che va in giro per il paese a ripetere che il tempo è scaduto, il pianeta è in pericolo. La temperatura media sulla Terra continua ad aumentare a ritmi insostenibili. Tutta colpa dell’uso troppo esteso dei combustibili fossili che innesca un aumento nell’atmosfera dell’anidride carbonica e degli altri gas serra.
E in effetti non c’era tema più ostico, issue più inerte, che quello del riscaldamento globale per risvegliare l’immaginario degli americani, stregati dal sortilegio dell’11 settembre e sempre più inclini all’isolazionismo, dopo le fallite campagne in giro per il mondo ad esportare la democrazia. Idee forti, ci vogliono. Si pensi alla strategia di Karl Rove nel 2004, tutta lotta al terrorismo e demonizzazione del “flip flopper” Kohn Kerry. O all’ultima campagna contro l’Iran.
Eppure, se è una seconda vita politica - «The New New Gore», scrive l’“American Prospect” - quella dell’ex vice di Bill Clinton, riparte proprio dal clima. Il candidato sconfitto nel 2000 da George W. Bush, irriso per aver detto «di aver inventato Internet» a Wolf Blitzer della CNN nel marzo del 1999, sta riconquistando i media cavalcando formule mai comprese appieno come Kyoto o Co2. Poi si tratterà di conquistare le platee, a maggio, quando il suo film uscirà e insieme verrà pubblicato il libro.
Per ora, a giudicare dai commentatori, il tentativo sembra essere riuscito. «E’ una campagna che Gore non può perdere», scrive Richard Cohen sul “Washington Post”. Così in “An Inconvenient Truth” si vede Al Gore fare conferenze, ammonire platee, scegliere diapositive, preparare valigie, insomma niente di più eccitante (“amazing”, direbbero gli americani), verrebbe da dire. E c’è chi ci va giù pesante.
Per il sulfureo Doug Powers, commentatore di “The American Spectator”, la cattiva notizia è che Al Gore dice che siamo segnati, la buona è che ce lo dice Al Gore. Oppure «lo stile da climatologo», di Al Gore, sembra quello di uno scienziato per i quali «la precisione delle previsioni cresce quanto la distanza con la scadenza.»
Ma il film al Sundance è piaciuto, e soprattutto è piaciuto Al Gore, che esce con una luce nuova dall’esperienza.
Merito dell’autorevolezza (pur ingessata) che emana. Delle immagini spettacolari, dei ghiacciai che si sciolgono, dei poveri orsi polari che soffrono, ma non solo.
Tutto questo c’era anche due anni fa, nel maggio del 2004, quando un regista con ben altri mezzi e ambizioni come Roland Emmerich (quello di “Independence day”) provò a conquistare le platee raccontando di una nuova era glaciale in “The Day After Tomorrow”.
E l’effetto serra – e gli effetti speciali – esistevano anche ai tempi della proiezione newyorchese organizzata da “MoveOn”, la creatura online cavalcata da Howard Dean, per lanciare il kolossal che avrebbe dovuto aiutare il candidato democratico John Kerry nel novembre successivo. «Bush non ha capito che l’effetto serra è una minaccia equivalente a quella del terrorismo», spiegava Peter Schum, di Move On, alla platea.
Dove oltre a Robert Kennedy, nipote di JFK, sedeva Al Gore stesso. Che, dopo aver visto gli eroi Dennis Quaid e Jake Gyllenhaal salvarsi dall’estinzione, presentò uno slide show che colpì molto.
Il risultato fu che qualche tempo dopo, Lawrence Bender (produttore di Quentin Tarantino) e Jeffrey Skoll (miliardario guru di Ebay), proposero di usare quelle immagini per il film. Qualche problema sorse per via del fatto che erano vecchie immagini del figlio di Al Gore, ma poi tutto si risolse.
E anzi proprio le incursioni nella vita di Gore sembra sia uno dei punti di forza di “An Inconvenient Truth”. L’incidente d’auto che per poco non uccise il figlio, la sua sconfitta in Florida, e la morte di sua sorella per un cancro causato dal fumo, avvalorano le ragioni del suo attivismo ambientale che oggi potrebbe finalmente “arrivare”: il pubblico è pronto a recepire il messaggio.
E se questo accadrà, probabilmente gran merito va a Katrina. A New Orleans sommersa dalle acque, ai ritardi dei soccorsi, ai dispersi, ai senza tetto. L’emergenza, percepita sinora lontana, è arrivata nelle case, né più né meno delle torri fumanti di New York.
Il problema non è secondario. C’è il solito paradosso da risolvere. «Come possiamo spronare i nostri leader ad evitare una catastrofe la cui ricompensa politica sarà appannaggio di qualcun altro, tra decenni, o anche secoli?», si domanda Rob Nixon su “Slate”.
Per farsi aiutare nei suoi sforzi Al Gore ha assunto Roy Neel, da oltre trentanni uomo chiave nella macchina politica dei democratici e alla Casa Bianca con Clinton. Il mese scorso in Tennesse ha escluso ogni volontà di ricandidarsi. Si concentrerà sul global warming e probabilmente terrà una sessione estiva a Nashville per capire come comunicare l’”emergenza planetaria”. In questo senso, nel nuovo Field Notes from a Catastrophe, Elizabeth Kolbert nota come ci siano stati grossi errori. A cominciare dall’aggettivo ”global” per esempio, «fiacco, impopolare, stanco.» Difficilmente in grado di riscaldare i cuori, spingere all’azione.
A comunicare il rischio, Al Gore, ci aveva già provato, e bene, nel 1992 con Earth in the Balance.
Oggi, «sui blog, nelle riviste, tra opinionisti ed esperti, ‘Al Gore 2008’ è al tempo stesso un grido di battaglia e un gioco a quiz», scrive “American Prospect”. L’impressione è quella di «una strana traiettoria: è come vedere uno yes-man aziendale che ritorna un adolescente idealista».
Che, si candidi o meno, ha già come avversario George W. Bush. Il presidente ha sempre considerato un impegno non suo la firma apposta proprio dallo stesso Al Gore a Kyoto, nel dicembre ‘97.
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