Tuesday, May 16, 2006

Allarme rosso sul clima che cambia.

Allarme rosso sul clima che cambia. Ucciderà a milioni nei paesi più poveri
Secondo il rapporto della ong Christian Aid la Terra è a rischio di inondazioni, carestie, siccità e anche conseguenti conflitti. I più colpiti saranno i paesi poveri, ma le emissioni di anidride carbonica riguardano tutti, Italia compresa.
di STEFANO BALDOLINI
Europa quotidiano, oggi martedì 16 maggio 2006

I cambiamenti climatici sono una minaccia per lo sviluppo. E almeno 182 milioni di persone nella sola Africa sub sahariana potrebbero morire entro la fi- ne del secolo per malattie direttamente attribuibili agli effetti del cosiddetto climate change. Lo denuncia la ong britannica Christian Aid, in un rapporto diffuso ieri dal titolo Climate of poverty: facts, fears and hope, che paventa inondazioni, carestie, siccità e persino con- flitti.
Come nel nord del Kenya, colpito dalla siccità, dove è in corso una vera e propria guerra tra i pastori per accaparrarsi le fonti d’acqua in diminuzione.
O in Bangladesh, dove praticamente tutta la popolazione vive in aree situate sotto il livello del mare e la situazione è potenzialmente ancora più drammatica: un aumento del livello degli oceani porterebbe a milioni di profughi. Il fenomeno è in parte già visibile, periodicamente, in coincidenza dello scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya, quando numerose famiglie sono già costrette a migrare.
Per evitare che tali scenari divengano reali, secondo Christian Aid le regioni più povere dovrebbero essere incoraggiate a usare fonti di energia rinnovabili.
Abbandonare i combustibili fossili e adottare fonti energetiche come quella solare o l’eolica «non solo produrrebbero benefici ambientali ma potrebbero avere come risultato un aumento dell’occupazione, migliori condizioni di salute e maggiori opportunità nell’educazione». Si stima, per ogni proprietario di un’abitazione del continente africano, che adottare energie pulite e rinnovabili costerebbe meno che pagare il conto del petrolio nei prossimi dieci anni. Le tecnologie in via di sviluppo potrebbero «trasformare il continente più povero del mondo in una rete esportatrice di energia pulita». Il rapporto esorta il governo Blair a guidare i paesi più ricchi in un’azione urgente per controllare il fenomeno del riscaldamento globale.
In questo senso va ricordato un recente studio condotto da sir David King, consigliere scientifico del governo, secondo il quale la temperatura della Terra sarebbe comunque destinata a salire di 3 gradi entro il 2100 con conseguenze disastrose. Quattrocento milioni di persone a rischio di malnutrizione, tra l’uno e i tre miliardi di uomini senza acqua, la distruzione di metà delle risorse naturali mondiali. Sulla vicenda lo scorso aprile il quotidiano The Independent titolava a otto colonne e scriveva nell’editoriale: «Lo studio prodotto dall’Headley Centre è un’ulteriore conferma delle gravissime conseguenze per l’umanità se si continua su questa strada».
E a proposito di strategie globali, il rapporto di Christian Aid cade nel pieno della due giorni di «dialogo» di Bonn, dove i 189 paesi che hanno ratificato la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici cercano di superare il perdurante stallo, ribadito alla conferenza di Montreal nel dicembre scorso, tra le differenti posizioni. Da una parte, i paesi dell’area Asia-Pacifico, che temono ripercussioni sull’economia e vogliono legare il taglio di emissioni allo sviluppo di nuove tecnologie. Dall’altra, l’Europa, che mira a ridurre le emissioni di gas serra attraverso il meccanismo delle quote.
Su questo fronte, proprio ieri l’Unione europea ha fatto sapere che le emissioni di anidride carbonica nel 2005 sono state oltre 44 milioni di tonnellate in meno della quota prevista.
Spicca il comportamento virtuoso della Germania (495 milioni di tonnellate consentiti, 473,7 emessi), della Francia, della Repubblica ceca e della Finlandia.
Male la Gran Bretagna (che sfora con 33 milioni di tonnellate) e la Spagna (18,9 milioni di tonnellate). L’Italia ha superato la soglia limite di circa 7 milioni di tonnellate, ma ha registrato il più alto numero di installazioni non in regola (647, un’enormità rispetto alle 90 della Germania o alle 16 della Gran Bretagna).
La misurazione però è incompleta. Riguarda solo 21 stati membri e copre solo 9.420 dei circa 11.000 impianti, il 99,1% del totale. Inoltre diversi paesi avrebbero concesso alle proprie aziende nazionali quote di emissioni in eccesso rispetto a quelle di cui avevano realmente bisogno.
Un’altra tegola sulle modalità di applicazione di Kyoto. E dal 17 al 25 maggio si riunisce il «gruppo ad hoc» dei 163 paesi che lo hanno ratificato e che dovranno discutere su come estenderlo dopo il 2012.

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