Media Usa, l'aria è cambiata
Media Usa, l'aria è cambiata
Stefano Baldolini - Europa
“Continuare a documentare la violenza o coprire lo svolgimento delle elezioni?” Questa, secondo il New York Times, l’inedita domanda che si sono trovati a fronteggiare i media arabi domenica mattina, dopo i primi attacchi terroristici. “Dopo due anni passati a mandare in onda immagini di esplosioni e gli ultimi mesi a parlare di una giornata di sangue, molti giornalisti hanno scoperto che la decisione era incredibilmente semplice da prendere. La storia del giorno erano le elezioni, non la violenza.”
E negli States? Cosa è arrivato all’opinione pubblica? Come si sono comportati i media americani? All’indomani dell’Election Day, scorrendo i titoli dei più importanti quotidiani – in genere contrari all’intervento in Iraq – la linea emerge prepotentemente e sembra ricalcare le parole di Condi Rice (“E’ andata molto meglio di quanto ci aspettassimo”): meno violenza del previsto e altissima partecipazione al voto.
“Sfidando le minacce, milioni di iracheni affollano i seggi” (The New York Times), “Milioni di iracheni sfidano la paura con il voto” (The Washington Post), “In Iraq la partecipazione al voto batte la violenza” (Los Angeles Times).
Poi c’erano i “trionfalisti”. “Una giornata storica”, titolava a caratteri cubitali Usa Today. “Questo è il giorno più felice della mia vita”, si leggeva sul sito della Cnn, che riprendeva le parole di una donna curda che mostrava con orgoglio il suo indice sporco di inchiostro, simbolo del voto appena effettuato.
E le “tracce d’inchiostro come marchio di libertà” (titolava la stessa Cnn) hanno avuto un ruolo centrale. Per rifarsi ad un precedente recente, forse simile al viso sfigurato dalla diossina dell’ucraino Yuschenko. Nella “pericolosa” Haifa Street di Bagdad alcuni cittadini “freschi di voto” sono stati riconosciuti dalle dita sporche d’inchiostro e uccisi a colpi di granata, riportava la Cnn. Ma anche la Fox ha indugiato sulla metafora.
A questo punto però può essere utile fare un passo indietro. Nelle prime ore infatti che le cose si sarebbero messe così bene era meno evidente.
“Le autorità Usa sembrano certe che oggi sarà un gran successo, nonostante diversi attacchi, a Bagdad e in altre parti del paese, abbiano ucciso 39 persone. Si parla del 72% di affluenza”, scriveva domenica mattina il New York Times sottolineando però la bassa affluenza dei sunniti. Il Washington Post, nelle stesse ore riportava “frequenti scene di festeggiamenti nei distretti sciiti intorno a Bagdad e diverse esplosioni nella città” e confermava l’astensionismo sunnita. “Molti seggi hanno aperto in ritardo e sono deserti, particolarmente nelle aree di Falluja, Ramadi e Samara.”
Nelle ore successive il tono mutava, e si provava ad approfondire. Sempre il New York Times. “Le autorità parlano di 8 milioni di votanti, quindi tra il 55 e il 60%, ma la questione rimane: quanti sono i cittadini iscritti a votare?”. Con una nota di ottimismo però, “Ma se gli insorti hanno intenzione di impedire il voto della gente, ebbene hanno fallito. Se vogliono portare il caos, hanno fallito. L’aria è cambiata.” Il Washington Post provava a gettare qualche ombra sulla “linea Rice” riportando diversi episodi sanguinosi nel paese, ma ammetteva che “l’elezione potrebbe essere la più autorevole mai fatta in uno stato arabo e una delle rare vittorie dell’amministrazione Bush.”
Più o meno il tono del reporter del Wall Street Journal, che lunedì scriveva: “L’Election Day è stato il momento più esaltante nei due anni di cronaca dall’Iraq.”. “E’ difficile prevedere cosa queste elezioni significheranno per il futuro, ma una cosa è certa: gli iracheni hanno finalmente rotto con il passato.”
Stefano Baldolini - Europa
“Continuare a documentare la violenza o coprire lo svolgimento delle elezioni?” Questa, secondo il New York Times, l’inedita domanda che si sono trovati a fronteggiare i media arabi domenica mattina, dopo i primi attacchi terroristici. “Dopo due anni passati a mandare in onda immagini di esplosioni e gli ultimi mesi a parlare di una giornata di sangue, molti giornalisti hanno scoperto che la decisione era incredibilmente semplice da prendere. La storia del giorno erano le elezioni, non la violenza.”
E negli States? Cosa è arrivato all’opinione pubblica? Come si sono comportati i media americani? All’indomani dell’Election Day, scorrendo i titoli dei più importanti quotidiani – in genere contrari all’intervento in Iraq – la linea emerge prepotentemente e sembra ricalcare le parole di Condi Rice (“E’ andata molto meglio di quanto ci aspettassimo”): meno violenza del previsto e altissima partecipazione al voto.
“Sfidando le minacce, milioni di iracheni affollano i seggi” (The New York Times), “Milioni di iracheni sfidano la paura con il voto” (The Washington Post), “In Iraq la partecipazione al voto batte la violenza” (Los Angeles Times).
Poi c’erano i “trionfalisti”. “Una giornata storica”, titolava a caratteri cubitali Usa Today. “Questo è il giorno più felice della mia vita”, si leggeva sul sito della Cnn, che riprendeva le parole di una donna curda che mostrava con orgoglio il suo indice sporco di inchiostro, simbolo del voto appena effettuato.
E le “tracce d’inchiostro come marchio di libertà” (titolava la stessa Cnn) hanno avuto un ruolo centrale. Per rifarsi ad un precedente recente, forse simile al viso sfigurato dalla diossina dell’ucraino Yuschenko. Nella “pericolosa” Haifa Street di Bagdad alcuni cittadini “freschi di voto” sono stati riconosciuti dalle dita sporche d’inchiostro e uccisi a colpi di granata, riportava la Cnn. Ma anche la Fox ha indugiato sulla metafora.
A questo punto però può essere utile fare un passo indietro. Nelle prime ore infatti che le cose si sarebbero messe così bene era meno evidente.
“Le autorità Usa sembrano certe che oggi sarà un gran successo, nonostante diversi attacchi, a Bagdad e in altre parti del paese, abbiano ucciso 39 persone. Si parla del 72% di affluenza”, scriveva domenica mattina il New York Times sottolineando però la bassa affluenza dei sunniti. Il Washington Post, nelle stesse ore riportava “frequenti scene di festeggiamenti nei distretti sciiti intorno a Bagdad e diverse esplosioni nella città” e confermava l’astensionismo sunnita. “Molti seggi hanno aperto in ritardo e sono deserti, particolarmente nelle aree di Falluja, Ramadi e Samara.”
Nelle ore successive il tono mutava, e si provava ad approfondire. Sempre il New York Times. “Le autorità parlano di 8 milioni di votanti, quindi tra il 55 e il 60%, ma la questione rimane: quanti sono i cittadini iscritti a votare?”. Con una nota di ottimismo però, “Ma se gli insorti hanno intenzione di impedire il voto della gente, ebbene hanno fallito. Se vogliono portare il caos, hanno fallito. L’aria è cambiata.” Il Washington Post provava a gettare qualche ombra sulla “linea Rice” riportando diversi episodi sanguinosi nel paese, ma ammetteva che “l’elezione potrebbe essere la più autorevole mai fatta in uno stato arabo e una delle rare vittorie dell’amministrazione Bush.”
Più o meno il tono del reporter del Wall Street Journal, che lunedì scriveva: “L’Election Day è stato il momento più esaltante nei due anni di cronaca dall’Iraq.”. “E’ difficile prevedere cosa queste elezioni significheranno per il futuro, ma una cosa è certa: gli iracheni hanno finalmente rotto con il passato.”
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