Don Verzé: la Chiesa presto dovrà accettare pillola e preservativo
L’INTERVISTA / Il sacerdote fondatore del San Raffaele: nulla può fermare la scienza, la ricerca deve essere spiegata e rispettata«Fecondazione, i cattolici possono anche votare sì»Don Verzé: la Chiesa presto dovrà accettare pillola e preservativo
Don Luigi Verzé, qui al San Raffaele lei presiede il più grande centro di ricerca italiano, che ora sarà raddoppiato. Eppure tra fede e ricerca sembra essersi creata un’antinomia. «Invece sono sorelle gemelle. Oggetto della fede è la verità. Oggetto della scienza è la verità. L’errore sta nel contrapporle». L’impressione è che sia la Chiesa a farlo. «Gli uomini della Chiesa si preoccupano del miglior bene per l’uomo in rapporto a Dio. Spesso questa preoccupazione diventa preconcetto, diffidenza. Mi auguro che molti sacerdoti diventino medici e biologi, e molti medici e biologi diventino anche filosofi, umanisti e teologi: in modo che si capisca che la verità va incontro ai liberi, ai liberi anche da se stessi. Non amo la Chiesa proibizionista. Amo la Chiesa illuminante». Quando al San Raffaele ci si imbatte in una questione etica e di coscienza, lei come si comporta con i suoi ricercatori? Li ferma? «Nulla può fermare la scienza. La libertà, come la ricerca, va spiegata e rispettata; allora scansa il libertinismo distruttivo, perché è accompagnata dalla responsabilità individuale. La regola del buon ricercatore è l’equilibrio, l’intuito, il discernimento prudente. Io i miei ricercatori non li condanno mai. Coltivo in loro questa regola. Li stimo, li amo, e li incoraggio a rischiare, dopo aver ben calcolato, in nome della vita. Il fare può essere immorale; ma il non fare, e subito, lo può essere più spesso». Gli italiani tra pochi mesi saranno chiamati a esprimersi su un tema delicato, gli embrioni. È lecito usare embrioni umani per trovare nuove cure a terribili malattie? «È un tema che non mi fa paura, anzi mi fa piacere che se ne discuta. Credo che qui non valga il paradosso di Aristotele, che distingue tra "essere in realtà" e "poter essere", tra esseri reali e possibili, ipoteticamente infiniti. L'embrione è reale sin da quando è vero, quando avviene la fusione dei due gameti che dà origine a un essere nuovo. E diventa persona quando Dio gli infonde l’anima». Appunto: quando? «Se ne discute da sempre. Quello che mi meraviglia è che se ne discuta come di una cosa estranea dal sé. Si parla sempre degli embrioni altrui. Io vorrei parlare del mio. Sono geloso della mia personale dignità, di quel che mi fa cosciente di me. Non può una legge stabilire cosa io sia, cosa io debba essere. Solo la biologia ha cominciato a spiegarlo. Il mio embrione è il mio essere: corpo, intelletto, spirito, in unum. Guai a chi avesse toccato il mio esistere, fossi anche cieco e talassemico; gli spaccherei la testa. Così farebbe Pannella, se a suo tempo avessero toccato il lui ancora pannellino. Che poi era sempre il lui, il grande Pannella, in nuce». Lei non ha ancora risposto: è lecito usare embrioni umani per trovare nuove cure? «Sì, è lecito. A patto di non uccidere l’embrione, né ferirlo. La ricerca al San Raffaele procede su un doppio binario: l'invocazione della gente; il comandamento di non uccidere. La scienza è lenta, ma arriva. I nostri ricercatori stanno mettendo a punto una tecnica contro la talassemia che interviene sui gameti femminili anziché sull’embrione. Si evita così la selezione discriminatoria degli embrioni, permettendo la fecondazione solo di ovociti sani». Ma per la Chiesa la fecondazione in vitro è moralmente inaccettabile. «La fecondazione omologa va vista come completamento dell’atto coniugale. Non sopporto gli irsuti inquisitori che pretendono di alzare il lenzuolo del letto nuziale; mi pare impudico. Credo che a suo tempo la Chiesa accetterà la fecondazione omologa in vitro, come accetterà, almeno per situazioni limite, la pillola contraccettiva e il preservativo. Per farlo capire a certi proibizionisti basterebbe che uscissero dalle affrescate stanze curiali e si intrattenessero per un po’ nelle favelas e nei tuguri africani». Le sue parole le costeranno qualche polemica. Lei non è un teologo del dissenso, è il fondatore di ospedali e centri di ricerca, insomma è in condizione di dare un seguito a quanto dice; ed è pure considerato, mi perdoni la battuta, un prete di destra. «Non sono né di destra né di sinistra. Il San Raffaele non è un’istituzione ecclesiastica, destinata a sfasciarsi se non viene conferita alla curia di Milano o di Roma. È un’istituzione laica, e il mio successore sarà laico, scelto tra un gruppo di votati ai principi evangelici: i sigilli, nati con il San Raffaele, laici consacrati non con voti ma con promesse di coerente e perenne lealtà. La ricerca è per me un obbligo: una ricerca a tutto campo, non solo sul corpo ma sulla psiche e sullo spirito. Per questo ho voluto una facoltà di filosofia il cui preside è Massimo Cacciari, e presto una di teoantropologia: un termine di mio conio che esprime la tensione dell’uomo a indiarsi, a diventare come Dio». Anche a fare di tutto pur di avere un figlio? «La fecondazione assistita deve essere il modo di aiutare i coniugi legittimi a esercitare un diritto. Tutti hanno il diritto di avere figli. Qualcuno può rinunziarvi, come ho fatto io; ma la scelta è individuale. Negare il diritto di avere figli è una stupidaggine contro natura. Anche prima della legge 40, i nostri ginecologi inseminavano un numero limitato di ovociti, sufficienti per un unico e contemporaneo impianto; e solo il 5% di quelle gravidanze è bigemina. Il limite di tre mi pare eccessivo, perché limita la possibilità di avere figli. In casi particolari, l'inseminazione forse può essere portata a un numero leggermente superiore di ovociti, purché tutti impiantati. Anche qui occorre scienza, sapienza e cuore». E la fecondazione eterologa? «Non vorrei essere un figlio "spurio", ma se lo fossi non me ne vanterei. Non mi sentirei quell’autentico io, di Lucilla Bozzi ed Emilio Verzé, che preferisco essere». Come voterà al referendum? «Io farei il referendum quando la scienza mi darà più luce, a me e alla gente che per decidere ha diritto di saperne di più. Insisto: l’importante è non uccidere. Io, se voterò, voterò per essere quello che sono, figlio di mio padre e di mia madre, non un numero ma una persona, questa che loro mi hanno trasmesso». È d’accordo con Ferrara e quei vescovi che vedono dietro l’astensione la mancanza del coraggio di dare battaglia? «Stimo molto Ferrara, la sua intelligenza vola in proporzione diretta alla sua gravità e simpatia. Ma si può dimostrare coraggio, tenere una posizione culturale ed etica, anche astenendosi strumentalmente dal voto, dopo che si è ben riflettuto». Non cambierebbe quindi la legge? «Perché no? Ma non subito». Ma un cattolico potrebbe votare sì? «Se è un cattolico libero, avverte la responsabilità di quel che fa, ha vera consapevolezza di sé e del valore del suo sé, in teoria potrebbe». In che senso lei dice che nulla può fermare la scienza? «Al banco del laboratorio lo scienziato cammina con la sua testa. I ricercatori bisogna accompagnarli, non giudicarli. Detesto quelle persone che, intendendosi molto di dogmatica e di etica, credono di intendersi anche di biologia. Che arrivano al tavolo di una discussione delicata come quella sull’embrione con la faccia arcigna di chi ha già un giudizio sull’interlocutore. In questo modo non danno il clima della libertà ma dell’imposizione entro regole che hanno già stabilito; lasciano il sapore della presunzione e non della verità. E questo vale per i cattolici, ma anche per certi cosiddetti laicisti».
Aldo Cazzullo
Politica
Don Luigi Verzé, qui al San Raffaele lei presiede il più grande centro di ricerca italiano, che ora sarà raddoppiato. Eppure tra fede e ricerca sembra essersi creata un’antinomia. «Invece sono sorelle gemelle. Oggetto della fede è la verità. Oggetto della scienza è la verità. L’errore sta nel contrapporle». L’impressione è che sia la Chiesa a farlo. «Gli uomini della Chiesa si preoccupano del miglior bene per l’uomo in rapporto a Dio. Spesso questa preoccupazione diventa preconcetto, diffidenza. Mi auguro che molti sacerdoti diventino medici e biologi, e molti medici e biologi diventino anche filosofi, umanisti e teologi: in modo che si capisca che la verità va incontro ai liberi, ai liberi anche da se stessi. Non amo la Chiesa proibizionista. Amo la Chiesa illuminante». Quando al San Raffaele ci si imbatte in una questione etica e di coscienza, lei come si comporta con i suoi ricercatori? Li ferma? «Nulla può fermare la scienza. La libertà, come la ricerca, va spiegata e rispettata; allora scansa il libertinismo distruttivo, perché è accompagnata dalla responsabilità individuale. La regola del buon ricercatore è l’equilibrio, l’intuito, il discernimento prudente. Io i miei ricercatori non li condanno mai. Coltivo in loro questa regola. Li stimo, li amo, e li incoraggio a rischiare, dopo aver ben calcolato, in nome della vita. Il fare può essere immorale; ma il non fare, e subito, lo può essere più spesso». Gli italiani tra pochi mesi saranno chiamati a esprimersi su un tema delicato, gli embrioni. È lecito usare embrioni umani per trovare nuove cure a terribili malattie? «È un tema che non mi fa paura, anzi mi fa piacere che se ne discuta. Credo che qui non valga il paradosso di Aristotele, che distingue tra "essere in realtà" e "poter essere", tra esseri reali e possibili, ipoteticamente infiniti. L'embrione è reale sin da quando è vero, quando avviene la fusione dei due gameti che dà origine a un essere nuovo. E diventa persona quando Dio gli infonde l’anima». Appunto: quando? «Se ne discute da sempre. Quello che mi meraviglia è che se ne discuta come di una cosa estranea dal sé. Si parla sempre degli embrioni altrui. Io vorrei parlare del mio. Sono geloso della mia personale dignità, di quel che mi fa cosciente di me. Non può una legge stabilire cosa io sia, cosa io debba essere. Solo la biologia ha cominciato a spiegarlo. Il mio embrione è il mio essere: corpo, intelletto, spirito, in unum. Guai a chi avesse toccato il mio esistere, fossi anche cieco e talassemico; gli spaccherei la testa. Così farebbe Pannella, se a suo tempo avessero toccato il lui ancora pannellino. Che poi era sempre il lui, il grande Pannella, in nuce». Lei non ha ancora risposto: è lecito usare embrioni umani per trovare nuove cure? «Sì, è lecito. A patto di non uccidere l’embrione, né ferirlo. La ricerca al San Raffaele procede su un doppio binario: l'invocazione della gente; il comandamento di non uccidere. La scienza è lenta, ma arriva. I nostri ricercatori stanno mettendo a punto una tecnica contro la talassemia che interviene sui gameti femminili anziché sull’embrione. Si evita così la selezione discriminatoria degli embrioni, permettendo la fecondazione solo di ovociti sani». Ma per la Chiesa la fecondazione in vitro è moralmente inaccettabile. «La fecondazione omologa va vista come completamento dell’atto coniugale. Non sopporto gli irsuti inquisitori che pretendono di alzare il lenzuolo del letto nuziale; mi pare impudico. Credo che a suo tempo la Chiesa accetterà la fecondazione omologa in vitro, come accetterà, almeno per situazioni limite, la pillola contraccettiva e il preservativo. Per farlo capire a certi proibizionisti basterebbe che uscissero dalle affrescate stanze curiali e si intrattenessero per un po’ nelle favelas e nei tuguri africani». Le sue parole le costeranno qualche polemica. Lei non è un teologo del dissenso, è il fondatore di ospedali e centri di ricerca, insomma è in condizione di dare un seguito a quanto dice; ed è pure considerato, mi perdoni la battuta, un prete di destra. «Non sono né di destra né di sinistra. Il San Raffaele non è un’istituzione ecclesiastica, destinata a sfasciarsi se non viene conferita alla curia di Milano o di Roma. È un’istituzione laica, e il mio successore sarà laico, scelto tra un gruppo di votati ai principi evangelici: i sigilli, nati con il San Raffaele, laici consacrati non con voti ma con promesse di coerente e perenne lealtà. La ricerca è per me un obbligo: una ricerca a tutto campo, non solo sul corpo ma sulla psiche e sullo spirito. Per questo ho voluto una facoltà di filosofia il cui preside è Massimo Cacciari, e presto una di teoantropologia: un termine di mio conio che esprime la tensione dell’uomo a indiarsi, a diventare come Dio». Anche a fare di tutto pur di avere un figlio? «La fecondazione assistita deve essere il modo di aiutare i coniugi legittimi a esercitare un diritto. Tutti hanno il diritto di avere figli. Qualcuno può rinunziarvi, come ho fatto io; ma la scelta è individuale. Negare il diritto di avere figli è una stupidaggine contro natura. Anche prima della legge 40, i nostri ginecologi inseminavano un numero limitato di ovociti, sufficienti per un unico e contemporaneo impianto; e solo il 5% di quelle gravidanze è bigemina. Il limite di tre mi pare eccessivo, perché limita la possibilità di avere figli. In casi particolari, l'inseminazione forse può essere portata a un numero leggermente superiore di ovociti, purché tutti impiantati. Anche qui occorre scienza, sapienza e cuore». E la fecondazione eterologa? «Non vorrei essere un figlio "spurio", ma se lo fossi non me ne vanterei. Non mi sentirei quell’autentico io, di Lucilla Bozzi ed Emilio Verzé, che preferisco essere». Come voterà al referendum? «Io farei il referendum quando la scienza mi darà più luce, a me e alla gente che per decidere ha diritto di saperne di più. Insisto: l’importante è non uccidere. Io, se voterò, voterò per essere quello che sono, figlio di mio padre e di mia madre, non un numero ma una persona, questa che loro mi hanno trasmesso». È d’accordo con Ferrara e quei vescovi che vedono dietro l’astensione la mancanza del coraggio di dare battaglia? «Stimo molto Ferrara, la sua intelligenza vola in proporzione diretta alla sua gravità e simpatia. Ma si può dimostrare coraggio, tenere una posizione culturale ed etica, anche astenendosi strumentalmente dal voto, dopo che si è ben riflettuto». Non cambierebbe quindi la legge? «Perché no? Ma non subito». Ma un cattolico potrebbe votare sì? «Se è un cattolico libero, avverte la responsabilità di quel che fa, ha vera consapevolezza di sé e del valore del suo sé, in teoria potrebbe». In che senso lei dice che nulla può fermare la scienza? «Al banco del laboratorio lo scienziato cammina con la sua testa. I ricercatori bisogna accompagnarli, non giudicarli. Detesto quelle persone che, intendendosi molto di dogmatica e di etica, credono di intendersi anche di biologia. Che arrivano al tavolo di una discussione delicata come quella sull’embrione con la faccia arcigna di chi ha già un giudizio sull’interlocutore. In questo modo non danno il clima della libertà ma dell’imposizione entro regole che hanno già stabilito; lasciano il sapore della presunzione e non della verità. E questo vale per i cattolici, ma anche per certi cosiddetti laicisti».
Aldo Cazzullo
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