Darfur, la violenza trionfa mentre il mondo discute
Titanic
Darfur, la violenza trionfa mentre il mondo discute
di GIANNI RIOTTA
Chi vuol capire perché i mali del mondo siano restii a facili soluzioni, non ha che da studiare la situazione del Sudan. Chi invece ama le ricette pronte, per decidere a freddo da che parte schierarsi, può saltare questo Titanic a piè pari. In Darfur, nella boscaglia e nei villaggi poveri del Sudan occidentale, sono stati massacrati almeno settantamila civili inermi, migliaia di donne stuprate da bande di miliziani selvaggi, detti janjaweed, e un milione e ottocentomila uomini, donne, vecchi e bambini ridotti allo stato di profughi e scacciati dalle loro case. Gli squadristi arabi, nell’indifferenza se non la complicità del governo, attaccano a cavallo le capanne, uccidono, seviziano, mettono in fuga la popolazione. Dopo una campagna della stampa internazionale e delle organizzazioni non governative, il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ha deciso di vederci chiaro e una sua commissione di inchiesta ha pubblicato un rapporto in 176 pagine. E’ in corso un genocidio contro gli africani neri da parte degli arabi? Il tomo denuncia atroci violazioni del diritto internazionale , «il massacro di civili, la tortura, il rapimento, la violenza carnale, il saccheggio, la pulizia etnica», ma non qualifica la campagna di odio come «genocidio», il tentativo deliberato di cancellare un popolo dalla terra. In parole povere, l’Onu sostiene che non si vogliono sterminare «tutti» i sudanesi non di origine araba, ma che se ne sono già uccisi troppi per chiudere gli occhi. Nel buon senso della gente semplice ci si aspetterebbe a questo punto un intervento rapido, perché i leader di Khartoum smettessero di ignorare la violenza bestiale dei janjaweed e lasciassero tornare alle loro povere case i profughi. Niente affatto. Perché il capo del dominante Partito Nazionale del Congresso, Ibrahim Ahmed Omar, s’è rallegrato dell’assoluzione dalle accuse di genocidio, lamentando con faccia di bronzo «il rapporto è troppo duro con il Sudan, ci appelleremo al Consiglio di Sicurezza». Il capo del Movimento per la Giustizia e l’Eguaglianza, il ribelle Khalil Ibrahim, reagisce furente «Non parla di genocidio? Il rapporto Onu è da bocciare!». E così il governo si lava le mani da 70.000 morti e la rivolta non accetta di trattare: o genocidio o niente. La parte dell’eroe è dunque recitata dagli americani, con il presidente Bush a insistere che si tratta sì di genocidio e a rivendicare sanzioni contro gli aguzzini? Neppure, perché l’Onu propone di rinviare i criminali di guerra imputati alla Corte penale internazionale, che gli Usa non riconoscono. Washington vuole quindi perseguire i cattivi, ma non ratifica il tribunale che potrebbe metterli alla sbarra. Mentre il mondo dibatte dei cavilli giuridici, etici e politici, la gente crepa in Sudan. Tom Cargill, esperto d’Africa all’Institute of International Affairs di Londra, è desolato: «discettiamo se si tratta o no di genocidio e non fermiamo la repressione». Il Consiglio di Sicurezza deve cessare immediatamente la disputa e intervenire, stoppando la brutalità dei miliziani, altrimenti il genocidio, che magari per ora è solo pulizia etnica, diverrà presto atroce realtà. Che ci sia nell’area petrolio, che Cina e Usa abbiano interessi contrapposti, che cristiani e musulmani non si amino, complica ancora la trama. Tacito diceva «hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace». Speriamo di non dovere presto dire dalle distese del Darfur, hanno fatto 176 pagine di rapporto per chiedere la pace e nell’attesa è arrivato il deserto.
Darfur, la violenza trionfa mentre il mondo discute
di GIANNI RIOTTA
Chi vuol capire perché i mali del mondo siano restii a facili soluzioni, non ha che da studiare la situazione del Sudan. Chi invece ama le ricette pronte, per decidere a freddo da che parte schierarsi, può saltare questo Titanic a piè pari. In Darfur, nella boscaglia e nei villaggi poveri del Sudan occidentale, sono stati massacrati almeno settantamila civili inermi, migliaia di donne stuprate da bande di miliziani selvaggi, detti janjaweed, e un milione e ottocentomila uomini, donne, vecchi e bambini ridotti allo stato di profughi e scacciati dalle loro case. Gli squadristi arabi, nell’indifferenza se non la complicità del governo, attaccano a cavallo le capanne, uccidono, seviziano, mettono in fuga la popolazione. Dopo una campagna della stampa internazionale e delle organizzazioni non governative, il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ha deciso di vederci chiaro e una sua commissione di inchiesta ha pubblicato un rapporto in 176 pagine. E’ in corso un genocidio contro gli africani neri da parte degli arabi? Il tomo denuncia atroci violazioni del diritto internazionale , «il massacro di civili, la tortura, il rapimento, la violenza carnale, il saccheggio, la pulizia etnica», ma non qualifica la campagna di odio come «genocidio», il tentativo deliberato di cancellare un popolo dalla terra. In parole povere, l’Onu sostiene che non si vogliono sterminare «tutti» i sudanesi non di origine araba, ma che se ne sono già uccisi troppi per chiudere gli occhi. Nel buon senso della gente semplice ci si aspetterebbe a questo punto un intervento rapido, perché i leader di Khartoum smettessero di ignorare la violenza bestiale dei janjaweed e lasciassero tornare alle loro povere case i profughi. Niente affatto. Perché il capo del dominante Partito Nazionale del Congresso, Ibrahim Ahmed Omar, s’è rallegrato dell’assoluzione dalle accuse di genocidio, lamentando con faccia di bronzo «il rapporto è troppo duro con il Sudan, ci appelleremo al Consiglio di Sicurezza». Il capo del Movimento per la Giustizia e l’Eguaglianza, il ribelle Khalil Ibrahim, reagisce furente «Non parla di genocidio? Il rapporto Onu è da bocciare!». E così il governo si lava le mani da 70.000 morti e la rivolta non accetta di trattare: o genocidio o niente. La parte dell’eroe è dunque recitata dagli americani, con il presidente Bush a insistere che si tratta sì di genocidio e a rivendicare sanzioni contro gli aguzzini? Neppure, perché l’Onu propone di rinviare i criminali di guerra imputati alla Corte penale internazionale, che gli Usa non riconoscono. Washington vuole quindi perseguire i cattivi, ma non ratifica il tribunale che potrebbe metterli alla sbarra. Mentre il mondo dibatte dei cavilli giuridici, etici e politici, la gente crepa in Sudan. Tom Cargill, esperto d’Africa all’Institute of International Affairs di Londra, è desolato: «discettiamo se si tratta o no di genocidio e non fermiamo la repressione». Il Consiglio di Sicurezza deve cessare immediatamente la disputa e intervenire, stoppando la brutalità dei miliziani, altrimenti il genocidio, che magari per ora è solo pulizia etnica, diverrà presto atroce realtà. Che ci sia nell’area petrolio, che Cina e Usa abbiano interessi contrapposti, che cristiani e musulmani non si amino, complica ancora la trama. Tacito diceva «hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace». Speriamo di non dovere presto dire dalle distese del Darfur, hanno fatto 176 pagine di rapporto per chiedere la pace e nell’attesa è arrivato il deserto.
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