Wednesday, July 12, 2006

Tre miliardi sotto i 25. Il loro futuro?

UNITED NATIONS POPULATION FUND «La generazione di giovani più grande della storia
Tre miliardi sotto i 25. Il loro futuro?
di STEFANO BALDOLINI
su Europa Quotidiano, di oggi 12 luglio 2006

«Difficile essere giovani». Questo lo slogan lanciato dall’United Nations Population Fund (Unfpa), in occasione della “Giornata mondiale della popolazione” celebrata ieri, e dedicata alla condizione dei tre miliardi di abitanti sotto i 25 anni, «la generazione di giovani più grande della storia» e, in parte, a rischio.
Stiamo parlando di quella larga fetta della popolazione mondiale minacciata da povertà, analfabetismo, malattie connesse alla gravidanza, Hiv/Aids. Dell’85 per cento di under 25 che vivono nei paesi in via di sviluppo, dei 500 milioni che vanno avanti con meno di due dollari al giorno (o dei 238 milioni con meno di un dollaro al giorno). Ma anche delle cento milioni di ragazze tra i 10 e i 19 anni destinate ad essere prese in moglie nei prossimi dieci anni contro la propria volontà, o dei circa 300 mila bambini-soldato impiegati nei vari conflitti in corso.
Lo scenario negativo è stato confermato recentemente dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) che denuncia una disoccupazione giovanile globale ai massimi storici, dall’11,7 per cento del 1993 al record del 14,4 per cento nel 2003.
Per dirla con Zygmunt Bauman, lo studioso di origine polacca autore del fortunato “Vita liquida”, il mondo deve decidere in fretta se metà della sua popolazione sia destinata o meno a diventare «scarto umano», ossia classe globale esclusa dai processi di educazione, produzione, consumo, dall’accesso alle risorse, e privata di condizioni igienico-sanitarie dignitose.
Da New York, dal quartier generale delle Nazioni Unite arriva un invito a non mollare. Sono i dati a disposizione, per primo, a fornire le ragioni di tale impegno.
Così secondo Rogelio Fernandez Castilla, dell’Un Population Fund, è in aumento «il numero dei giovani che stanno entrando nell’età produttiva, nel mercato del lavoro», ed è in calo «il numero dei giovani a carico di qualcuno», ossia dei bambini sotto i 15 anni. Dunque, per i policy-makers incaricati di elaborare strategie nei Paesi in via di sviluppo, «il momento è critico». E provvedere ai giovani «non è solo un obbligo morale, ma è anche una necessità economica », ribadisce il segretario generale KofiAnnan.
Sullo sfondo, il raggiungimento dei cosiddetti Obiettivi del millennio, gli otto target individuati nel 2000 con lo scopo di dimezzare la povertà entro il 2015. A tal fine secondo il rapporto “The Promise of Equality: Gender Equity, Reproductive Health and the Millennium Development Goals”, sono «indispensabili» due fattori: «uguaglianza di genere e salute riproduttiva».
In particolare appare fondamentale l’educazione delle donne.
«Oggi 600 milioni di donne sono analfabete» (contro i 320 milioni di uomini), si legge nel rapporto. Con dati contraddittori.
L’accesso alla scuola primaria, per esempio, è in aumento, ma è completata solo dal 69 per cento delle ragazze del sub continente indiano e nell’Africa sub-sahariana. Per la secondaria, ancor più decisiva secondo gli studiosi Onu, il gender gap s’allarga, con un accesso ridotto al 47 e al 30 per cento rispettivamente nelle due regioni considerate.
D’altra parte investire nei giovani non è solo una priorità in linea con il rispetto dei diritti umani e per la riduzione della povertà, ma «potrebbe anche produrre un “bonus demografico”». Questo, considerato che la popolazione dei cinquanta paesi più poveri è proiettata a più che raddoppiare nel 2050: dagli 800 milioni nel 2005 a 1,7 miliardi. Così attraverso «maggiori investimenti nell’educazione, nella salute riproduttiva, nel lavoro, i giovani potranno essere una fonte di aumenti di produttività.» E permettere alle giovani coppie di scegliere quando sposarsi e quanti fi- gli fare, con conseguenti famiglie più piccole e minor crescita della popolazione, «darà loro maggiore controllo sulle proprie vite».
Dal punto di vista demografico, un dato interessante emerge guardando a oriente.
Secondo le stime dell’Onu infatti, molti paesi asiatici saranno alle prese con società sempre più vecchie. E le generazioni giovani dovranno prendersi cura di fasce di anziani sempre più vaste: il numero di asiatici di 65 anni e oltre salirà del 300 per cento tra il 2000 e il 2050. Passando da 207 a 857 milioni.
Tutto questo mentre, a dispetto delle previsioni pessimistiche dei demografi degli anni ‘60, dei cultori di Malthus e del suo “Saggio sul principio della popolazione” che invitava al controllo delle nascite per evitare l’impoverimento dell'umanità, o degli scienziati catastrofisti come il Pulitzer Jared Diamond (“Armi, acciaio e malattie”) recentemente alle stampe con “Collasso”, la crescita della popolazione mondiale sembra rallentare.
Superando nel 2006 i sei miliardi e mezzo di abitanti, ma scendendo decisamente di ritmo. Con una media mondiale di 2,7 figli per donna (contro i 4-5 paventati nei ’60). Naturalmente a far la parte del leone sono i Paesi in via di sviluppo, dove ogni donna mette al mondo 5,1 figli, contro un tasso di crescita di 1,4 nei paesi industrializzati, in primis l’Europa.º

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