UN’AMNISTIA CHE PORTI ALLA VERITA’
Dopo il caso Primavalle
UN’AMNISTIA CHE PORTI ALLA VERITA’
C’è un nesso tra verità e clemenza? E’ possibile che un provvedimento di amnistia favorisca una Grande Confessione purificatrice sui misfatti politici degli anni Settanta, capace di chiudere definitivamente un capitolo tragico della storia italiana ripulendo però tutti gli angoli bui della coscienza nazionale? Sergio Romano sul Corriere ha sostenuto che un «gesto di clemenza» avrebbe l’indubbio vantaggio di «riempire alcuni vuoti della nostra storia» e di «disarmare i guerrieri della memoria». Anche il direttore di Radio Radicale Massimo Bordin, intervistato da Luca Telese per il Giornale , suggerisce che è possibile ottenere «un po’ di luce almeno sui delitti prescritti» che (a sinistra come a destra) insanguinarono l’Italia seminando lutti e distruzioni in un decennio cupo e violento come i Settanta. Inevitabile associare questi auspici alle rivelazioni di Achille Lollo che ha deciso di aggiungere nuovi e sconvolgenti particolari sull’attentato di Primavalle che costò la vita ai fratelli Mattei. Lollo ha infatti deciso di parlare e di violare il trentennale «silenzio ideologico» che lo teneva avvinto ai suoi presunti complici soltanto dopo aver potuto usufruire dei benefìci della prescrizione. Sul piano etico la certezza della verità pagata al prezzo della propria impunità può suscitare orrore e deplorazione. E si può anche comprendere la riprovazione di Valentino Parlato, espressa in un’intervista a Fabrizio Roncone per il Corriere , nei confronti del responsabile di un duplice, efferato assassinio che decide di rendere pubblica dopo decenni la (beninteso presunta) correità di ex compagni nei cui confronti Lollo sembra nutrire per giunta dopo tanti anni un irrefrenabile risentimento «di classe», non lenito dal tempo e dalla comune militanza del passato. Ma non dovrebbero suscitare pari ripulsa morale le voragini di non detto, le zone di omertà e di reticenza, il silenzio impenetrabile che ancora avvolge gli episodi di violenza politica, gli omicidi politici e le devastazioni politiche degli anni Settanta? Non è finalmente giunto il tempo delle parole chiare e non sussurrate, delle esplicite ammissioni di colpa, delle assunzioni di responsabilità di chi ha ancora qualcosa da dire e da rivelare e se non lo fa è anche per non patire le conseguenze giudiziarie di un elementare ma doveroso atto di verità? Ecco, forse il prezzo da pagare perché la verità su quegli anni affiori con un accettabile tasso di sincerità non autoassolutoria è la sottrazione di questo doloroso scavo storico e biografico alla tenaglia della perseguibilità giudiziaria. Non un volgare baratto. Ma un patto trasparente sulla falsariga di quella Commissione per la verità e la riconciliazione che in Sudafrica, con la promessa dell’impunità per i delitti commessi nel passato in cambio di una confessione completa e verificabile da parte dei colpevoli di quei delitti, ha consentito una fuoriuscita pacifica o comunque non cruenta e vendicativa dal regime di apartheid. In Italia questa drastica «degiudiziarizzazione» della ricostruzione storica si chiama «amnistia». Un’amnistia ampia e senza deroghe, che non ostacoli con la riapertura del capitolo giudiziario (come rischia di finire nel caso delle nuove rivelazioni di Primavalle) il desiderio di illuminare un periodo torbido della nostra storia, a questo punto nemmeno tanto recente. Non solo l’amnistia per favorire la pacificazione e la ricucitura di dolorose fratture storiche, come quella, meritoria, che portava la firma di Palmiro Togliatti e che favoriva, pur tra mille polemiche, i fascisti sconfitti. Ma un’amnistia che liberi ricordi e colpe individuali dalla mannaia giudiziaria, che renda la rilettura del passato libera dal sospetto di secondi fini vendicativi, che promuova ricostruzioni circostanziate, dettagliate, esaurienti non gravate dall’ansia dei verbali di polizia e dalle sentenze pronunciate nelle aule dei tribunali. Non si conoscono altri modi per sciogliere quel groviglio di reticenze e piccole menzogne che ancora impedisce di fare con chiarezza i conti, individuali e collettivi, col passato che ancora non vuole passare, lasciando immutati rancori e persino inestinguibili odii. Clemenza in cambio di verità, forse può essere la premessa giusta per una resa dei conti che non assomigli alla vendetta.
di PIERLUIGI BATTISTA
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UN’AMNISTIA CHE PORTI ALLA VERITA’
C’è un nesso tra verità e clemenza? E’ possibile che un provvedimento di amnistia favorisca una Grande Confessione purificatrice sui misfatti politici degli anni Settanta, capace di chiudere definitivamente un capitolo tragico della storia italiana ripulendo però tutti gli angoli bui della coscienza nazionale? Sergio Romano sul Corriere ha sostenuto che un «gesto di clemenza» avrebbe l’indubbio vantaggio di «riempire alcuni vuoti della nostra storia» e di «disarmare i guerrieri della memoria». Anche il direttore di Radio Radicale Massimo Bordin, intervistato da Luca Telese per il Giornale , suggerisce che è possibile ottenere «un po’ di luce almeno sui delitti prescritti» che (a sinistra come a destra) insanguinarono l’Italia seminando lutti e distruzioni in un decennio cupo e violento come i Settanta. Inevitabile associare questi auspici alle rivelazioni di Achille Lollo che ha deciso di aggiungere nuovi e sconvolgenti particolari sull’attentato di Primavalle che costò la vita ai fratelli Mattei. Lollo ha infatti deciso di parlare e di violare il trentennale «silenzio ideologico» che lo teneva avvinto ai suoi presunti complici soltanto dopo aver potuto usufruire dei benefìci della prescrizione. Sul piano etico la certezza della verità pagata al prezzo della propria impunità può suscitare orrore e deplorazione. E si può anche comprendere la riprovazione di Valentino Parlato, espressa in un’intervista a Fabrizio Roncone per il Corriere , nei confronti del responsabile di un duplice, efferato assassinio che decide di rendere pubblica dopo decenni la (beninteso presunta) correità di ex compagni nei cui confronti Lollo sembra nutrire per giunta dopo tanti anni un irrefrenabile risentimento «di classe», non lenito dal tempo e dalla comune militanza del passato. Ma non dovrebbero suscitare pari ripulsa morale le voragini di non detto, le zone di omertà e di reticenza, il silenzio impenetrabile che ancora avvolge gli episodi di violenza politica, gli omicidi politici e le devastazioni politiche degli anni Settanta? Non è finalmente giunto il tempo delle parole chiare e non sussurrate, delle esplicite ammissioni di colpa, delle assunzioni di responsabilità di chi ha ancora qualcosa da dire e da rivelare e se non lo fa è anche per non patire le conseguenze giudiziarie di un elementare ma doveroso atto di verità? Ecco, forse il prezzo da pagare perché la verità su quegli anni affiori con un accettabile tasso di sincerità non autoassolutoria è la sottrazione di questo doloroso scavo storico e biografico alla tenaglia della perseguibilità giudiziaria. Non un volgare baratto. Ma un patto trasparente sulla falsariga di quella Commissione per la verità e la riconciliazione che in Sudafrica, con la promessa dell’impunità per i delitti commessi nel passato in cambio di una confessione completa e verificabile da parte dei colpevoli di quei delitti, ha consentito una fuoriuscita pacifica o comunque non cruenta e vendicativa dal regime di apartheid. In Italia questa drastica «degiudiziarizzazione» della ricostruzione storica si chiama «amnistia». Un’amnistia ampia e senza deroghe, che non ostacoli con la riapertura del capitolo giudiziario (come rischia di finire nel caso delle nuove rivelazioni di Primavalle) il desiderio di illuminare un periodo torbido della nostra storia, a questo punto nemmeno tanto recente. Non solo l’amnistia per favorire la pacificazione e la ricucitura di dolorose fratture storiche, come quella, meritoria, che portava la firma di Palmiro Togliatti e che favoriva, pur tra mille polemiche, i fascisti sconfitti. Ma un’amnistia che liberi ricordi e colpe individuali dalla mannaia giudiziaria, che renda la rilettura del passato libera dal sospetto di secondi fini vendicativi, che promuova ricostruzioni circostanziate, dettagliate, esaurienti non gravate dall’ansia dei verbali di polizia e dalle sentenze pronunciate nelle aule dei tribunali. Non si conoscono altri modi per sciogliere quel groviglio di reticenze e piccole menzogne che ancora impedisce di fare con chiarezza i conti, individuali e collettivi, col passato che ancora non vuole passare, lasciando immutati rancori e persino inestinguibili odii. Clemenza in cambio di verità, forse può essere la premessa giusta per una resa dei conti che non assomigli alla vendetta.
di PIERLUIGI BATTISTA
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