Friday, September 29, 2006

Sette uomini per il dopo Annan. L’Asia la fa da padrona

ONU IERI A NEW YORK LA TERZA TORNATA DELLE “STRAW POLL”. NEI PRIMI DUE SCRUTINI PREVALEVA IL SUD COREANO BAN KI-MOON
Sette uomini per il dopo Annan. L’Asia la fa da padrona
di STEFANO BALDOLINI
EUROPA QUOTIDIANO, venerdì 29 settembre 2006

Volete diventare segretario generale delle Nazioni Unite? Andate sul sito www.UNSGselection.org e rispondete al questionario che i promotori della campagna «per un processo di selezione più democratico » hanno preparato.
Bisogna dimostrare che nella propria vita si è lavorato all’insegna dell’«impegno per i principi dell’Onu », che si conosce il “Brahimi Report on Peacekeeping Operations” o i principi di diritto internazionale in grado di contemperare il diritto dei popoli con quello degli Stati. Bisogna illustrare le proprie proposte sui diritti umani, sviluppo, governance, giustizia internazionale, ambiente, ruolo delle ong e via dicendo, non trascurando naturalmente la riforma del Palazzo di Vetro.
In teoria la corsa è aperta a tutti. Un rapporto di un’apposita commissione del 1945, sintetizzato lo scorso giugno dal Consiglio di sicurezza, indica nove requisiti da rispettare, che vanno da generiche «capacità amministrative e gestionali» ad una non precisata «autorità morale» in linea con «l’indipendenza richiesta dall’articolo 100 della Carta Onu».
Formalmente dunque non c’è un profilo ideale per diventare l’ottavo segretario generale e successore di Kofi Annan, in carica dal 1997. E nemmeno un limite di tempo per presentarsi. Non è detto infatti che il candidato designato riesca ad uscire indenne dalle tornate dello “straw poll”, il giro di primarie a porte chiuse – il terzo solo ieri a New York – in corso in questi giorni al Consiglio di Sicurezza.
Per vincere infatti, bisogna ottenere almeno nove di quelli che il linguaggio tipico onusiano, un misto di umanità e burocrazia, ha definito «voti di incoraggiamento », e nessun «voto di scoraggiamento» da parte dei cinque membri permanenti. Ci si è impegnati a chiudere le procedure entro ottobre, ma, prima della ratifica all’Assemblea generale, le sorprese non sono escluse. Lunedì prossimo infatti i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza potrebbero mettere un veto e mandare all’aria l’intero processo, che, per criteri di rotazione, dovrebbe portare ad un segretario generale proveniente dall’Asia (l’ultimo, il birmano U Thant, ha finito il doppio mandato nel 1971).
Di qui, il senso delle candidature espresse, e il risultato dei primi due scrutini, che vede il ministro degli Esteri coreano Ban Ki-Moon, 62 anni, emergere come il grande favorito, avendo ottenuto 12 voti nella prima occasione e ben 14 su 15 nella seconda (con la Cina probabile paese a non aver espresso parere favorevole).
Accusato di essere «troppo debole», a causa dei suoi atteggiamenti troppo «soft», Ban ha dichiarato alla Associated Press di «disporre di una forza interiore» tipica della «gente dell’Asia».
E asiatici sono gli altri due battistrada.
L’indiano Shashi Tharoor, 50 anni, attuale sottosegretario generale Onu per le comunicazioni, diplomatico a cui non manca lo charme, e vincitore di premi letterari con la sua satira politica “The Great Indian Novel”, dovrebbe però risentire negativamente della rivalità regionale tra Nuova Delhi e Pechino. Dal suo ottimo sito personale (www.shashitharoor.com) diviso simmetricamente tra successi letterari e candidatura all’Onu, si definisce «un leader visionario » e un «figlio del Sud» capace di buone relazioni con il G-77, i cosiddetti paesi «non allineati ».
Dietro Tharoor, il primo ministro tailandese Surakiart Sathirathai, 48 anni, che, dopo il colpo di stato avvenuto recentemente nel suo paese, sembra aver perso le già poche possibilità di cui era accreditato nonostante l’appoggio ufficiale del blocco regionale dell’Asean, i dieci paesi dell’”Association of Southeast Asian Nations”.
Nutre poche speranze, invece, il principe Giordano Zeid Ral-Hussein, 42 anni, ambasciatore giordano alle Nazioni Unite e peacekeeper nei Balcani, che, fosse eletto, sarebbe il primo musulmano a ricoprire il ruolo di segretario generale. Così come ha poche chance il cingalese Jayantha Dhanapala, uno dei primi a farsi avanti, e considerato un insider (per dieci anni nell’organizzazione) ma sfavorito dall’età: a 67 anni, è oltre due anni sopra la soglia Onu per la pensione.
Non hanno partecipato ai primi due scrutini invece, gli ultimi due arrivati.
L’unica donna candidata proviene da un paese non asiatico. Vaira Vike- Freiberga, 68 anni, presidente della Lettonia, consulente di Annan per le riforme, che potrebbe godere – grazie al sostegno della guerra in Iraq – dell’appoggio della Casa Bianca e di una parte dei paesi Ue. All’impronta dell’efficienza, la sua risposta al New York Times, che in un pezzo titolato «Perché dovrei correre per le Nazioni Unite», ha posto due domande ai sette candidati: qual è stato l’ errore evitabile che l’Onu ha fatto negli scorsi cinque anni, e quale sarà la principale riforma che promuoverà da segretario generale.
«Per rendere le Nazioni Unite più efficaci, – ha detto l’esponente baltica – abbiamo bisogno di snellire il management, rendendolo più responsabile e trasparente».
«Solo ricreando un clima di fiducia nell’organizzazione possiamo fare delle Nazioni Unite lo strumento per indirizzare i problemi del nostro tempo», è stata la risposta del settimo ed ultimo candidato, l’afghano Ashraf Ghani, 57 anni, dottorato alla Columbia University. Ghani, dopo aver insegnato nelle migliori università americane, torna nel suo paese nel 2002, all’indomani della guerra ai Talebani per diventare ministro delle finanze del governo di transizione di Hamid Karzai. Vi rimane per due anni e mezzo e ottiene finanziamenti per più di 28 miliardi di dollari. Quando nel 2004, Karzai vince le elezioni, chiede di lasciare l’incarico e diventa rettore dell’università di Kabul. È considerato un esperto delle economie in via di sviluppo e della ricostruzioni postbelliche.
Ha lavorato come consulente delle Nazioni Unite e in diversi progetti della Banca mondiale in Cina, India e Russia. Intervistato al Financial Times, ha criticato il dibattito finora svolto, privo «di una chiara articolazione della visione, di un’analisi dei temi centrali e di un programma di cambiamento». Non è detto che non sia lui, l’outsider.

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