Global warming, ecco il piano di Bush Ma Schwarzy si conferma più “green”
Global warming, ecco il piano di Bush Ma Schwarzy si conferma più “green”
di STEFANO BALDOLINI
EUROPA, venerdi 22 luglio 2006
Non c’è solo Al Gore e il suo An Inconvenient Truth. A portare il tema del global warming al centro della scena politica americana, ora ci pensano i repubblicani.
Così dopo anni di critiche degli ambientalisti e tentativi di minimizzare da parte di Washington, alla fine arriva anche il piano strategico di George W. Bush sulla riduzione dei gas serra responsabili dei cambiamenti climatici. Si chiama “Climate Change Technology Program Strategic Plan”, consta di 244 pagine e ha visto un quadriennio di lavoro prima di essere diffuso dal dipartimento dell’energia americano.
Nel frattempo la California del suo “competitor” interno principale sul fronte ambientale, il governatore repubblicano Arnold Schwarzenegger, dichiara guerra a sei grandi compagnie automobilistiche troppo inquinanti, in quella che si annuncia allo stesso tempo come la battaglia legale per risarcimento danni più grande della storia, e una pietra miliare per le battaglie ecologiste.
Tutto questo mentre i temi ambientali tornano prepotentemente in agenda in vista delle elezioni di medio termine del prossimo novembre: secondo recenti sondaggi Zogby, la maggioranza degli americani ora pensa che il global warming sia un problema serio. Mentre, se rimane alta la soglia d’attenzione dell’elettorato democratico (l’87 per cento) è rilevante osservare che oggi anche il 56 per cento dei repubblicani considera la questione degna di attenzione.
Chi si aspetta un cambio di rotta dal documento emesso da- Washington rimarrà deluso, però. Sia i tre miliardi di dollari all’anno che verranno stanziati per la ricerca, che le strategie di medio e lungo termine ipotizzate, riflettono l’impostazione tradizionale dell’amministrazione Bush che ha sempre escluso il meccanismo di riduzione delle quote di emissioni (quello di Kyoto, per intendersi), e per evitare danni all’economia ha legato il contenimento del biossido di carbonio nell’atmosfera allo sviluppo di nuove tecnologie.
Come sono da considerarsi ortodosse, «la promozione o il rafforzamento di accordi internazionali», come l’“Asia Pacific Partnership on Clean development and Climate”, l’accordo presentato nel luglio del 2005 in Laos dai sei paesi che da soli emettono il 40 per cento dei gas serra mondiale (Usa, Australia, Giappone, Cina, India e Corea del Sud), e che in molti videro come atto di nascita di un vero e proprio cartello alternativo a Kyoto.
A fronte della linea tenuta da Bush, e avversata sia dagli ambientalisti che dagli esponenti del suo partito, c’è la partita in chiave liberal, per dirla con il New York Times, che si sta giocando in California.
Con il procuratore generale Bill Lockyer che fa causa a colossi del calibro di Ford, General Motors, Toyota, Honda, Chrysler e Nissan, che dovranno rispondere dei danni procurati all’ambiente e alla salute dei cittadini del più popoloso stato americano – e con i due milioni di vetture immatricolate ogni anno – del più importante mercato di auto degli Stati Uniti.
Aspettando il corso della giustizia, non si può non rilevare che l’episodio è solo l’ultima delle azioni intraprese dalla California per combattere gli effetti del surriscaldamento globale. Che a fine agosto – in un’importante votazione che vide i democratici a favore e i repubblicani contro – è stato approvato un piano per ridurre del 25 per cento entro il 2020 le emissioni provocate dalle industrie. Piano che in attesa di essere promulgato da Schwarzy, rimane il riferimento per gli altri stati americani che volessero seguire gli accordi di Kyoto, che l’amministrazione Bush non ha mai voluto ratificare.
«Sul global warming, guardate alla California, e non agli Stati Uniti», è il titolo significativo dell’intervento scritto dallo stesso Schwarzenegger per l’edizione speciale dell’Independent di ieri, quella disegnata dal suo amico Giorgio Armani.
Nell’articolo, oltre a richiamare la recente partnership sull’ambiente con Tony Blair, il governatore non manca di citare Winston Churchill: «Se siamo insieme, niente è impossibile».
Non si riferiva al presidente Bush.
di STEFANO BALDOLINI
EUROPA, venerdi 22 luglio 2006
Non c’è solo Al Gore e il suo An Inconvenient Truth. A portare il tema del global warming al centro della scena politica americana, ora ci pensano i repubblicani.
Così dopo anni di critiche degli ambientalisti e tentativi di minimizzare da parte di Washington, alla fine arriva anche il piano strategico di George W. Bush sulla riduzione dei gas serra responsabili dei cambiamenti climatici. Si chiama “Climate Change Technology Program Strategic Plan”, consta di 244 pagine e ha visto un quadriennio di lavoro prima di essere diffuso dal dipartimento dell’energia americano.
Nel frattempo la California del suo “competitor” interno principale sul fronte ambientale, il governatore repubblicano Arnold Schwarzenegger, dichiara guerra a sei grandi compagnie automobilistiche troppo inquinanti, in quella che si annuncia allo stesso tempo come la battaglia legale per risarcimento danni più grande della storia, e una pietra miliare per le battaglie ecologiste.
Tutto questo mentre i temi ambientali tornano prepotentemente in agenda in vista delle elezioni di medio termine del prossimo novembre: secondo recenti sondaggi Zogby, la maggioranza degli americani ora pensa che il global warming sia un problema serio. Mentre, se rimane alta la soglia d’attenzione dell’elettorato democratico (l’87 per cento) è rilevante osservare che oggi anche il 56 per cento dei repubblicani considera la questione degna di attenzione.
Chi si aspetta un cambio di rotta dal documento emesso da- Washington rimarrà deluso, però. Sia i tre miliardi di dollari all’anno che verranno stanziati per la ricerca, che le strategie di medio e lungo termine ipotizzate, riflettono l’impostazione tradizionale dell’amministrazione Bush che ha sempre escluso il meccanismo di riduzione delle quote di emissioni (quello di Kyoto, per intendersi), e per evitare danni all’economia ha legato il contenimento del biossido di carbonio nell’atmosfera allo sviluppo di nuove tecnologie.
Come sono da considerarsi ortodosse, «la promozione o il rafforzamento di accordi internazionali», come l’“Asia Pacific Partnership on Clean development and Climate”, l’accordo presentato nel luglio del 2005 in Laos dai sei paesi che da soli emettono il 40 per cento dei gas serra mondiale (Usa, Australia, Giappone, Cina, India e Corea del Sud), e che in molti videro come atto di nascita di un vero e proprio cartello alternativo a Kyoto.
A fronte della linea tenuta da Bush, e avversata sia dagli ambientalisti che dagli esponenti del suo partito, c’è la partita in chiave liberal, per dirla con il New York Times, che si sta giocando in California.
Con il procuratore generale Bill Lockyer che fa causa a colossi del calibro di Ford, General Motors, Toyota, Honda, Chrysler e Nissan, che dovranno rispondere dei danni procurati all’ambiente e alla salute dei cittadini del più popoloso stato americano – e con i due milioni di vetture immatricolate ogni anno – del più importante mercato di auto degli Stati Uniti.
Aspettando il corso della giustizia, non si può non rilevare che l’episodio è solo l’ultima delle azioni intraprese dalla California per combattere gli effetti del surriscaldamento globale. Che a fine agosto – in un’importante votazione che vide i democratici a favore e i repubblicani contro – è stato approvato un piano per ridurre del 25 per cento entro il 2020 le emissioni provocate dalle industrie. Piano che in attesa di essere promulgato da Schwarzy, rimane il riferimento per gli altri stati americani che volessero seguire gli accordi di Kyoto, che l’amministrazione Bush non ha mai voluto ratificare.
«Sul global warming, guardate alla California, e non agli Stati Uniti», è il titolo significativo dell’intervento scritto dallo stesso Schwarzenegger per l’edizione speciale dell’Independent di ieri, quella disegnata dal suo amico Giorgio Armani.
Nell’articolo, oltre a richiamare la recente partnership sull’ambiente con Tony Blair, il governatore non manca di citare Winston Churchill: «Se siamo insieme, niente è impossibile».
Non si riferiva al presidente Bush.
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