Ordine ai turisti cinesi: visitate i luoghi della Lunga marcia
I santuari della Rivoluzione maoista saranno trasformati in mete turistiche: «Per rieducare il popolo». E garantire profitti ai contadini
Ordine ai turisti cinesi: visitate i luoghi della Lunga marcia
I giovani non sanno nulla della storia comunista. Il Partito: occorre rafforzare il loro patriottismo
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO - Il «pellegrinaggio rosso» ha dodici tappe e due obiettivi. Il primo obiettivo è «educativo-spirituale» e lo spiega serio un commento del Quotidiano del Popolo , la voce del Partito comunista: «Rafforzare il patriottismo del popolo, soprattutto dei giovani, rafforzare l'educazione alla rivoluzione, valorizzare il senso della Nazione». Il secondo obiettivo è più terra-terra, in linea con la rincorsa alla modernizzazione. Di nuovo il giornale del partito mette le cose in chiaro: «Promuovere lo sviluppo ordinato nelle zone della rivoluzione». Una frase nella quale pesa quell'aggettivo «ordinato». Che ha una sua ragione d'essere. Molte «zone della rivoluzione» (le zone rurali) - discorso a parte per Pechino, Shanghai e i distretti industriali culle di ricchezza - sono talmente povere (reddito annuo dei contadini 355 dollari, statistiche ufficiali) che vi covano un risentimento e un malcontento tali da creare più di una preoccupazione ai dirigenti comunisti. E tali da convincerli a cercare di incentivare il progresso partendo proprio da questa forma di «turismo politico», sintesi di un pesante messaggio di propaganda di regime e di un forte tentativo di mediazione sociale oltre che di rilancio economico. Il turismo della «Lunga marcia» o della rivoluzione. Turismo uguale risorse, infrastrutture, alberghi, lavoro, reddito. Alla fine, soprattutto, turismo uguale ricomposizione dei conflitti fra base rurale e autorità, fra contadini e partito. Turismo uguale recupero dall’indifferenza che segnala il distacco degli adolescenti e dei ventenni. Annunciato alla fine dello scorso anno un po' in sordina, quando il Comitato centrale e il governo pubblicarono un documento dal titolo «Programma per il quinquennio 2005-2010», tocca adesso al severissimo Quotidiano del Popolo dare la linea e invitare le masse popolari cinesi, le ultime generazioni in particolare, a rinfrescare la memoria. Che forse hanno perso. Non sorprende affatto che oggi i ragazzi di Pechino o di Shanghai o di Shenzhen, più coinvolti dalle note della musica rock o pop che dall'epica della vittoria maoista, sappiano poco o nulla della battaglia di Taihang, «l'alba della vittoria», o di Yan'an, «la terra santa della rivoluzione». Anzi, proprio perché sanno troppo poco (così sostengono preoccupati gli eredi di Mao e Deng), è bene che vadano a vedere i luoghi sacri della Lunga marcia e lì ne assimilino il «significato attuale, storico, profondo» (parole del commentatore del Quotidiano del Popolo ). L'operazione «turismo rosso» ha una terza funzione. Non dichiarata ma leggibile fra le righe della presentazione proposta con tanta enfasi. Una funzione «rieducativa», chiamiamola così. La corruzione dilaga nell’amministrazione e fra i funzionari dello stesso partito (160 mila casi denunciati nel 2004) quindi, dicono i responsabili della propaganda nel Comitato centrale, è necessario recuperare i valori (di convinzione ideologica) che segnarono la storia del comunismo cinese. Ci riusciranno? Il progetto si accompagna a un investimento dello Stato di 20 miliardi di yuan, all'incirca 2 miliardi di euro. E laddove circolano denari nell'Impero Celeste circolano anche pensieri di altro tipo, pensieri assai poco rivoluzionari. Che si tratti di costruire case, ponti o centrali, che si tratti di recuperare e ristrutturare quegli edifici testimonianza del passato e lasciati decadere indecentemente, laddove parte il motore del benessere si avvia pure la condotta dell'arricchimento illegale. La Cina applica alla perfezione la regola. Dodici sono le tappe individuate dal partito per lanciare il turismo militante. Ogni tappa ha un titolo che richiama un passaggio e un evento della storia negli ultimi 84 anni. La prima è la «fondazione», ovvero Shanghai dove nel luglio 1921 tredici delegati in rappresentanza di 70 iscritti (Mao ventiquattrenne) si ritrovarono a costituire quella che sarebbe diventata la più grande organizzazione comunista al mondo. Poi, seconda tappa «la culla della rivoluzione»: Shaoshan il paese di Mao. E avanti con Diabei nello Yunnan, ovvero «lottare con tenacia», con Yan'an «la terra santa della rivoluzione», il monte Changbai «eroi della rivoluzione», passando per i luoghi della «svolta storica» e della «battaglia decisiva» (Huaihai), dei «generali e del balzo in avanti» (il Monte Dabie), «dello spirito della roccia rossa» (Sichuan). Fino a Pechino dove, naturalmente, «sventolano le bandiere rosse». Operazione di propaganda e di rilancio. Che nasconde le difficoltà del Partito comunista cinese. In crisi di consensi e di credibilità nelle province più povere. Proprio le «zone della rivoluzione».
Fabio Cavalera
Esteri
Corriere
Ordine ai turisti cinesi: visitate i luoghi della Lunga marcia
I giovani non sanno nulla della storia comunista. Il Partito: occorre rafforzare il loro patriottismo
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO - Il «pellegrinaggio rosso» ha dodici tappe e due obiettivi. Il primo obiettivo è «educativo-spirituale» e lo spiega serio un commento del Quotidiano del Popolo , la voce del Partito comunista: «Rafforzare il patriottismo del popolo, soprattutto dei giovani, rafforzare l'educazione alla rivoluzione, valorizzare il senso della Nazione». Il secondo obiettivo è più terra-terra, in linea con la rincorsa alla modernizzazione. Di nuovo il giornale del partito mette le cose in chiaro: «Promuovere lo sviluppo ordinato nelle zone della rivoluzione». Una frase nella quale pesa quell'aggettivo «ordinato». Che ha una sua ragione d'essere. Molte «zone della rivoluzione» (le zone rurali) - discorso a parte per Pechino, Shanghai e i distretti industriali culle di ricchezza - sono talmente povere (reddito annuo dei contadini 355 dollari, statistiche ufficiali) che vi covano un risentimento e un malcontento tali da creare più di una preoccupazione ai dirigenti comunisti. E tali da convincerli a cercare di incentivare il progresso partendo proprio da questa forma di «turismo politico», sintesi di un pesante messaggio di propaganda di regime e di un forte tentativo di mediazione sociale oltre che di rilancio economico. Il turismo della «Lunga marcia» o della rivoluzione. Turismo uguale risorse, infrastrutture, alberghi, lavoro, reddito. Alla fine, soprattutto, turismo uguale ricomposizione dei conflitti fra base rurale e autorità, fra contadini e partito. Turismo uguale recupero dall’indifferenza che segnala il distacco degli adolescenti e dei ventenni. Annunciato alla fine dello scorso anno un po' in sordina, quando il Comitato centrale e il governo pubblicarono un documento dal titolo «Programma per il quinquennio 2005-2010», tocca adesso al severissimo Quotidiano del Popolo dare la linea e invitare le masse popolari cinesi, le ultime generazioni in particolare, a rinfrescare la memoria. Che forse hanno perso. Non sorprende affatto che oggi i ragazzi di Pechino o di Shanghai o di Shenzhen, più coinvolti dalle note della musica rock o pop che dall'epica della vittoria maoista, sappiano poco o nulla della battaglia di Taihang, «l'alba della vittoria», o di Yan'an, «la terra santa della rivoluzione». Anzi, proprio perché sanno troppo poco (così sostengono preoccupati gli eredi di Mao e Deng), è bene che vadano a vedere i luoghi sacri della Lunga marcia e lì ne assimilino il «significato attuale, storico, profondo» (parole del commentatore del Quotidiano del Popolo ). L'operazione «turismo rosso» ha una terza funzione. Non dichiarata ma leggibile fra le righe della presentazione proposta con tanta enfasi. Una funzione «rieducativa», chiamiamola così. La corruzione dilaga nell’amministrazione e fra i funzionari dello stesso partito (160 mila casi denunciati nel 2004) quindi, dicono i responsabili della propaganda nel Comitato centrale, è necessario recuperare i valori (di convinzione ideologica) che segnarono la storia del comunismo cinese. Ci riusciranno? Il progetto si accompagna a un investimento dello Stato di 20 miliardi di yuan, all'incirca 2 miliardi di euro. E laddove circolano denari nell'Impero Celeste circolano anche pensieri di altro tipo, pensieri assai poco rivoluzionari. Che si tratti di costruire case, ponti o centrali, che si tratti di recuperare e ristrutturare quegli edifici testimonianza del passato e lasciati decadere indecentemente, laddove parte il motore del benessere si avvia pure la condotta dell'arricchimento illegale. La Cina applica alla perfezione la regola. Dodici sono le tappe individuate dal partito per lanciare il turismo militante. Ogni tappa ha un titolo che richiama un passaggio e un evento della storia negli ultimi 84 anni. La prima è la «fondazione», ovvero Shanghai dove nel luglio 1921 tredici delegati in rappresentanza di 70 iscritti (Mao ventiquattrenne) si ritrovarono a costituire quella che sarebbe diventata la più grande organizzazione comunista al mondo. Poi, seconda tappa «la culla della rivoluzione»: Shaoshan il paese di Mao. E avanti con Diabei nello Yunnan, ovvero «lottare con tenacia», con Yan'an «la terra santa della rivoluzione», il monte Changbai «eroi della rivoluzione», passando per i luoghi della «svolta storica» e della «battaglia decisiva» (Huaihai), dei «generali e del balzo in avanti» (il Monte Dabie), «dello spirito della roccia rossa» (Sichuan). Fino a Pechino dove, naturalmente, «sventolano le bandiere rosse». Operazione di propaganda e di rilancio. Che nasconde le difficoltà del Partito comunista cinese. In crisi di consensi e di credibilità nelle province più povere. Proprio le «zone della rivoluzione».
Fabio Cavalera
Esteri
Corriere
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