Wednesday, February 23, 2005

L'Afghanistan, un paese sempre più fragile

L'Afghanistan, un paese sempre più fragile
Stefano Baldolini
Europa 23 febbraio 2005
A tre anni dalla cacciata del regime talebano e dopo 23 anni di crisi, l’Afghanistan rimane a rischio instabilità e uno dei paesi meno sviluppati del mondo.
Queste in sintesi le conclusioni del primo “National Human Development Report: Security with a Human Face” diffuso nei giorni scorsi dalle Nazioni Unite. Il documento è già di per sé una notizia. "Per la prima volta nella storia moderna è stato permesso ad osservatori neutrali di raccogliere dati sulle condizioni di vita del popolo afghano", si legge nel rapporto, che è il frutto di due anni di lavoro congiunto tra l’UN Development Programme e il governo di Kabul.
Ma al di là della soddisfazione di rito, resta la durezza della realtà rappresentata, "è un quadro fosco", scrive nella prefazione il presidente Hamid Karzai. Il documento infatti relega l’Afghanistan tra i “dannati” dell’Africa sub sahariana in termini di alfabetizzazione, sanità, attesa di vita, povertà.
In questo senso gli indicatori parlano chiaro. Secondo l’Human Development Index (HDI) Kabul è tra la 173/ma e la 178/ma posizione, metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà e l’attesa di vita media (pari a 44 anni e mezzo) è di venti anni inferiore a quella dei paesi confinanti.
Il rischio caos è alle porte per la “fragile nazione” e il rapporto lancia un warning. "I bisogni fondamentali devono essere affrontati" per evitare che il paese torni ad essere insicuro, "una minaccia per la sua gente e per la comunità internazionale".
Il quadro è fosco ma non del tutto negativo, l’Onu parla di “cauto ottimismo”, e gli ultimi due anni hanno fatto registrare “notevoli progressi”.
L’economia per esempio appare in crescita, con un incremento del 16% nel 2003, proventi dalle droghe esclusi (il traffico illecito di stupefacenti rimane il motore dell’economia afgana con il 38,2% del Pil) e la previsione di un più 10% nei prossimi dieci anni. "Ma con una crescente concentrazione della ricchezza in poche mani e con un senso diffuso che gli sforzi della ricostruzione siano a carico solo della gente comune".
Luci e ombre anche nel sistema scolastico. Nonostante alcuni dati positivi - il 2004 ha fatto segnare il 54,4% di iscrizione alla scuola primaria e 4 milioni di studenti delle scuole superiori hanno ripreso a frequentare dal 2002 - il sistema scolastico dell’Afghanistan "è ancora il peggiore nel mondo" e neanche un terzo degli adulti sa leggere e scrivere.
Come al solito in questi casi sono le fasce più deboli a fare le spese. Le donne, per esempio, che anni di discriminazione e povertà hanno “relegato tra le condizioni peggiori nel mondo”. Vittime di violenza, di matrimoni forzati, escluse dalla vita pubblica, ogni ora due donne muoiono per cause connesse alla gravidanza. E ne fanno le spese anche i bambini, il 20% dei quali non raggiunge i cinque anni (si stima che dal 1992 più di 300 mila bambini siano stati vittima dei vari conflitti).
Oltre a fare il quadro della situazione il National Human Development Report prova a dare qualche suggerimento ai cosiddetti decision makers con affermazioni del tipo "contro l’estremismo religioso, lo sviluppo economico-sociale rappresenta uno strumento più potente e più efficace dell’intervento militare", che producono un discreto effetto se messe a confronto con altre parole.
Si prendano queste, per esempio: "Il terrorismo non viene più considerato il prodotto di fattori economici. Le paludi in cui questa peste assassina si nutre non sono quelle della povertà e della fame ma quelle dell’oppressione politica. Soltanto prosciugando queste paludi attraverso una strategia di cambio di regime possiamo liberarci dalla minaccia del terrorismo e allo stesso tempo dare ai popoli di tutto il mondo islamico le libertà che desiderano e meritano." (Norman Podhoretz, teorico neocon, in “La quarta guerra mondiale”, The Commentary, settembre 2004).

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