Maglia nera alla Cina per il rispetto dell'ambiente
Maglia nera alla Cina per il rispetto dell'ambiente
Stefano Baldolini
A dispetto della sua persistente crescita economica, negli ultimi tre anni la Cina non ha compiuto alcun progresso per salvaguardare l’ambiente. Lo denuncia il “China Modernisation Report 2007”, rapporto governativo redatto dall’Accademia cinese delle scienze, dal ministero della scienza e della tecnologia, e da esperti di prestigiose università. Così, a poche ore dal viaggio del suo presidente Hu Jintao in Africa per «rafforzare l’amicizia» e i legami commerciali con otto importanti paesi del continente, Pechino ammette che ha ancora molta strada da fare per rendere le sue industrie meno inquinanti. In effetti, in tema di protezione ambientale, il paese occupa la centesima posizione su 118 presi in considerazione. La stessa del 2004.
«Confrontato con la sua modernizzazione sociale ed economica, quella ambientale resta molto indietro», ha dichiarato al quotidiano China Daily, He Chuanqi, responsabile della ricerca. Una pessima notizia, considerato che dopo gli Stati Uniti, la Cina è il principale responsabile di emissioni di gas serra nell’atmosfera e che vaste aree del paese sono colpite da inquinamento prodotto da industrie, automobili e impianti alimentati ancora a carbone. E l’inquinamento non risparmia le fonti di acqua e il terreno. I dati ufficiali indicano che oltre 320 milioni di contadini non hanno accesso a fonti d’acqua potabile e che circa 190 milioni bevono acqua inquinata.
Una novità positiva però c’è: dopo anni di industrializzazione “selvaggia”, la sensibilità della popolazione sembra mutata. Secondo una recente indagine dell’Agenzia per la protezione ambientale dello Stato (Sepa), la grave situazione ambientale è la prima preoccupazione per la popolazione cinese. Se è risultata scarsa la conoscenza e l’attenzione su problemi mondiali come il buco nell’ozono e il global warming, acqua, aria e cibi inquinati sono sentiti come «una grave minaccia» dall’80 per cento della popolazione.
Parallelamente cresce l’attenzione della comunità internazionale. Solo sabato scorso Tony Blair, intervenendo al World Economic Forum di Davos, ha lanciato un appello per rivisitare Kyoto in chiave più radicale, cercando di coinvolgere i giganti emergenti Cina e India. Senza i quali «non abbiamo nessuna speranza di successo», ha dichiarato il premier britannico.
Così, fattori interni ed esterni, ma forse anche il recente interesse delle grandi corporation per il “business verde”, considerato sempre più come opportunità che come ostacolo, sembrano produrre almeno un cambiamento di prospettiva di Pechino. Tanto che la protezione dell’ambiente è la terza delle priorità economiche annunciate dal governo centrale per il 2007, dopo il controllo dei parametri macro economici e lo sviluppo dell’agricoltura.
Intanto, mentre la Banca mondiale stima che la Cina crescerà del 6 per cento nei prossimi quindici anni (più del doppio della media mondiale) gli esperti cinesi prevedono per il 2015 la fine della transizione da paese agricolo a industrializzato. In questo senso il “China Modernisation Report 2007” prende in esame dieci indicatori che misurano l’industrializzazione del paese. Buoni i risultati sin qui raggiunti in termini di aspettativa di vita, alfabetizzazione della popolazione adulta ed educazione secondaria, ma rimane molto da fare in altri quattro fattori chiave: il Pil pro capite, qualità nell’industria dei servizi, proporzione di popolazione che lavora nelle campagne, forte urbanizzazione del paese. Solo lavorando anche su questi aspetti, Pechino potrà concludere la sua “seconda lunga marcia”, e gli indicatori socio economici raggiungere il livello che i paesi sviluppati avevano nel 1960.
«Confrontato con la sua modernizzazione sociale ed economica, quella ambientale resta molto indietro», ha dichiarato al quotidiano China Daily, He Chuanqi, responsabile della ricerca. Una pessima notizia, considerato che dopo gli Stati Uniti, la Cina è il principale responsabile di emissioni di gas serra nell’atmosfera e che vaste aree del paese sono colpite da inquinamento prodotto da industrie, automobili e impianti alimentati ancora a carbone. E l’inquinamento non risparmia le fonti di acqua e il terreno. I dati ufficiali indicano che oltre 320 milioni di contadini non hanno accesso a fonti d’acqua potabile e che circa 190 milioni bevono acqua inquinata.
Una novità positiva però c’è: dopo anni di industrializzazione “selvaggia”, la sensibilità della popolazione sembra mutata. Secondo una recente indagine dell’Agenzia per la protezione ambientale dello Stato (Sepa), la grave situazione ambientale è la prima preoccupazione per la popolazione cinese. Se è risultata scarsa la conoscenza e l’attenzione su problemi mondiali come il buco nell’ozono e il global warming, acqua, aria e cibi inquinati sono sentiti come «una grave minaccia» dall’80 per cento della popolazione.
Parallelamente cresce l’attenzione della comunità internazionale. Solo sabato scorso Tony Blair, intervenendo al World Economic Forum di Davos, ha lanciato un appello per rivisitare Kyoto in chiave più radicale, cercando di coinvolgere i giganti emergenti Cina e India. Senza i quali «non abbiamo nessuna speranza di successo», ha dichiarato il premier britannico.
Così, fattori interni ed esterni, ma forse anche il recente interesse delle grandi corporation per il “business verde”, considerato sempre più come opportunità che come ostacolo, sembrano produrre almeno un cambiamento di prospettiva di Pechino. Tanto che la protezione dell’ambiente è la terza delle priorità economiche annunciate dal governo centrale per il 2007, dopo il controllo dei parametri macro economici e lo sviluppo dell’agricoltura.
Intanto, mentre la Banca mondiale stima che la Cina crescerà del 6 per cento nei prossimi quindici anni (più del doppio della media mondiale) gli esperti cinesi prevedono per il 2015 la fine della transizione da paese agricolo a industrializzato. In questo senso il “China Modernisation Report 2007” prende in esame dieci indicatori che misurano l’industrializzazione del paese. Buoni i risultati sin qui raggiunti in termini di aspettativa di vita, alfabetizzazione della popolazione adulta ed educazione secondaria, ma rimane molto da fare in altri quattro fattori chiave: il Pil pro capite, qualità nell’industria dei servizi, proporzione di popolazione che lavora nelle campagne, forte urbanizzazione del paese. Solo lavorando anche su questi aspetti, Pechino potrà concludere la sua “seconda lunga marcia”, e gli indicatori socio economici raggiungere il livello che i paesi sviluppati avevano nel 1960.
Pubblicato il: 29.01.07
Modificato il: 29.01.07 alle ore 18.46
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