Le amare verità sui fondi neri
Le amare verità sui fondi neri
di PAUL A. VOLCKER
La Commissione d’inchiesta indipendente sul programma «Oil for food» delle Nazioni Unite sta presentando il suo primo rapporto parziale. C’è ancora molto lavoro da fare, occorre investigare a fondo sull’intera gamma di questioni sorte a proposito dell’amministrazione e della realizzazione del programma. L’intenzione della Commissione è di fornire una relazione completa all’incirca a giugno. Questo primo rapporto è quindi limitato, ma copre, in un dettaglio così preciso da essere quasi lacerante, tre parti potenzialmente soggette a critiche della gestione del programma «Oil for food». 1) Le commesse iniziali affidate nel 1996 a tre contraenti delle Nazioni Unite, che erano responsabili delle ispezioni sulle esportazioni irachene di petrolio, delle importazioni di beni «umanitari», e della gestione dei fondi del programma. 2) Il controllo dei conti interno al programma. 3) L’uso dei fondi stanziati a scopo amministrativo. I risultati dell’inchiesta sono spiacevoli. In ognuno di questi ambiti abbiamo scoperto che il processo di attribuzione delle commesse è stato inquinato, e non ha seguito le regole stabilite dall’organizzazione per assicurare correttezza e responsabilità. Si sono intromesse considerazioni politiche, e questo forse non deve sorprendere; ma in un modo che non è stato né trasparente né volto a risalire alle responsabilità. Il processo di revisione contabile, al quale sono stati riservati pochi fondi e pochi uomini, non è stato in grado di raccogliere in modo efficace la sfida posta da un programma di assistenza umanitaria davvero unico, vasto e complesso. Nonostante la capacità professionale e la dedizione dei revisori dei conti, sono mancate l’indipendenza, la chiarezza nella scala di controllo, e la reattività di gestione indispensabili per ottenere un’azione di verifica realmente efficiente. L’impiego dei fondi amministrativi del programma appare privo di abusi sistematici o estesi. Ma anche in questo ambito, abbiamo notato un evidente allontanamento dal necessario standard di decisioni prese con oculatezza. Più scoraggiante è ciò che abbiamo scoperto sul comportamento del direttore esecutivo che aveva la responsabilità amministrativa del programma, Benon Sevan, un funzionario Onu di grande esperienza e anzianità di servizio. Gli elementi da noi raccolti provano che Sevan, partecipando direttamente alla selezione degli acquisti di petrolio in base al programma, ha posto sé stesso in un irrimediabile conflitto di interessi, in violazione sia di specifiche norme delle Nazioni Unite sia del più ampio obbligo per un funzionario civile internazionale di aderire ai più alti standard di affidabilità e integrità. Le indagini su questi aspetti continuano. È noto che il segretario generale Kofi Annan è stato egli stesso oggetto di interrogativi circa l’appalto a un contraente delle Nazioni Unite per il quale lavorava suo figlio. L’inchiesta della Commissione su questo problema si trova a uno stadio piuttosto avanzato e sarà oggetto di un successivo rapporto parziale. Nell’esporre i risultati della sua inchiesta, la Commissione sta consapevolmente giudicando le Nazioni Unite rispetto ai più alti standard di comportamento etico. Inoltre, noi crediamo che poche istituzioni si siano volontariamente sottomesse a un’intensità di scrutinio quale quella che il lavoro della Commissione ha comportato. Se le Nazioni Unite sapranno discolparsi efficacemente dalle enormi responsabilità che i suoi Stati membri le hanno attribuito, criteri di giudizio non meno severi dovranno essere applicati alla nostra inchiesta. La nuova crisi umanitaria nell’Oceano Indiano non è che un’altra dimostrazione della necessità di una organizzazione internazionale davvero efficiente, un’organizzazione che possa garantirsi la fiducia degli Stati membri come dei cittadini del mondo. Ci accostiamo al nostro lavoro - e la Commissione ha ancora molto da fare prima del rapporto conclusivo della prossima estate - nello spirito non di distruggere, ma di restaurare e assicurare al meglio la professionalità, la competenza e l’integrità di una importante istituzione. © The Wall Street Journal
di PAUL A. VOLCKER
La Commissione d’inchiesta indipendente sul programma «Oil for food» delle Nazioni Unite sta presentando il suo primo rapporto parziale. C’è ancora molto lavoro da fare, occorre investigare a fondo sull’intera gamma di questioni sorte a proposito dell’amministrazione e della realizzazione del programma. L’intenzione della Commissione è di fornire una relazione completa all’incirca a giugno. Questo primo rapporto è quindi limitato, ma copre, in un dettaglio così preciso da essere quasi lacerante, tre parti potenzialmente soggette a critiche della gestione del programma «Oil for food». 1) Le commesse iniziali affidate nel 1996 a tre contraenti delle Nazioni Unite, che erano responsabili delle ispezioni sulle esportazioni irachene di petrolio, delle importazioni di beni «umanitari», e della gestione dei fondi del programma. 2) Il controllo dei conti interno al programma. 3) L’uso dei fondi stanziati a scopo amministrativo. I risultati dell’inchiesta sono spiacevoli. In ognuno di questi ambiti abbiamo scoperto che il processo di attribuzione delle commesse è stato inquinato, e non ha seguito le regole stabilite dall’organizzazione per assicurare correttezza e responsabilità. Si sono intromesse considerazioni politiche, e questo forse non deve sorprendere; ma in un modo che non è stato né trasparente né volto a risalire alle responsabilità. Il processo di revisione contabile, al quale sono stati riservati pochi fondi e pochi uomini, non è stato in grado di raccogliere in modo efficace la sfida posta da un programma di assistenza umanitaria davvero unico, vasto e complesso. Nonostante la capacità professionale e la dedizione dei revisori dei conti, sono mancate l’indipendenza, la chiarezza nella scala di controllo, e la reattività di gestione indispensabili per ottenere un’azione di verifica realmente efficiente. L’impiego dei fondi amministrativi del programma appare privo di abusi sistematici o estesi. Ma anche in questo ambito, abbiamo notato un evidente allontanamento dal necessario standard di decisioni prese con oculatezza. Più scoraggiante è ciò che abbiamo scoperto sul comportamento del direttore esecutivo che aveva la responsabilità amministrativa del programma, Benon Sevan, un funzionario Onu di grande esperienza e anzianità di servizio. Gli elementi da noi raccolti provano che Sevan, partecipando direttamente alla selezione degli acquisti di petrolio in base al programma, ha posto sé stesso in un irrimediabile conflitto di interessi, in violazione sia di specifiche norme delle Nazioni Unite sia del più ampio obbligo per un funzionario civile internazionale di aderire ai più alti standard di affidabilità e integrità. Le indagini su questi aspetti continuano. È noto che il segretario generale Kofi Annan è stato egli stesso oggetto di interrogativi circa l’appalto a un contraente delle Nazioni Unite per il quale lavorava suo figlio. L’inchiesta della Commissione su questo problema si trova a uno stadio piuttosto avanzato e sarà oggetto di un successivo rapporto parziale. Nell’esporre i risultati della sua inchiesta, la Commissione sta consapevolmente giudicando le Nazioni Unite rispetto ai più alti standard di comportamento etico. Inoltre, noi crediamo che poche istituzioni si siano volontariamente sottomesse a un’intensità di scrutinio quale quella che il lavoro della Commissione ha comportato. Se le Nazioni Unite sapranno discolparsi efficacemente dalle enormi responsabilità che i suoi Stati membri le hanno attribuito, criteri di giudizio non meno severi dovranno essere applicati alla nostra inchiesta. La nuova crisi umanitaria nell’Oceano Indiano non è che un’altra dimostrazione della necessità di una organizzazione internazionale davvero efficiente, un’organizzazione che possa garantirsi la fiducia degli Stati membri come dei cittadini del mondo. Ci accostiamo al nostro lavoro - e la Commissione ha ancora molto da fare prima del rapporto conclusivo della prossima estate - nello spirito non di distruggere, ma di restaurare e assicurare al meglio la professionalità, la competenza e l’integrità di una importante istituzione. © The Wall Street Journal
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