No alle mutilazioni genitali, vince il fronte delle donne
Alla Conferenza di Gibuti i religiosi hanno tentato di far dichiarare legittima l’escissione parziale del clitoride ma le delegate si sono ribellate
No alle mutilazioni genitali, vince il fronte delle donne
Sono 120 milioni le bambine e le donne africane menomate
DAL NOSTRO INVIATO GIBUTI - È terminata con urla e fischi, poi con grida di vittoria e abbracci tra le delegate la Conferenza sull’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili ( Mgf , per gli addetti ai lavori), in corso per due giorni a Gibuti, l’ex colonia francese sul Mar Rosso. Un tentativo dei religiosi islamici partecipanti all’incontro di dichiarare «legittima l’escissione parziale del clitoride a condizione che ad eseguirla siano specialisti e chirurghi» è finito nel nulla dopo le fortissime proteste delle donne presenti al convegno. Una vera rivolta che ha spinto il ministro del Culto di Gibuti a dichiarare che «in nome di Dio misericordioso e clemente, quella frase viene cancellata dal documento finale». Organizzata dal governo locale e da No Peace Without Justice , l' Ong per i diritti umani fondata dall’europarlamentare Emma Bonino, all’interno della grande campagna lanciata nel 2003 al Cairo contro la «circoncisione femminile», la Conferenza aveva visto per due giorni una spaccatura profonda. Da un lato gli Ulema islamici: una quarantina di religiosi con copricapi ricamati e barbe intenti a scambiarsi erudite citazioni da Corano e Detti del Profeta in arabo classico, sul tema degli organi genitali femminili e sul fatto che la loro asportazione - simbolica, parziale, totale - sia proibita, legittima o perfino obbligatoria. Una discussione quasi surreale se non fosse che sono almeno 120 milioni le bambine e le donne africane colpite ancora oggi da Mgf , con diffusioni, in Paesi come Gibuti o la vicina Somalia, fino al 98% della popolazione femminile. Dall’altro lato donne di tutto il mondo, soprattutto africane. Attiviste dei diritti umani, responsabili di Ong, medici, ma anche ministre di governi, che hanno raccontato i primi successi della campagna e discusso le nuove sfide. Emma Bonino ha annunciato che «dopo otto Paesi, anche Gibuti ha ratificato il Protocollo di Maputo», coraggiosa carta dei diritti della donna africana lanciata nel 2003, che sancisce anche l’illegalità di ogni mutilazione e che entrerà in vigore quando i Paesi saranno 15. La ministra degli affari interni del Kenya, Linah Kilimo, ha spiegato come «la questione Mgf sia finalmente passata da una questione privata a un ambito di politica nazionale e regionale». Ma è stato nella stanza laterale, quella degli Ulema, che si è potuto capire come la battaglia sia ancora in corso. Accerchiati da donne allibite, gli Ulema si sono dilungati in dissertazioni anatomiche-religiose che per la prima volta nella storia hanno avuto un pubblico. Il numero due della potente università religiosa egiziana di Al Azhar, sheikh Ismail El Deftar, ha ammesso che «nel Corano non c’è indicazione di questa pratica». In sostanza, ha però concluso, se la mutilazione totale (clitoride, piccole e grandi labbra, ovvero la cosiddetta circoncisione faraonica diffusissima in Africa centro-orientale) «è proibita dall’Islam», quella parziale «è legittima anche se non obbligatoria, purché non abbia conseguenze per la salute». Stesso parere da un altro sheikh di Al Azhar, Mohammad Othman. E ben più pesanti sono stati gli interventi degli Ulema locali: l’imam gibutino Mohammad Amin ha perfino dichiarato, tra gli applausi, che «ogni tentativo di rendere illegittima la circoncisione parziale porterà noi religiosi a dichiararla obbligatoria». «È vergognoso, gli Ulema sanno benissimo che l’Islam, come ogni religione, non ha niente a che fare con questo orrore», ha detto Boge Gabre, epidemiologa etiope. «Molti di loro difendono le Mgf ma poi la evitano alle loro figlie, sanno quanto è orribile», ha dichiarato indignata Hawa Aden, attivista somala. «Non mi ha sorpreso questa levata di scudi - ha commentato Daniela Colombo, presidente della Ong per i diritti della donna Aidos, partner della conferenza -. Tutte le religioni sono contro la donna». Ed Emma Bonino, soddisfatta della conclusione della Conferenza, ha sottolineato: «Per esperienza so che quando un dibattito diventa pubblico è già quasi una mezza vittoria, si esce da una mielosa generalizzazione, si scoprono i giochi. Il problema, adesso, è fargli uscire sempre più allo scoperto. E andare avanti».
Cecilia Zecchinelli
No alle mutilazioni genitali, vince il fronte delle donne
Sono 120 milioni le bambine e le donne africane menomate
DAL NOSTRO INVIATO GIBUTI - È terminata con urla e fischi, poi con grida di vittoria e abbracci tra le delegate la Conferenza sull’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili ( Mgf , per gli addetti ai lavori), in corso per due giorni a Gibuti, l’ex colonia francese sul Mar Rosso. Un tentativo dei religiosi islamici partecipanti all’incontro di dichiarare «legittima l’escissione parziale del clitoride a condizione che ad eseguirla siano specialisti e chirurghi» è finito nel nulla dopo le fortissime proteste delle donne presenti al convegno. Una vera rivolta che ha spinto il ministro del Culto di Gibuti a dichiarare che «in nome di Dio misericordioso e clemente, quella frase viene cancellata dal documento finale». Organizzata dal governo locale e da No Peace Without Justice , l' Ong per i diritti umani fondata dall’europarlamentare Emma Bonino, all’interno della grande campagna lanciata nel 2003 al Cairo contro la «circoncisione femminile», la Conferenza aveva visto per due giorni una spaccatura profonda. Da un lato gli Ulema islamici: una quarantina di religiosi con copricapi ricamati e barbe intenti a scambiarsi erudite citazioni da Corano e Detti del Profeta in arabo classico, sul tema degli organi genitali femminili e sul fatto che la loro asportazione - simbolica, parziale, totale - sia proibita, legittima o perfino obbligatoria. Una discussione quasi surreale se non fosse che sono almeno 120 milioni le bambine e le donne africane colpite ancora oggi da Mgf , con diffusioni, in Paesi come Gibuti o la vicina Somalia, fino al 98% della popolazione femminile. Dall’altro lato donne di tutto il mondo, soprattutto africane. Attiviste dei diritti umani, responsabili di Ong, medici, ma anche ministre di governi, che hanno raccontato i primi successi della campagna e discusso le nuove sfide. Emma Bonino ha annunciato che «dopo otto Paesi, anche Gibuti ha ratificato il Protocollo di Maputo», coraggiosa carta dei diritti della donna africana lanciata nel 2003, che sancisce anche l’illegalità di ogni mutilazione e che entrerà in vigore quando i Paesi saranno 15. La ministra degli affari interni del Kenya, Linah Kilimo, ha spiegato come «la questione Mgf sia finalmente passata da una questione privata a un ambito di politica nazionale e regionale». Ma è stato nella stanza laterale, quella degli Ulema, che si è potuto capire come la battaglia sia ancora in corso. Accerchiati da donne allibite, gli Ulema si sono dilungati in dissertazioni anatomiche-religiose che per la prima volta nella storia hanno avuto un pubblico. Il numero due della potente università religiosa egiziana di Al Azhar, sheikh Ismail El Deftar, ha ammesso che «nel Corano non c’è indicazione di questa pratica». In sostanza, ha però concluso, se la mutilazione totale (clitoride, piccole e grandi labbra, ovvero la cosiddetta circoncisione faraonica diffusissima in Africa centro-orientale) «è proibita dall’Islam», quella parziale «è legittima anche se non obbligatoria, purché non abbia conseguenze per la salute». Stesso parere da un altro sheikh di Al Azhar, Mohammad Othman. E ben più pesanti sono stati gli interventi degli Ulema locali: l’imam gibutino Mohammad Amin ha perfino dichiarato, tra gli applausi, che «ogni tentativo di rendere illegittima la circoncisione parziale porterà noi religiosi a dichiararla obbligatoria». «È vergognoso, gli Ulema sanno benissimo che l’Islam, come ogni religione, non ha niente a che fare con questo orrore», ha detto Boge Gabre, epidemiologa etiope. «Molti di loro difendono le Mgf ma poi la evitano alle loro figlie, sanno quanto è orribile», ha dichiarato indignata Hawa Aden, attivista somala. «Non mi ha sorpreso questa levata di scudi - ha commentato Daniela Colombo, presidente della Ong per i diritti della donna Aidos, partner della conferenza -. Tutte le religioni sono contro la donna». Ed Emma Bonino, soddisfatta della conclusione della Conferenza, ha sottolineato: «Per esperienza so che quando un dibattito diventa pubblico è già quasi una mezza vittoria, si esce da una mielosa generalizzazione, si scoprono i giochi. Il problema, adesso, è fargli uscire sempre più allo scoperto. E andare avanti».
Cecilia Zecchinelli
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