Mandela, colpo all’omertà: mio figlio morto di Aids
riotta sul Corriere
SUDAFRICAMandela, colpo all’omertà: mio figlio morto di Aids
L'America scoprì che l'Aids non era «la malattia dei diversi» nel 1985, quando Ronald e Nancy Reagan ebbero il coraggio di ricordare in pubblico l'amico Rock Hudson, stella del cinema adorato dalle ragazze perbene e stroncato dal virus Hiv. Adesso è Nelson Mandela, padre della patria del Sudafrica, ad assumere il ruolo di testimone morale, dichiarando senza reticenze «mio figlio Makgatho è morto di Aids».
«Parliamo con chiarezza - ha detto austero Mandela - l'Aids è una malattia di cui non vergognarsi, come il cancro o la tubercolosi. Smettiamo di nascondere l'Hiv». E' l'ultimo dono che l'anziano ex presidente, 86 anni di cui 27 passati in galera per l'impegno contro l'apartheid, offre alla nazione che ha liberato. Perché in Africa, mentre l'Aids fa strage, i leader politici fingono di ignorare l'epidemia e l'omertà è l'untore del contagio, tra uomini persuasi che stuprare una vergine guarisca dal virus e donne che non chiedono l'uso di profilattici perché «lo fanno le prostitute». Mandela, commemorando Makgatho, 54 anni, l'ultimo figlio superstite, ha chiamato con sé la figlia Makaziwe e i nipoti, ricordando la sua autocritica «da presidente ho fatto troppo poco contro il male». E' un atto politico di grande coraggio morale: da anni il suo successore, Thabo Mbeki, spreca tempo accettando le teorie dei ciarlatani sull'origine del male. Qualche santone nega il legame tra il virus Hiv e l'Aids e Mbeki ha sposato le bizzarre credenze, esponendo la popolazione alla malattia, non curando che una frazione minima dei 5 milioni di contagiati e non marcando le grande aziende farmaceutiche con una campagna contro il costo eccessivo dei farmaci che bloccano il decorso del morbo. Il presidente Mbeki, al contrario del saggio Mandela, vede nell'epidemia una conseguenza della tragica stagione del razzismo in Sudafrica. Quando un parlamentare, solo tre mesi fa, gli ha chiesto di contrastare l'ondata di stupri che nasce dalla leggenda urbana «il sangue veloce delle vergini ripulisce i maschi dal contagio», Mbeki è esploso furente: «E' il razzismo la vera malattia, che dipinge gli uomini africani come pigri, bugiardi, puzzolenti, malati, corrotti, violenti, immorali, maniaci sessuali, bestie selvagge, stupratori!». Nella sua autobiografia (tradotta da Feltrinelli), Mandela ricorda invece come nella galera atroce di Robben Island, a poche miglia da Città del Capo, malgrado le umiliazioni, i pantaloni corti della divisa, il lavoro duro da spaccapietre, l'insulto «muoviti ragazzo!», abbia imparato pian piano che non tutti i bianchi sono uguali, non tutti demoni assatanati. Su questo cruciale passaggio etico, fonte di uguaglianza e libertà, creò l'egemonia capace di trasformare il paese senza bagni di sangue. Adesso sa che non basta deprecare l'eredità della segregazione - tragica e repellente - per salvare le future generazioni africane dal male. Occorre diffondere la consapevolezza, limitare l'infezione, curare i 25 milioni di sieropositivi (in maggioranza donne), usare i soldi del Fondo Globale per terapie e prevenzione e cancellare la rimozione collettiva che dilaga nel continente. Il Sudafrica ha già pagato questa cecità con un milione di morti, che saliranno a cinque entro il 2015 se non saranno diffuse le medicine retrovirali. 5 milioni di donne sono sieropositive, in Sudafrica il 30 per cento delle puerpere è stata esposta al virus. Il morbo fa strage nella classe dirigente, ogni mese quadri, funzionari e amministratori muoiono e vengono rimpiazzati da inesperti subalterni, che presto lasciano la carica, malati, a giovani ancora meno capaci distruggendo la società civile. Le fole, diffuse da siti Internet, radio, volantini e talvolta riprese da organizzazioni estremistiche occidentali, propagandano l'Aids come «complotto di medici ebrei per sterminare arabi e africani», «un virus creato in laboratorio dalla Cia», «l’Aids in provetta, per speculare sul mercato delle medicine». Nell'ignoranza e nel settarismo il virus moltiplica la mattanza, complici povertà, cattiva nutrizione, condizioni sociali depresse. Nelson Mandela piange il figlio davanti all'opinione pubblica mondiale e raccoglie l'Africa davanti alla verità, come sempre nella sua vita. Ieri la verità negata dai bianchi dell'uguaglianza degli uomini e delle donne, oggi la verità di un contagio terribile negata da faziosi e burocrati. Se Thabo Mbeki avrà la forza di fare marcia indietro e accettare la verità schietta, che il virus Hiv causa l'Aids e solo uno sforzo congiunto dei governi, dell’Onu, dei paesi sviluppati, delle organizzazioni di volontari Ong e delle case farmaceutiche responsabili, può contrastare l'epidemia, il Sudafrica potrebbe unirsi a Nigeria, Senegal, Mozambico, paesi in cui l'Aids, dopo avere spadroneggiato senza freni per anni, comincia adesso ad essere combattuto e controllato .
SUDAFRICAMandela, colpo all’omertà: mio figlio morto di Aids
L'America scoprì che l'Aids non era «la malattia dei diversi» nel 1985, quando Ronald e Nancy Reagan ebbero il coraggio di ricordare in pubblico l'amico Rock Hudson, stella del cinema adorato dalle ragazze perbene e stroncato dal virus Hiv. Adesso è Nelson Mandela, padre della patria del Sudafrica, ad assumere il ruolo di testimone morale, dichiarando senza reticenze «mio figlio Makgatho è morto di Aids».
«Parliamo con chiarezza - ha detto austero Mandela - l'Aids è una malattia di cui non vergognarsi, come il cancro o la tubercolosi. Smettiamo di nascondere l'Hiv». E' l'ultimo dono che l'anziano ex presidente, 86 anni di cui 27 passati in galera per l'impegno contro l'apartheid, offre alla nazione che ha liberato. Perché in Africa, mentre l'Aids fa strage, i leader politici fingono di ignorare l'epidemia e l'omertà è l'untore del contagio, tra uomini persuasi che stuprare una vergine guarisca dal virus e donne che non chiedono l'uso di profilattici perché «lo fanno le prostitute». Mandela, commemorando Makgatho, 54 anni, l'ultimo figlio superstite, ha chiamato con sé la figlia Makaziwe e i nipoti, ricordando la sua autocritica «da presidente ho fatto troppo poco contro il male». E' un atto politico di grande coraggio morale: da anni il suo successore, Thabo Mbeki, spreca tempo accettando le teorie dei ciarlatani sull'origine del male. Qualche santone nega il legame tra il virus Hiv e l'Aids e Mbeki ha sposato le bizzarre credenze, esponendo la popolazione alla malattia, non curando che una frazione minima dei 5 milioni di contagiati e non marcando le grande aziende farmaceutiche con una campagna contro il costo eccessivo dei farmaci che bloccano il decorso del morbo. Il presidente Mbeki, al contrario del saggio Mandela, vede nell'epidemia una conseguenza della tragica stagione del razzismo in Sudafrica. Quando un parlamentare, solo tre mesi fa, gli ha chiesto di contrastare l'ondata di stupri che nasce dalla leggenda urbana «il sangue veloce delle vergini ripulisce i maschi dal contagio», Mbeki è esploso furente: «E' il razzismo la vera malattia, che dipinge gli uomini africani come pigri, bugiardi, puzzolenti, malati, corrotti, violenti, immorali, maniaci sessuali, bestie selvagge, stupratori!». Nella sua autobiografia (tradotta da Feltrinelli), Mandela ricorda invece come nella galera atroce di Robben Island, a poche miglia da Città del Capo, malgrado le umiliazioni, i pantaloni corti della divisa, il lavoro duro da spaccapietre, l'insulto «muoviti ragazzo!», abbia imparato pian piano che non tutti i bianchi sono uguali, non tutti demoni assatanati. Su questo cruciale passaggio etico, fonte di uguaglianza e libertà, creò l'egemonia capace di trasformare il paese senza bagni di sangue. Adesso sa che non basta deprecare l'eredità della segregazione - tragica e repellente - per salvare le future generazioni africane dal male. Occorre diffondere la consapevolezza, limitare l'infezione, curare i 25 milioni di sieropositivi (in maggioranza donne), usare i soldi del Fondo Globale per terapie e prevenzione e cancellare la rimozione collettiva che dilaga nel continente. Il Sudafrica ha già pagato questa cecità con un milione di morti, che saliranno a cinque entro il 2015 se non saranno diffuse le medicine retrovirali. 5 milioni di donne sono sieropositive, in Sudafrica il 30 per cento delle puerpere è stata esposta al virus. Il morbo fa strage nella classe dirigente, ogni mese quadri, funzionari e amministratori muoiono e vengono rimpiazzati da inesperti subalterni, che presto lasciano la carica, malati, a giovani ancora meno capaci distruggendo la società civile. Le fole, diffuse da siti Internet, radio, volantini e talvolta riprese da organizzazioni estremistiche occidentali, propagandano l'Aids come «complotto di medici ebrei per sterminare arabi e africani», «un virus creato in laboratorio dalla Cia», «l’Aids in provetta, per speculare sul mercato delle medicine». Nell'ignoranza e nel settarismo il virus moltiplica la mattanza, complici povertà, cattiva nutrizione, condizioni sociali depresse. Nelson Mandela piange il figlio davanti all'opinione pubblica mondiale e raccoglie l'Africa davanti alla verità, come sempre nella sua vita. Ieri la verità negata dai bianchi dell'uguaglianza degli uomini e delle donne, oggi la verità di un contagio terribile negata da faziosi e burocrati. Se Thabo Mbeki avrà la forza di fare marcia indietro e accettare la verità schietta, che il virus Hiv causa l'Aids e solo uno sforzo congiunto dei governi, dell’Onu, dei paesi sviluppati, delle organizzazioni di volontari Ong e delle case farmaceutiche responsabili, può contrastare l'epidemia, il Sudafrica potrebbe unirsi a Nigeria, Senegal, Mozambico, paesi in cui l'Aids, dopo avere spadroneggiato senza freni per anni, comincia adesso ad essere combattuto e controllato .
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