Wednesday, March 02, 2005

Povertà in aumento fra i bambini dei paesi ricchi

Povertà in aumento fra i bambini dei paesi ricchi
Stefano Baldolini
su Europa di oggi
Contro ogni percezione comune, "la percentuale di bambini che vivono in condizioni di povertà è aumentata, dagli inizi degli anni Novanta, in 17 Paesi ricchi su 24". Lo afferma il rapporto Unicef, “Povertà infantile nei paesi ricchi, 2005”. All'Italia, con il 16,6% di bambini al di sotto della soglia nazionale di povertà, spetta il triste primato del ''più alto tasso in Europa''. Solo gli Usa e il Messico, dove le percentuali superano il 20%, presentano dati inferiori al nostro, mentre i Paesi nordici i registrano i risultati migliori.
"Anche se si ritiene comunemente che nei Paesi industrializzati la povertà infantile sia in costante diminuzione", il rapporto mostra come "soltanto in quattro Paesi (Australia, Norvegia, Gran Bretagna e Usa, ndr) c'è stato un significativo decremento a partire dagli inizi dei '90".
La stima di 40-50 milioni di bambini poveri dei paesi membri dell'Ocse costituisce un contributo significativo allo “tsunami globale” paventato dall’Agenzia dell’Onu in occasione di un altro recente rapporto, quello sullo “stato dell’infanzia nel mondo”.
Il Record Card Innocenti, presentato ieri a Ginevra, intende lanciare una “sfida ai governi”. Non prima però di aver stabilito la materia del contendere. Alla domanda chiave “Che cosa significa povertà?” il rapporto del centro di ricerca fiorentino dell’Unicef risponde fissando la “soglia mobile” adottata dalla maggioranza dei paesi Ocse. In poche parole "un bambino deve essere considerato povero se il reddito disponibile per lui è inferiore alla metà del reddito mediano disponibile per i bambini di quella società".
Una volta sgombrato il campo da possibili interpretazioni - "indipendentemente da quale dei parametri comunemente usati per misurare la povertà si applichi, la situazione dei bambini risulta essere peggiorata negli ultimi dieci anni" - si passa all’analisi delle responsabilità.
"La differenza tra le politiche adottate dai governi sembra essere responsabile della maggiore parte delle differenze nei livelli di povertà infantile registrate", afferma il rapporto.
I governi hanno "la capacità di spingere verso il basso i tassi della povertà infantile." Per esempio, lo studio mostra che "ad un aumento della spesa pubblica a sostegno delle famiglie e delle prestazioni sociali corrispondono chiaramente minori tassi di povertà dei bambini." E’ il caso di Danimarca, Svezia, Finlandia e Belgio, dove i tassi della povertà infantile sono inferiori al 10%, e almeno il 10% cento del Pil è destinato alla spesa sociale per la riduzione della povertà infantile. "In media, gli interventi dello Stato riducono del 40 per cento il tasso della povertà infantile che invece verrebbe prodotto dall'azione delle forze del mercato se queste fossero lasciate a se stesse."
Ma d’altra parte, il rapporto rileva anche l’esistenza di notevoli divergenze tra i tassi di diversi paesi con livelli di spesa pubblica simili. "I tassi di povertà non dipendono solo dal livello quantitativo del sostegno pubblico, ma anche dal modo in cui questo è dispensato; molti paesi dell’OCSE sembrano avere la potenzialità di portare la povertà infantile al di sotto del 10 per cento senza peraltro aumentare in misura significativa la spesa generale."
Così se la difficoltà di stabilire dei criteri generali d’intervento pare connaturata al fenomeno stesso - "i livelli di povertà di un paese sono il prodotto di un'interazione complessa e talvolta difficile da prevedere tra politiche pubbliche, sforzi delle famiglie, condizioni del mercato del lavoro, e le più vaste forze dei mutamenti sociali" - il rapporto mette in guardia rispetto alle tendenze predominanti.
"In alcuni paesi il risultato finale delle attuali politiche può essere quello di favorire il pensionamento precoce a scapito degli investimenti per l'infanzia." Nel mirino, Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna, che oltre a dedicare "una minore proporzione della spesa pubblica ai trasferimenti sociali in generale" concentrano le risorse pubbliche destinate alla popolazione a basso reddito "sulle fasce di età al di sopra dei 50 anni."
Ricordando come "la riduzione della povertà infantile è una misura del progresso verso la coesione sociale, l'uguaglianza di opportunità", l'Unicef prova a fissare le prossime scadenze. "Un obiettivo realistico sarebbe quello di condurre il tasso di povertà infantile al di sotto del 10 %." Mentre per i paesi che già hanno raggiunto questo livello, "il prossimo traguardo potrebbe essere quello di emulare i paesi nordici facendo scendere il tasso al di sotto del 5%."

il rapporto
anais ginori sulla repubblica

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