Monday, February 28, 2005

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L CAPO DELLO STATO«Non posso più tacere»
ROMA - Ha aspettato per 24 ore, inutilmente. Nessuna smentita, rettifica o correzione, da parte di Silvio Berlusconi sulle «sirene della sinistra» da cui rischierebbe di farsi incantare il Quirinale. Neppure una telefonata di chiarimento da uno di quegli emissari che Palazzo Chigi mobilita nei momenti difficili, come Gianni Letta. Silenzio fino a ieri mattina, quando, dopo la lettura dei giornali nel salotto di Castelporziano, Ciampi sbotta con i suoi consiglieri: «Non posso più tacere. Quell’accusa intacca le mie prerogative primarie». Così, prende carta e penna e stende di getto una replica. Una nota nella quale il lessico istituzionale non riesce a dissimulare i sentimenti offesi di chi scrive. «Hanno destato sorpresa le parole attribuite al presidente del Consiglio in materia di promulgazione delle leggi», spiega l’ incipit . E quella «sorpresa» quirinalizia è naturalmente un eufemismo che riassume una sbalordita irritazione. Una puntualizzazione per nulla conciliante, stavolta, quella del Quirinale. «E’ a tutti ben noto che, in questa come in altre materie, non è costume del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi dare ascolto a suggestioni, suggerimenti o critiche gratuite da qualsiasi fonte provengano. Tutti i provvedimenti legislativi rinviati dal capo dello Stato sono stati sempre accompagnati da messaggi debitamente, convintamente, dettagliatamente motivati». Insomma, il retropensiero di Ciampi, mentre affida al portavoce le otto righe di risposta al premier, è di questo tenore: non è lecito mettere in dubbio la mia autonomia di giudizio e indicarmi agli italiani come influenzabile, o magari già influenzato, da una parte politica. E quei tre avverbi in fila uno dopo l’altro («debitamente, convintamente, dettagliatamente») servono a spiegare l’approccio metodologico che quassù si segue per motivare eventuali bocciature di qualche legge, una prova di rigore indispensabile su un doppio fronte: a difesa della mia personale correttezza, ma anche dell’istituzione offesa e dell’articolo 87 della Costituzione, che al capo dello Stato affida la titolarità piena ed esclusiva di alcuni precisi poteri primari, come appunto il vaglio sul lavoro del Parlamento. Della nota è importante anche un’omissione, voluta, rispetto alla bordata berlusconiana di sabato. Infatti non vi compare alcuna replica alle critiche del Cavaliere sui recenti viaggi del presidente della Repubblica in Cina e India e su certe sue preoccupate diagnosi economiche. Contestazioni che Ciampi preferisce lasciar perdere - «per tenersi su un terreno di stretta autotutela istituzionale», fanno capire dal suo staff - per quanto potrebbe recriminare che quelle missioni all’estero le ha compiute in accordo con il governo (e non a caso c’erano ben cinque ministri ad accompagnarlo) e nell’interesse del Paese. Il duro botta e risposta del weekend s’interrompe poche ore più tardi, quando nel primo pomeriggio Gianni Letta anticipa al segretario generale del Colle, Gaetano Gifuni, la precisazione del Cavaliere. Il quale, se pure dichiara di non aver «messo in discussione la correttezza costituzionale delle decisioni del capo dello Stato», insiste però a parlare di suggeritori «non disinteressati» che lo assedierebbero. Incidente chiuso? Difficile pensarlo, anche perché un’impennata della tensione tra Ciampi e Berlusconi si percepiva già da dicembre ed era stata preceduta da parecchi episodi. Ad esempio quando, nell’estate del 2003, il premier andò in udienza al Quirinale e all’uscita fece sapere che sulla legge Gasparri (quella assai discussa sull’informazione radiotelevisiva) c’era perfetto accordo tra lui e il capo dello Stato. Una forzatura che il presidente della Repubblica volle smentire a stretto giro di posta, pure allora con un comunicato ufficiale che Berlusconi fu costretto a confermare. Due leggi rinviate alle Camere. Reazioni sempre più esplicitamente insofferenti. Incomprensioni che si sommano, in una prova di forza permanente. Gelo e incomunicabilità ai vertici dello Stato. Avvertimenti pesanti. Sarebbe minimalista leggere tutto questo soltanto come le febbri di una campagna elettorale ormai imminente. La verità è che, mentre il Cavaliere si avvia al giro di boa dell’ultimo anno a Palazzo Chigi (con le connesse incognite di una riconferma alle urne), anche Ciampi sta entrando nella fase finale del proprio mandato. E coincidenza vuole che il Quirinale sia nel frattempo divenuto oggetto degli appetiti del premier. Che, l’ha detto in conferenza stampa, vorrebbe quel posto per sé o per un fedele amico del Polo. Appetiti che sono divenuti espliciti quando certi esponenti della maggioranza hanno pubblicamente almanaccato nei mesi scorsi - così, come per caso - sull’utilità di un ritiro anticipato da parte di Ciampi. «Per evitare il cosiddetto ingorgo istituzionale», era la patriottica scusa. Dietro la quale era invece evidente l’ansia di far eleggere il suo successore da questa maggioranza parlamentare. Il capo dello Stato non ha abbozzato affatto, davanti a questo obliquo invito a sloggiare. Per tre volte consecutive ha ripetuto che resterà al suo posto sino all’ultimo giorno, girando l’Italia in lungo e in largo. Ciò che, se ha cancellato le illusioni del centrodestra, di sicuro ne ha aumentato i malumori.
di MARZIO BREDA (Corriere di oggi)
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editoriale di Ezio MAuro

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