Friday, December 31, 2004

Altra emergenza clima, in accelerazione lo scioglimento del permafrost

Altra emergenza clima, in accelerazione lo scioglimento del permafrost
Stefano Baldolini (da Europa Quotidiano del 30/12/04)
Si è da poco conclusa in un’atmosfera tutt’altro che serena la conferenza annuale di Buenos Aires sui cambiamenti climatici. Al centro dei lavori, il destino del protocollo di Kyoto, che sarà in vigore dal 16 febbraio 2005 al 2012. Il compromesso raggiunto prevede un singolo incontro che si terrà nel maggio del 2005, a Bonn, per discutere della riduzione dei famigerati gas serra dopo il 2012.

Innalzamento dei mari, scioglimento dei ghiacciai e recenti stranezze del clima sono spesso legate al cosiddetto riscaldamento globale del pianeta. Che però potrebbe essere la causa di altre emergenze per ora soltanto presentite. Una di queste ci porta in una regione dallo strano nome anglosassone, il permafrost (lett. gelo permanente) che non è definita a partire da un tipo di suolo, né da un luogo particolare, ma solo dalla temperatura che la caratterizza. Ogni roccia o terreno che rimane a zero gradi (o sotto zero) per due o più anni è considerato permafrost.

Tale area è interessata da un pericoloso fenomeno. Da quanto emerge dal recente “Fall Meeting of the American Geophysical Union” (Agu) di San Francisco, “lo scioglimento del permafrost è in accelerazione in tutte le regioni fredde del globo”. “A causa del drammatico innalzamento delle temperature dell’ultima metà del secolo”, affermano gli scienziati, che si sono avvalsi del rapporto “Arctic Climate Impact Assessment”. Il fenomeno potrebbe causare danni a case e infrastrutture, rimodellare vette millenarie, e alterare ecosistemi che si credevano consolidati.

Per la verità, usare il condizionale è poco corretto o quantomeno poco rispettoso degli abitanti di Fairbanks, in Alaska, che vedono le proprie abitazioni lesionarsi come fossero fondate su un terreno in frana. O degli abitanti delle Svalbard, al nord della Norvegia, dove la temperatura del suolo è cresciuta di circa 0.4 °C negli ultimi dieci anni. “Quattro volte più velocemente che in tutto il secolo”, secondo Charles Harris, geologo dell’Università di Cardiff, e coordinatore del programma “Permafrost and Climate in Europe” (Pace).

Ma non si deve pensare che il problema sia limitato alle inaccessibili regioni del nord. Quasi un quarto delle terre emerse nell’Emisfero Settentrionale è perennemente ricoperto da ghiacci (circa 23 milioni di km quadrati). Altri due terzi lo sono periodicamente. Oltre al nord dell’Alaska, l’area “permafrost” include molte altre terre Artiche, come il nord del Canada e gran parte della Siberia, e a latitudini più contenute, le vette di regioni montagnose come le Alpi e il Tibet. Qui, tra le cime più impervie del pianeta, si sta costruendo la linea ferroviaria Qinghai-Xizang, 1.118 km per gran parte sopra ai 4000m e per circa la metà sul permafrost, “molto del quale inizierà a sciogliersi tra pochi anni” ha dichiarato il professor Zhang, dell’Università del Colorado.

“E’ un problema molto diffuso” ha dichiarato Frederick Nelson, geografo dell’Università del Delaware. “Se le aree ghiacciate dell’emisfero settentrionale sono diminuite del 15-20 per cento nello scorso secolo”, ha detto il professor Zhang. "negli ultimi 20 anni, il calo è stato ancora più drammatico”. Per comprendere l’entità del fenomeno, basta pensare che circa l’80 per cento del suolo degli Stati Uniti ghiaccia ogni inverno. Il paventato cambio del ciclo dovrebbe avere ripercussioni sui raccolti, sulla vegetazione e sulla fauna locale (molte specie artiche potrebbero mutare le proprie rotte migratorie).

Altro problema, pare senza precedenti e di non facile soluzione, quello legato al possibile rilascio nell’atmosfera del carbonio organico depositato nel permafrost. Secondo le previsioni, mentre nelle aree più secche, molte delle emissioni potrebbero avvenire sotto forma di biossido di carbonio (CO2), in quelle più umide, si verrebbe a rilasciare metano, un gas serra a tutti gli effetti. Inoltre gli scienziati non conoscono esattamente quanto carbonio sia contenuto nelle zone considerate ma stimano che potrebbe essere più di un quarto di quello immagazzinato nella Terra.

Nonostante “la diffusa evidenza” che il maggior responsabile dello scioglimento del permafrost sia il riscaldamento globale, permangono dei dubbi. “In prima istanza, le connessioni tra il global warming e la crisi del permafrost possono sembrare dirette” ha dichiarato il professor Nelson. Ma “l’innalzarsi delle temperature potrebbe aumentare il numero e la densità della vegetazione arbustiva che ricopre la superficie, e per assurdo aiutare a proteggere il permafrost stesso”. D’altra parte, c’è la testimonianza di chi, come Antoni Lewkowicz dell’Università di Ottawa, ha studiato diversi episodi franosi “attribuibili all’indebolimento del ghiaccio causato dal global warming”.

Si tratta insomma di un fenomeno esteso e relativamente recente. A fronte del quale – a meno della Russia che vanta una lunga tradizione nel monitorare il problema – scarsi sono i dati a disposizione. Il tempo stabilirà l’efficacia del programma attivato, il “Global Terrestrial Network for Permafrost” (GTNP). Nell’attesa, non resta che osservare i costruttori di case in Alaska, o gli ingegneri ferroviari cinesi, usare le necessarie (e costose) precauzioni.

www.europaquotidiano.it

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