Diritti umani in Tibet, nel 2004 non migliora la situazione
Diritti umani in Tibet, nel 2004 non migliora la situazione
Stefano Baldolini
Il 2004 è stato un altro anno nero per i diritti umani in Tibet. Questo, in sintesi, è quanto emerge dal rapporto annuale preparato dal Tibetan Center for Human Rights and Democracy (TCHRD), Ong con sede in India. "Le continue violazioni del diritto allo sviluppo, del diritto all’educazione, dei diritti civili e politici, del diritto alla libera informazione e alla libertà religiosa" sono analizzate nelle 146 pagine dell’Human Rights Situation in Tibet, 2004.
Il panorama è poco confortante e di difficile lettura. E questa forse è la vera novità rispetto agli anni precedenti. Ad “inquinare le prove”, alcune recenti concessioni delle autorità cinesi. "Sono stati fatti dei progressi, ma La Cina resta uno stato repressivo", denunciava nei giorni scorsi l’Human Rights Watch.
A confermare la tendenza, il rapporto sottolinea come nonostante alcune “importanti liberazioni” si siano registrati 21 nuovi arresti. L’accusa è sempre la stessa, “di attentare alla sicurezza dello stato”, dizione quanto mai vaga che va dalle attività sovversive a generiche dichiarazioni di fedeltà al Dalai Lama.
Alla fine del 2004, sarebbero 146 i prigionieri politici, di cui 55 alle prese con pene di dieci anni o più. Monaci, il 63 per cento dei detenuti,. Il condizionale è d’obbligo, il documento sottolinea che si tratta dei “soli casi confermati”.
Quello della libertà religiosa è il solito tasto dolente. L’ostracismo verso i religiosi buddisti continua e la campagna di Ri-Educazione Patriottica – introdotta nel 1996 – non sembra scemare.
Non sorprende la violazione di altri diritti fondamentali.
La libertà d’informazione è negata di fatto, le autorità detengono il monopolio della diffusione radiofonica e permane il divieto di aprire radio private. Si registra un”’accresciuta capacità” di controllare le chiamate telefoniche. "Pechino ha inoltre sviluppato tecnologie per il controllo del testo dei messaggi telefonici. Ufficialmente, per pulire gli sms di contenuti pornografici, osceni e fraudolenti".
Il diritto all’educazione "continua ad essere trascurato. Nello scorso anno il governo cinese non ha preso alcuna misura per preservare l’identità tibetana. Gli studenti sono obbligati a studiare la versione cinese della storia e addestrati a denunciare il Dalai Lama".
La duplicità delle posizioni in campo torna in auge, quando si parla di diritto allo sviluppo. "Spesso le autorità hanno risposto alle critiche sui diritti umani sostenendo che i tibetani stiano beneficiando delle strategie di sviluppo promosse da Pechino", si legge nel rapporto, "ma i tibetani si sono visti privati sistematicamente del diritto a contribuire allo sviluppo del loro paese".
Inoltre l’immigrazione dei cinesi di etnia Han – promossa da Pechino negli anni ’80 - continua a creare problemi di convivenza. "La maggioranza dei tibetani è sempre più marginalizzata e discriminata. I tibetani non sono liberi. O meglio, lo sono, ma di bere, fumare, consumare droghe nei bar-karaoke disseminati nelle periferie delle città, dove vanno a finire, attratti dalla ricchezza che non possono raggiungere".
Nonostante qualche nota positiva, come l’introduzione lo scorso marzo da parte del decimo Congresso Nazionale di un emendamento costituzionale relativo ai diritti umani, il rapporto (http://www.tchrd.org/pubs/2004/ar2004.pdf) chiede alla comunità internazionale "di continuare ad esercitare pressioni non solo per il bene del popolo tibetano ma anche a sostegno delle misure sinora firmate da Pechino".
da Europa di ieri 9 febbario 2004
Stefano Baldolini
Il 2004 è stato un altro anno nero per i diritti umani in Tibet. Questo, in sintesi, è quanto emerge dal rapporto annuale preparato dal Tibetan Center for Human Rights and Democracy (TCHRD), Ong con sede in India. "Le continue violazioni del diritto allo sviluppo, del diritto all’educazione, dei diritti civili e politici, del diritto alla libera informazione e alla libertà religiosa" sono analizzate nelle 146 pagine dell’Human Rights Situation in Tibet, 2004.
Il panorama è poco confortante e di difficile lettura. E questa forse è la vera novità rispetto agli anni precedenti. Ad “inquinare le prove”, alcune recenti concessioni delle autorità cinesi. "Sono stati fatti dei progressi, ma La Cina resta uno stato repressivo", denunciava nei giorni scorsi l’Human Rights Watch.
A confermare la tendenza, il rapporto sottolinea come nonostante alcune “importanti liberazioni” si siano registrati 21 nuovi arresti. L’accusa è sempre la stessa, “di attentare alla sicurezza dello stato”, dizione quanto mai vaga che va dalle attività sovversive a generiche dichiarazioni di fedeltà al Dalai Lama.
Alla fine del 2004, sarebbero 146 i prigionieri politici, di cui 55 alle prese con pene di dieci anni o più. Monaci, il 63 per cento dei detenuti,. Il condizionale è d’obbligo, il documento sottolinea che si tratta dei “soli casi confermati”.
Quello della libertà religiosa è il solito tasto dolente. L’ostracismo verso i religiosi buddisti continua e la campagna di Ri-Educazione Patriottica – introdotta nel 1996 – non sembra scemare.
Non sorprende la violazione di altri diritti fondamentali.
La libertà d’informazione è negata di fatto, le autorità detengono il monopolio della diffusione radiofonica e permane il divieto di aprire radio private. Si registra un”’accresciuta capacità” di controllare le chiamate telefoniche. "Pechino ha inoltre sviluppato tecnologie per il controllo del testo dei messaggi telefonici. Ufficialmente, per pulire gli sms di contenuti pornografici, osceni e fraudolenti".
Il diritto all’educazione "continua ad essere trascurato. Nello scorso anno il governo cinese non ha preso alcuna misura per preservare l’identità tibetana. Gli studenti sono obbligati a studiare la versione cinese della storia e addestrati a denunciare il Dalai Lama".
La duplicità delle posizioni in campo torna in auge, quando si parla di diritto allo sviluppo. "Spesso le autorità hanno risposto alle critiche sui diritti umani sostenendo che i tibetani stiano beneficiando delle strategie di sviluppo promosse da Pechino", si legge nel rapporto, "ma i tibetani si sono visti privati sistematicamente del diritto a contribuire allo sviluppo del loro paese".
Inoltre l’immigrazione dei cinesi di etnia Han – promossa da Pechino negli anni ’80 - continua a creare problemi di convivenza. "La maggioranza dei tibetani è sempre più marginalizzata e discriminata. I tibetani non sono liberi. O meglio, lo sono, ma di bere, fumare, consumare droghe nei bar-karaoke disseminati nelle periferie delle città, dove vanno a finire, attratti dalla ricchezza che non possono raggiungere".
Nonostante qualche nota positiva, come l’introduzione lo scorso marzo da parte del decimo Congresso Nazionale di un emendamento costituzionale relativo ai diritti umani, il rapporto (http://www.tchrd.org/pubs/2004/ar2004.pdf) chiede alla comunità internazionale "di continuare ad esercitare pressioni non solo per il bene del popolo tibetano ma anche a sostegno delle misure sinora firmate da Pechino".
da Europa di ieri 9 febbario 2004
0 Comments:
Post a Comment
<< Home