Darfur:rapporto Onu,non e'genocidio
Darfur:rapporto Onu,non e'genocidio
Cosi' Nazioni Unite su violenze in zona sudanese, Khartoum (ANSA)-ABUJA, 31 GEN- L'Onu in un rapporto che sta per pubblicare non definisce 'genocidio' le violenze nel Darfur, ha annunciato il ministro degli Esteri sudanese. Per il capo della diplomazia sudanese, il suo Paese ha gia' 'una copia del rapporto' e in quello studio sarebbe stata respinta la valutazione di genocidio come avrebbe invece voluto Washington. Il segretario Onu Annan ha riconosciuto che nel Darfur ci sono state 'gravi violazioni dei diritti umani' e auspica sanzioni da parte del Consiglio di Sicurezza.
SUDAN 1/2/2005 7:07
RAPPORTO ONU: IN DARFUR NON E’ GENOCIDIO, MA IN UN PLICO SEGRETO...
Peace/Justice, Standard
“Appare mancante l’elemento cruciale del genocidio”: queste precise parole, diffuse poche ore fa da fonti del Palazzo di Vetro e già riprese da tutti i principali mezzi di informazione, sono contenute in un rapporto di 177 pagine che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu dovrebbe cominciare a discutere oggi ma hanno definitivamente confermato al di là di ogni dubbio le indiscrezioni circolate ieri a proposito dello spinoso caso del Darfur. E diventata quindi certa la notizia dell’ assenza di quelle esplicite accuse di genocidio - ovvero di ‘distruzione di un intero gruppo etnico, razziale o religioso’ - che, partite nel luglio 2004 dal Congresso degli Stati Uniti, sono a lungo state rilanciate e amplificate nel mondo da svariate fonti che ne hanno fatto il loro cavallo di battaglia. Il documento, che è stato inviato anche a Khartoum - privo però di un importante ‘allegato segreto’ - chiarisce in particolare: “ Sembrerebbe piuttosto che coloro i quali hanno programmato e organizzato gli attacchi ai villaggi perseguissero l’intento di allontanare le vittime dalle loro dimore, essenzialmente con l’obiettivo di attività bellica anti-sovversiva”. Nell’agosto scorso, Henry Coudray, prefetto Apostolico di Mongo (Chad) - in un articolo del mensile dei Gesuiti “Popoli” diffuso anche dalla MISNA e intitolato “Un conflitto tra arabi e africani” - aveva scritto tra l’altro: “Pulizia etnica? Genocidio? Non si devono utilizzare con leggerezza questi termini. Un genocidio, secondo il diritto internazionale, deve essere provato attraverso l’identificazione chiara di un’intenzione di distruggere un gruppo etnico, razziale o religioso. Si può provare tale intenzione in Darfur? (....) La distruzione sistematica dei villaggi, nel Nord Darfur (ma ora bisognerebbe dire in tutto l’Ovest Darfur) e soprattutto dei pozzi e delle greggi, è organizzato in modo che le ferite inflitte cerchino di spaventare, per il loro carattere permanente e invalidante, le popolazioni. Il che fa pensare alla volontà di far passare un messaggio: ‘Partite di qui. Non vi vogliamo più vedere’”. Sempre in agosto, pochi giorni dopo, la MISNAriferiva: “Non siamo davanti ad un genocidio" ha affermato in una conferenza stampa Pieter Feith, inviato speciale dell’Alto rappresentante per la politica estera di Bruxelles, Javier Solana”, al termine di una missione in Darfur. “E’ chiaro tuttavia – aveva aggiunto Feith - che, progressivi e in silenzio, sono in corso massacri mentre villaggi sono stati bruciati su larga scala”. In settembre, a proposito di un’intervista del segretario generale dell’Onu Kofi Annan che aveva suscitato molte e inutili polemiche, la MISNA aggiungeva: “Per quel che riguarda l’uso del termine ‘genocidio’, è evidente che Annan tiene conto di quel che molti cercano di ignorare: il tremendo crimine, che ha acquisito rilevanza giuridica soprattutto dopo la ‘shoa’ nella seconda guerra mondiale - e di recente dopo la tragedia ruandese del 1994 - trova una sua definizione e base di diritto, forse discutibili e aggiornabili ma non accantonabili, in una delle prime Convenzioni dell’Onu (1948) ratificata da oltre 130 Paesi. Fuori da questo contesto, l’uso del termine può avere solo valenze politiche di pressione o di propaganda ma non può dar adito a provvedimenti di diritto internazionale.” (continua)[MB]
SUDAN 1/2/2005 7:17
RAPPORTO ONU: IN DARFUR NON E’ GENOCIDIO, MA IN UN PLICO SEGRETO... / 2
Peace/Justice, Standard
Il rapporto che è ora all’attenzione del Consiglio di Sicurezza, originato dalla risoluzione 1564 dello scorso autunno, costituisce il tentativo indiscutibilmente più serio e approfondito di indagare sulle responsabilità nel complesso caso del Darfur ed è frutto del lavoro di una commissione d’inchiesta indipendente presieduta dall’italiano Antonio Cassese, docente di diritto internazionale all’università ‘Cesare Alfieri’ di Firenze , presidente del tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia, già presidente di un gruppo internazionale contro la tortura e primo titolare della cattedra internazionale di ricerca Blaise Pascal. Ne fanno parte anche altri quattro qualificati esperti internazionali: Mohammad Fayek (Egitto), Hina Jilani (Pakistan), Dumisa Ntsebeza (Sudafrica) e Therese Striggner-Scott (Ghana). Nel documentocsi precisa che l’assenza di una specifica accusa di genocidio “non va in alcun modo interpretata come diminuzione della gravità dei crimini perpetrati” e fortemente si raccomanda il ricorso al Tribunale Penale Internazionale (Tpi) - quello che l’amministrazione Bush, dopo la prima firma di Clinton, continua a non voler ratificare - per eventuali procedimenti a carico di alcuni responsabili di violenze e atrocità i cui nomi, non resi noti per questioni di merito e di procedura, sono stati indicati in un plico sigillato che accompagna il documento e costituiscono una base precisa per un futuro procedimento penale. Dal febbraio del 2003 - quando due movimenti ribelli (‘Jem’ e ‘Sla-m’) si sollevarono in armi contro il governo sudanese accusandolo di trascurare il Darfur, perché abitato prevalentemente da neri, e di finanziare i predoni di etnia araba noti come ‘janjaweed’ - si stima che nella regione siano morte, soprattutto per fame e malattie, alcune decine di migliaia di persone, (70.000 secondo la cifra più ricorrente in questi ultimi giorni), anche nei numerosi e talvolta malandati campi allestiti per una popolazione di sfollati valutata intorno a un milione e 800.000 persone. Sulla base di questo scenario, integrato da cifre sempre crescenti e poco verificabili data la remota vastità dei luoghi semidesertici interessati - il Darfur è grande quanto la Francia - a partire da Washington sono state formulate e rilanciate in tutto il mondo le accuse di genocidio e una campagna non ancora esaurita, puntata soprattutto contro il governo sudanese più ancora che contro i ‘janjaweed’, da sempre noti per le loro scorrerie ai danni delle popolazioni locali di etnie diverse dalla loro (Fur, Masalit, Jebel, Aranga e Zaghawa). A Khartoum è stato contestato di aver dato man forte e lasciato campo libero ai predoni contro i ribelli. Anche la valutazione emersa ieri sembra già destinata a rinfocolare le vecchie polemiche di chi a tutti i costi vorrebbe far prevalere, pur senza base di diritto, la tesi del “genocidio” anzichè ricorrere - come sembra chiaramente possibile anche sulla base della lista segreta dei possibili responsabili- al magistrato internazionale dell’Aja ostinatamente non riconosciuto da Washington per timore che prima o poi qualche suo cittadino incappi nelle maglie della giurisdizione internazionale ‘super partes’ costituita con lo Statuto di Roma già adottato da 120 nazioni il 17 luglio 1998 ed entrato in vigore il 1° luglio 2002. (Pietro Mariano Benni)[MB]
Cosi' Nazioni Unite su violenze in zona sudanese, Khartoum (ANSA)-ABUJA, 31 GEN- L'Onu in un rapporto che sta per pubblicare non definisce 'genocidio' le violenze nel Darfur, ha annunciato il ministro degli Esteri sudanese. Per il capo della diplomazia sudanese, il suo Paese ha gia' 'una copia del rapporto' e in quello studio sarebbe stata respinta la valutazione di genocidio come avrebbe invece voluto Washington. Il segretario Onu Annan ha riconosciuto che nel Darfur ci sono state 'gravi violazioni dei diritti umani' e auspica sanzioni da parte del Consiglio di Sicurezza.
SUDAN 1/2/2005 7:07
RAPPORTO ONU: IN DARFUR NON E’ GENOCIDIO, MA IN UN PLICO SEGRETO...
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“Appare mancante l’elemento cruciale del genocidio”: queste precise parole, diffuse poche ore fa da fonti del Palazzo di Vetro e già riprese da tutti i principali mezzi di informazione, sono contenute in un rapporto di 177 pagine che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu dovrebbe cominciare a discutere oggi ma hanno definitivamente confermato al di là di ogni dubbio le indiscrezioni circolate ieri a proposito dello spinoso caso del Darfur. E diventata quindi certa la notizia dell’ assenza di quelle esplicite accuse di genocidio - ovvero di ‘distruzione di un intero gruppo etnico, razziale o religioso’ - che, partite nel luglio 2004 dal Congresso degli Stati Uniti, sono a lungo state rilanciate e amplificate nel mondo da svariate fonti che ne hanno fatto il loro cavallo di battaglia. Il documento, che è stato inviato anche a Khartoum - privo però di un importante ‘allegato segreto’ - chiarisce in particolare: “ Sembrerebbe piuttosto che coloro i quali hanno programmato e organizzato gli attacchi ai villaggi perseguissero l’intento di allontanare le vittime dalle loro dimore, essenzialmente con l’obiettivo di attività bellica anti-sovversiva”. Nell’agosto scorso, Henry Coudray, prefetto Apostolico di Mongo (Chad) - in un articolo del mensile dei Gesuiti “Popoli” diffuso anche dalla MISNA e intitolato “Un conflitto tra arabi e africani” - aveva scritto tra l’altro: “Pulizia etnica? Genocidio? Non si devono utilizzare con leggerezza questi termini. Un genocidio, secondo il diritto internazionale, deve essere provato attraverso l’identificazione chiara di un’intenzione di distruggere un gruppo etnico, razziale o religioso. Si può provare tale intenzione in Darfur? (....) La distruzione sistematica dei villaggi, nel Nord Darfur (ma ora bisognerebbe dire in tutto l’Ovest Darfur) e soprattutto dei pozzi e delle greggi, è organizzato in modo che le ferite inflitte cerchino di spaventare, per il loro carattere permanente e invalidante, le popolazioni. Il che fa pensare alla volontà di far passare un messaggio: ‘Partite di qui. Non vi vogliamo più vedere’”. Sempre in agosto, pochi giorni dopo, la MISNAriferiva: “Non siamo davanti ad un genocidio" ha affermato in una conferenza stampa Pieter Feith, inviato speciale dell’Alto rappresentante per la politica estera di Bruxelles, Javier Solana”, al termine di una missione in Darfur. “E’ chiaro tuttavia – aveva aggiunto Feith - che, progressivi e in silenzio, sono in corso massacri mentre villaggi sono stati bruciati su larga scala”. In settembre, a proposito di un’intervista del segretario generale dell’Onu Kofi Annan che aveva suscitato molte e inutili polemiche, la MISNA aggiungeva: “Per quel che riguarda l’uso del termine ‘genocidio’, è evidente che Annan tiene conto di quel che molti cercano di ignorare: il tremendo crimine, che ha acquisito rilevanza giuridica soprattutto dopo la ‘shoa’ nella seconda guerra mondiale - e di recente dopo la tragedia ruandese del 1994 - trova una sua definizione e base di diritto, forse discutibili e aggiornabili ma non accantonabili, in una delle prime Convenzioni dell’Onu (1948) ratificata da oltre 130 Paesi. Fuori da questo contesto, l’uso del termine può avere solo valenze politiche di pressione o di propaganda ma non può dar adito a provvedimenti di diritto internazionale.” (continua)[MB]
SUDAN 1/2/2005 7:17
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Il rapporto che è ora all’attenzione del Consiglio di Sicurezza, originato dalla risoluzione 1564 dello scorso autunno, costituisce il tentativo indiscutibilmente più serio e approfondito di indagare sulle responsabilità nel complesso caso del Darfur ed è frutto del lavoro di una commissione d’inchiesta indipendente presieduta dall’italiano Antonio Cassese, docente di diritto internazionale all’università ‘Cesare Alfieri’ di Firenze , presidente del tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia, già presidente di un gruppo internazionale contro la tortura e primo titolare della cattedra internazionale di ricerca Blaise Pascal. Ne fanno parte anche altri quattro qualificati esperti internazionali: Mohammad Fayek (Egitto), Hina Jilani (Pakistan), Dumisa Ntsebeza (Sudafrica) e Therese Striggner-Scott (Ghana). Nel documentocsi precisa che l’assenza di una specifica accusa di genocidio “non va in alcun modo interpretata come diminuzione della gravità dei crimini perpetrati” e fortemente si raccomanda il ricorso al Tribunale Penale Internazionale (Tpi) - quello che l’amministrazione Bush, dopo la prima firma di Clinton, continua a non voler ratificare - per eventuali procedimenti a carico di alcuni responsabili di violenze e atrocità i cui nomi, non resi noti per questioni di merito e di procedura, sono stati indicati in un plico sigillato che accompagna il documento e costituiscono una base precisa per un futuro procedimento penale. Dal febbraio del 2003 - quando due movimenti ribelli (‘Jem’ e ‘Sla-m’) si sollevarono in armi contro il governo sudanese accusandolo di trascurare il Darfur, perché abitato prevalentemente da neri, e di finanziare i predoni di etnia araba noti come ‘janjaweed’ - si stima che nella regione siano morte, soprattutto per fame e malattie, alcune decine di migliaia di persone, (70.000 secondo la cifra più ricorrente in questi ultimi giorni), anche nei numerosi e talvolta malandati campi allestiti per una popolazione di sfollati valutata intorno a un milione e 800.000 persone. Sulla base di questo scenario, integrato da cifre sempre crescenti e poco verificabili data la remota vastità dei luoghi semidesertici interessati - il Darfur è grande quanto la Francia - a partire da Washington sono state formulate e rilanciate in tutto il mondo le accuse di genocidio e una campagna non ancora esaurita, puntata soprattutto contro il governo sudanese più ancora che contro i ‘janjaweed’, da sempre noti per le loro scorrerie ai danni delle popolazioni locali di etnie diverse dalla loro (Fur, Masalit, Jebel, Aranga e Zaghawa). A Khartoum è stato contestato di aver dato man forte e lasciato campo libero ai predoni contro i ribelli. Anche la valutazione emersa ieri sembra già destinata a rinfocolare le vecchie polemiche di chi a tutti i costi vorrebbe far prevalere, pur senza base di diritto, la tesi del “genocidio” anzichè ricorrere - come sembra chiaramente possibile anche sulla base della lista segreta dei possibili responsabili- al magistrato internazionale dell’Aja ostinatamente non riconosciuto da Washington per timore che prima o poi qualche suo cittadino incappi nelle maglie della giurisdizione internazionale ‘super partes’ costituita con lo Statuto di Roma già adottato da 120 nazioni il 17 luglio 1998 ed entrato in vigore il 1° luglio 2002. (Pietro Mariano Benni)[MB]
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