Ken Mehlman alla guida del Grand Old Party
E già si prepara il dopo
“Siamo davanti ad un enorme, storica opportunità”, ha dichiarato Ken Mehlman davanti ai 165 membri repubblicani del Comitato Nazionale che lo hanno appena eletto presidente all’unanimità. Dietro le quinte gelide e super protette dell’Inauguration Day, il Grand Old Party, riunito al Renaissance Washington Hotel per il 2005 Winter Meeting, compie la sua scelta.
Mai tanto forte al Congresso (dal 1929), ma privo di un candidato esplicito per le prossime elezioni e con una flebile maggioranza del presidente in carica nel Paese (51 contro il 48%), il partito repubblicano si consegna nelle mani dell’artefice del suo successo.
“Se Karl Rove è stato l’architetto della ri-elezione di Bush, Mehlman ne è stato l’ingegnere, che ha trasformato il progetto in realtà.” Così, Michael Barone, opinionista del Chicago Sun-Times, lo scorso novembre incoronava il 38enne di Baltimora, laureato in Legge ad Harward.
Negli stessi giorni, George Bush, fresco di vittoria,dichiarava ai suoi: “Ken Mehlman ha servito il partito e l’amministrazione repubblicani con onore e distinzione. Come manager della campagna, ci ha aiutato ad ottenere un risultato storico”.
Mehlman è il primo specialista di campagne elettorali a guidare il partito dal 1988, dalla nomina di Lee Atwater, vittorioso con Bush sr. Dal 2001 al 200 Direttore dell’Ufficio Politico della Casa Bianca, durante le presidenziali 2000 lavorò nell’esecutivo attraversando 50 stati.
Quattro gli obiettivi del suo discorso di insediamento: realizzare le riforme dell’agenda Bush, continuare l’opera di radicamento ed espansione del partito, lavorare per presentare le migliori candidature alle prossime scadenze elettorali, istituzionalizzare gli sforzi compiuti dalla base. “Se noi raggiungiamo questi obiettivi, potremmo cementare la posizione ottenuta per un’intera generazione.”
Nel segno della “campagna permanente” teorizzata da Blumenthal nel 1982, per cui “governare è ottenere il consenso”, Mehlman non ha perso tempo. “La campagna 2008 deve iniziare oggi, il successo del 2004 è stato il risultato della pianificazione del 2001.”
Nei suoi richiami alla libertà si è ispirato alle radici del partito (“la leadership di Bush ha fatto dei repubblicani il partito delle radici”), al 1856, quando John C. Freemont fu nominato primo presidente repubblicano con lo slogan “Free soil, free speech, free men, Fremont”, ma anche alla concezione (bushiana e non solo) di libertà “come dono di Dio”.
Mehlman sostituisce Ed Gillespie, ed anche questo è un segno dei tempi - la stagione dei grandi processi ai crack finanziari è partita, e il predecessore è un lobbista nominato nel giugno del 2003 con la Enron nell’elenco clienti – e sarà affiancata dall’esperta Jo-Ann Davidson, 77 anni, infaticabile e decisiva nel cruciale Ohio.
Le statistiche in questo senso parlano chiaro - circa 87 mila volontari reclutati, quasi 4000 party organizzate, 4 milioni e mezzo tra visite door-to-door e chiamate telefoniche – e i numeri sono stati determinanti di fronte all’opposizione di un gruppo di cristiani evangelici che avevano cercato di presentare una contro proposta. L’ex portavoce dell’Ohio alla Camera è infatti considerata a favore del diritto all’aborto, ma l’impegno di Mehlman e le dichiarazioni della stessa Davidson a sostegno dell’agenda Bush hanno scongiurato la crisi.
Almeno per ora. C’è chi infatti scommette sulla guerra che si scatenerà nel partito intorno alla successione a Bush. “Un assaggio di quello che potrebbe accadere”, scrive il Christian Science Monitor, “lo abbiamo visto nell’ultimo mese della scorsa sessione del Congresso, quando 67 repubblicani alla Camera ruppero con la Casa Bianca sull’immigrazione illegale.”. “Scenario - continua il quotidiano di Boston - che i dissidenti hanno promesso di riproporre nella prossima sessione”. Con, al centro dell’attenzione, le famigerate riforme della Social Security e del Medicare. Ma non solo. “Per i conservatori, che si opposero vigorosamente al tentativo di Clinton di espandere il ruolo federale nella gestione dell’educazione, il voto a sostegno dell’ancora più ambizioso “No Child Left Behind Act” (promosso da Bush) è stato un duro colpo”, chiosa il Christian Science Monitor.
Dunque se la nomina del manager della sua vittoriosa campagna è “il segno di Bush sulla politica del suo partito”, come riporta il New York Times, c’è chi guarda con preoccupazione al favorevole “momento repubblicano”. “Stiamo per scoprire se il Grand Old Party è realmente un partito di governo”, scrive il Wall Street Journal. “I prossimi due anni ci diranno se la schiacciante maggioranza lascerà un segno o sarà evanescente come a suo tempo lo furono i Whigs.”.
Stefano Baldolini
su Europa di venerdì 21 gennaio
prec:social security+processi
“Siamo davanti ad un enorme, storica opportunità”, ha dichiarato Ken Mehlman davanti ai 165 membri repubblicani del Comitato Nazionale che lo hanno appena eletto presidente all’unanimità. Dietro le quinte gelide e super protette dell’Inauguration Day, il Grand Old Party, riunito al Renaissance Washington Hotel per il 2005 Winter Meeting, compie la sua scelta.
Mai tanto forte al Congresso (dal 1929), ma privo di un candidato esplicito per le prossime elezioni e con una flebile maggioranza del presidente in carica nel Paese (51 contro il 48%), il partito repubblicano si consegna nelle mani dell’artefice del suo successo.
“Se Karl Rove è stato l’architetto della ri-elezione di Bush, Mehlman ne è stato l’ingegnere, che ha trasformato il progetto in realtà.” Così, Michael Barone, opinionista del Chicago Sun-Times, lo scorso novembre incoronava il 38enne di Baltimora, laureato in Legge ad Harward.
Negli stessi giorni, George Bush, fresco di vittoria,dichiarava ai suoi: “Ken Mehlman ha servito il partito e l’amministrazione repubblicani con onore e distinzione. Come manager della campagna, ci ha aiutato ad ottenere un risultato storico”.
Mehlman è il primo specialista di campagne elettorali a guidare il partito dal 1988, dalla nomina di Lee Atwater, vittorioso con Bush sr. Dal 2001 al 200 Direttore dell’Ufficio Politico della Casa Bianca, durante le presidenziali 2000 lavorò nell’esecutivo attraversando 50 stati.
Quattro gli obiettivi del suo discorso di insediamento: realizzare le riforme dell’agenda Bush, continuare l’opera di radicamento ed espansione del partito, lavorare per presentare le migliori candidature alle prossime scadenze elettorali, istituzionalizzare gli sforzi compiuti dalla base. “Se noi raggiungiamo questi obiettivi, potremmo cementare la posizione ottenuta per un’intera generazione.”
Nel segno della “campagna permanente” teorizzata da Blumenthal nel 1982, per cui “governare è ottenere il consenso”, Mehlman non ha perso tempo. “La campagna 2008 deve iniziare oggi, il successo del 2004 è stato il risultato della pianificazione del 2001.”
Nei suoi richiami alla libertà si è ispirato alle radici del partito (“la leadership di Bush ha fatto dei repubblicani il partito delle radici”), al 1856, quando John C. Freemont fu nominato primo presidente repubblicano con lo slogan “Free soil, free speech, free men, Fremont”, ma anche alla concezione (bushiana e non solo) di libertà “come dono di Dio”.
Mehlman sostituisce Ed Gillespie, ed anche questo è un segno dei tempi - la stagione dei grandi processi ai crack finanziari è partita, e il predecessore è un lobbista nominato nel giugno del 2003 con la Enron nell’elenco clienti – e sarà affiancata dall’esperta Jo-Ann Davidson, 77 anni, infaticabile e decisiva nel cruciale Ohio.
Le statistiche in questo senso parlano chiaro - circa 87 mila volontari reclutati, quasi 4000 party organizzate, 4 milioni e mezzo tra visite door-to-door e chiamate telefoniche – e i numeri sono stati determinanti di fronte all’opposizione di un gruppo di cristiani evangelici che avevano cercato di presentare una contro proposta. L’ex portavoce dell’Ohio alla Camera è infatti considerata a favore del diritto all’aborto, ma l’impegno di Mehlman e le dichiarazioni della stessa Davidson a sostegno dell’agenda Bush hanno scongiurato la crisi.
Almeno per ora. C’è chi infatti scommette sulla guerra che si scatenerà nel partito intorno alla successione a Bush. “Un assaggio di quello che potrebbe accadere”, scrive il Christian Science Monitor, “lo abbiamo visto nell’ultimo mese della scorsa sessione del Congresso, quando 67 repubblicani alla Camera ruppero con la Casa Bianca sull’immigrazione illegale.”. “Scenario - continua il quotidiano di Boston - che i dissidenti hanno promesso di riproporre nella prossima sessione”. Con, al centro dell’attenzione, le famigerate riforme della Social Security e del Medicare. Ma non solo. “Per i conservatori, che si opposero vigorosamente al tentativo di Clinton di espandere il ruolo federale nella gestione dell’educazione, il voto a sostegno dell’ancora più ambizioso “No Child Left Behind Act” (promosso da Bush) è stato un duro colpo”, chiosa il Christian Science Monitor.
Dunque se la nomina del manager della sua vittoriosa campagna è “il segno di Bush sulla politica del suo partito”, come riporta il New York Times, c’è chi guarda con preoccupazione al favorevole “momento repubblicano”. “Stiamo per scoprire se il Grand Old Party è realmente un partito di governo”, scrive il Wall Street Journal. “I prossimi due anni ci diranno se la schiacciante maggioranza lascerà un segno o sarà evanescente come a suo tempo lo furono i Whigs.”.
Stefano Baldolini
su Europa di venerdì 21 gennaio
prec:social security+processi
2 Comments:
una cosa mi chiedevo, leggendoti... ma quanto hai goduto alla frase di Barone, che riconosce supremazia all'ingegneria sull'archittettura, ingegnere?
caro anonymous invero ho goduto poco essendo io indegnamente tale
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