Thursday, December 23, 2004

Fame nel mondo, l’amministrazione Bush taglia i fondi

Fame nel mondo, l’amministrazione Bush taglia i fondi ai programmi umanitari
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“Noi abbiamo il denaro, abbiamo le medicine, abbiamo la conoscenza, ma abbiamo la volontà per passare alla storia?” Citava la rock star degli U2, l’Economist del 18 dicembre scorso, per descrivere un 2005 decisivo per la battaglia alla povertà nel mondo. Diversi infatti gli appuntamenti in programma per il prossimo anno, a partire da gennaio con il rapporto Onu della Jeffrey Sachs, fino al meeting Wto di dicembre ad Hong Kong dove - sostengono i più ottimisti – dovrebbe essere data una “spinta decisiva” a sostegno delle economie dei paesi poveri.

Il problema è che per quella data i termini della questione potrebbero essere cambiati. La cattiva notizia in questo senso arriva dagli Stati Uniti. A lanciare l’allarme, il New York Times. “Negli ultimi due mesi l’amministrazione Bush ha ridotto i fondi destinati alla lotta alla fame nel mondo”. Il taglio, stimato in 100 milioni di dollari, è frutto delle recenti politiche di riduzione della spesa a fronte del deficit di bilancio sempre crescente, e produrrà la sospensione o la soppressione di numerosi programmi umanitari.

“Il taglio coinvolgerà tra i cinque e i sette milioni di persone” dichiara Lisa Kuennen, del “Catholic Relief Services”. Ina Schonberg, di “Save the Children” rincara la dose: “Siamo ad un crocevia, alle prese con la contrazione del budget, ma il problema c’è, non è sufficiente girarci intorno”. “Riconosciamo la necessità di reperire nuove risorse per gli aiuti alimentari”, la replica dell’amministrazione, “ma non c’era un’altra strada percorribile”.

Il paradosso è che il giro di vite arriva in un momento in cui l’emergenza della fame del mondo, per la prima volta dopo diversi anni, è di nuovo in crescita. “Ogni cinque secondi un bambino muore di fame” denunciava nei giorni scorsi il rapporto annuale della Fao. Circa 815 milioni di persone nel mondo in via di sviluppo e 28 milioni nei cosiddetti paesi ex comunisti hanno troppo poco cibo per condurre vite attive e produttive. Appena nove milioni in meno del biennio tragico di riferimento, il 1990-2.

Negli stessi giorni giungeva l’allarme della Croce Rossa Internazionale. “Per poter essere maggiormente presente laddove ci sono situazioni di crisi, occorrono più soldi.” L’appello era per la concessione di un budget 2005 di 970 milioni di franchi (un aumento del 8,6% rispetto al 2004). Per metà assorbito dal continente africano, a sostegno delle vittime dei conflitti e delle violenze interne, Sudan e crisi del Darfour in primis. “L'Africa rischia sempre di essere dimenticata”, avvertiva il direttore del CICR, Jakob Kellenberger.

Ma a riscaldare i cuori degli americani non c’è solo la (pur legittima) questione umanitaria. I tagli dell’amministrazione Bush potrebbero diventare uno dei cavalli di battaglia per i democratici alle prese con la riconquista dell’elettorato più religioso. Da un lato infatti appare innegabile che la tensione cristiana ad aiutare i poveri e a ridistribuire le ricchezze caratterizzi il recente “mainstream” evangelico. Dall’altro, diversi opinionisti negli ultimi tempi si sono affaccendati nello spiegare come questo aspetto potrebbe alla lunga scontrarsi con i "business conservatives”, per tradizione poco attratti dalle questioni di politica estera e restii ad allargare i cordoni della borsa per la cooperazione internazionale.

Messa così, la questione sembra semplice, e i democratici avviati ad un recupero dei consensi. “Ma qualcosa sta cambiando” avverte Nicholas Kristof dalle colonne dello stesso New York Times. “Quando l’altro giorno il senatore conservatore Brownback mi ha parlato con entusiasmo del suo viaggio nel nord dell’Uganda e mi ha invitato con urgenza a scrivere delle violenze commesse laggiù, sono rimasto disorientato. Ero abituato a pensare che ero l’unico che provava a richiamare l’attenzione della gente su paesi remoti.”

”Oggi non si possono capire le relazioni internazionali senza comprendere i nuovi movimenti fondati sulla fede”, chiude l’opinionista liberal, citando Allen Herzke e il suo “Freeing God’s Children”, un libro sull’inedito interesse della destra religiosa nelle questioni che tirano in ballo i diritti umani.

Che escono comunque malconci dai tagli. Unico aspetto positivo della vicenda, che una volta ridotti a zero gli aiuti alimentari, cadranno le accuse di dumping agli Stati Uniti nei confronti dei paesi in via di sviluppo. Forse un problema in meno per i contadini locali, che a malapena sopravvivono per fronteggiare le nostre sovrapproduzioni “gonfiate” a colpi di sussidi. Di certo non una soluzione “storica” al problema della fame nel mondo.

[Stefano Baldolini - Europa Quotidiano]

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